Un altro buco nell’acqua—di Carlo Amenta e Luciano Lavecchia
Questo articolo, a firma di Luciano Lavecchia e Carlo Amenta, è stato originariamente pubblicato su Livesicilia.
Ad appena due anni dall’ultimo intervento normativo l’Assemblea regionale siciliana (legge reg. 2/2013) ha deciso di intervenire nuovamente, ed in maniera molto intrusiva, nella regolamentazione del sistema idrico integrato. Se, per un verso, l’interesse per un settore tanto delicato, gravato da problemi notevoli, è apprezzabile, dall’altro ci sembra che le scelte fatte dal legislatore regionale difficilmente possano essere risolutive. Partiamo da alcuni osservazioni preliminari: a dispetto delle dichiarazioni di apertura della legge in cui la risorsa idrica si definisce come “bene essenziale ed insostituibile per la vita”, la realtà del sistema idrico in Sicilia è fatta di reti colabrodo: secondo i dati Istat aggiornati all’anno 2013 circa la metà dell’acqua immessa in Sicilia si perde.
Al termine del suo utilizzo, l’acqua ritorna spesso in mare senza prima essere stata debitamente trattata contribuendo così ad inquinare considerevoli parti delle coste siciliane, poiché la metà dei comuni siciliani non ha mai adeguato i propri impianti di depurazione. Queste criticità sono il risultato di anni di mala gestione, spesso di natura pubblica, oltre che di un quadro non certo di regole che ha gettato nel caos il sistema idrico siciliano: la precedente riforma è rimasta un’incompiuta, con alcuni degli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) che non hanno mai scelto il soggetto a cui affidare la gestione del servizio, con comuni che non hanno mai consegnato le reti idriche ed un soggetto pubblico, l’Ente Acquedotti Siciliani (EAS), con centinaia di milioni di debiti. A completare questo desolante quadro è intervenuto anche il curioso esperimento di Siciliacque, la società con capitale misto Regione e privati che ha sostituito l’EAS nella gestione del c.d. “sovra-ambito”.