I greci hanno torti enormi, ma sospendere gli aiuti prima che votino è un errore
C’era da temerlo. Dopo 6 mesi di folle braccio di ferro tra Grecia ed euroarea, la trattativa è del tutto sfuggita di mano. E oggi si rischia – tutti, non solo la Grecia – di finire contro un muro.
Tre settimane fa, era la Germania a ventilare l’ipotesi che Tsipras chiedesse ai greci il giudizio diretto, attraverso un referendum, se accettare o meno un accordo per restare nell’euro. Nella tarda serata di venerdì, di fronte al fatto che le richieste dell’eurogruppo, Fmi e Bce a fronte della proposta greca – per il 93% fatta di aumenti fiscali e contributivi – risultavano indigeste a Syriza, o meglio a rischio di non essere accettate al parlamento greco dall’ala sinistra del partito, è stato Tsipras a sorprendere tutti, convocando per domenica 5 luglio un referendum sull’accordo.
A quel punto si è aperto un bivio, per l’eurozona. O puntare sul fatto che i greci, fedeli all’80% che nei sondaggi dichiarano a favore della permanenza nell’euro, votassero in coerenza nel referendum, tacitando l’ala oltranzista di Syriza e spingendo Tsipras a firmare. Oppure scommettere sul terrore, visto che intanto i greci hanno ulteriormente accelerato il ritiro di tutti i loro risparmi dalle banche. Puntare sul terrore significa chiudere la porta in faccia a Tsipras e dichiarare che, a questo punto, automaticamente dalla mezzanotte del 30 giugno verranno sospesi tutti gli aiuti alla Grecia.
L’eurogruppo ha ieri scelto questa seconda strada, all’unanimità. Penso e scrivo da tempo che le responsabilità greche siano evidenti e gravissime, visto che il paese per decenni anni ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità, comprovato dal fatto che in 13 anni su 30 addirittura la spesa pubblica nell’anno superava di 10 punti di Pil il totale delle entrate pubbliche. Credere di continuare a poter vivere al di sopra delle proprie possibilità non è lotta alle banche o al capitalismo, è solo una sfida alla legge di gravità: si finisce col sedere per terra.
Ma ribadito questo, è un grave errore che tutti gli altri governi dell’euroarea reagiscano come bimbi indispettiti al ricorso, in Grecia, della diretta sovranità popolare per via referendaria. Decidere di sospendere gli aiuti prima del referendum è un autogol. Significa far scatenare in Grecia, nei giorni precedenti alla consultazione popolare, il caos della chiusura bancaria obbligata, se alla sospensione del programma Ue-Fmi si aggiunge quella della linea straordinaria di liquidità ELA, fin qui garantita alle banche greche da parte della BCE. Mantenuta e anzi alzata (ogni due giorni, negli ultimi 10) dalla Bce al costo di sempre più pesanti obiezioni interne da parte della Bundesbank, e di altre banche centrali dell’eurosistema. Significa obbligare le autorità greche all’immediata adozione di misure draconiane sulla libertà dei capitali contro la loro uscita dal paese, contro il ritiro dei depositi bancari, contro l’utilizzo dell’e-banking per spostare asset. Significa anche, per l’eurozona, dire addio a molti dei confidati effetti del QE, che ora dovrà diventare ancor più manipolatorio concentrandosi sui paesi più esposti come l’Italia, che vedrà aggravate le sue conseguenze di condizionalità sulla finanza pubblica, non allentate come sperano i più in Italia, probabilmente a cominciare dal governo.
Politicamente, sospendere immediatamente gli aiuti è un favore fatto a chi punta a una rottura dell’euro in nome del ritorno all’autarchia monetaria e al nazionalismo come ideologia, al protezionismo doganale e alla ricerca di nuove alleanze economiche, diplomatiche e militari rispetto a quelle occidentali Ue-Nato, visto che Russia e Cina sarebbero sveltissime ad approfittarne mentre sul Mediterraneo è sempre più cupo il disegno perpetrato da ISIS.
Ieri il presidente della CSU tedesca, Horst Seehofer, ha dichiarato: “il governo greco in queste settimane ci ha offerto uno spettacolo da circo. Dobbiamo finire col circo il più presto possibile”. Sono parole che sottoscriverei: ma in privato. Se e quanto più i politici dell’euroarea useranno in questi giorni espressioni simili, tanto più il confronto politico diventerà automaticamente intossicato da nazionalismi sempre più accesi. E’ vero, Tsipras e Varoufakis hanno tirato la corda all’inverosimile. Ma è altrettanto vero che anche la controproposta Ue-Fmi non rende la Grecia solvibile nel 2016. Com’è vero che il FMI – che in questi ultimi due mesi ha riconosciuto che i greci hanno ragione nel chiedere un’ulteriore ristrutturazione del loro debito – ritenga però che la riduzione debba riguardare solo il debito detenuto dall’euroarea, non quello del FMI. Così son buoni tutti a cambiare idea: sui soldi degli altri.
La lista dei torti e delle incongruenze è lunga e non è solo greca, in questi sei mesi. Perché i greci, in realtà, hanno sempre continuato a dire ciò sulla cui base Syriza ha vinto le elezioni, e cioè che nelle condizioni in cui si trova il paese doveva essere consentito un ulteriore default parziale come quello del 2012 – che ha tagliato del 60% il debito detenuto da privati – ma restando nell’euro.
Non è troppo tardi, per evitare che la spirale ora tumultuosamente avviata continui a bruciare ogni residuo di fiducia reciproca. Basta non obbligare la BCE a sospendere la linea di emergenza alle banche greche, almeno sinché i cittadini di quel paese si esprimano nelle urne. Dando un’altra prova che siamo oggettivamente interessati a evitare che la Grecia si avviti in un’ulteriore recessione. C’è da scommettere che avvenga il contrario.
Non si tratta solo della Grecia, ma del significato stesso dell’euro. Che è pieno di difetti, a cominciare dal non prevedere l’uscita da chi non vuole condividerne le regole. Se i greci scegliessero di abbandonarlo – perché è su questo ormai il referendum, poche storie – non è vero né che tutto resterebbe come prima, né che non saremmo esposti a danni peggiori di quelli che avremmo subito rinunciando a una parte di ciò che i greci ci devono, ma instaurando in quel caso una trattativa molto più seria dello scontro di lotta libera al quale abbiamo assistito.
Credere che non si parli anche dell’Italia, nelle scelte che faranno i greci, credere che non ne deriverà un ulteriore impulso a Podemos in Spagna, a Grillo e Salvini da noi, significa credere alle favole. O meglio, significa scommettere sulla paura, non sulla fiducia. Sarà dura replicare ai no euro che l’euro val comunque la pena, se non riesce a trovare soluzioni cooperative neanche per il 2% dell’euroarea.