Solo il 24 dicembre porrà fine al cinico balletto sui prepensionamenti
Governo e maggioranza, in particolare il Pd, hanno deciso da settimane di mandare in bambola centinaia di migliaia di italiani. Si tratta di coloro che l’anno prossimo non sono in linea con i requisiti minimi previsti per la pensione dalla legge Fornero, ma non ne sono neanche troppo lontani. A loro è riservato dunque un complicato balletto di promesse e contropromesse, a cui seguono smentite e controsmentite, tutte finalizzate a questa o quella ipotesi di prepensionamento attraverso la legge di stabilità. Inutile dire che così si mina la fiducia degli italiani. Ma la politica ha le sue misteriose strade, per perseguire i propri obiettivi di consenso. L’ultima nuova è quella del prepensionamento integralmente a carico delle aziende che appare oggi sui media: una bella trovata politica non c’è dubbio, deciderlo a spese altrui…
Cominciamo dalle regole vigenti. Nel 2016 è previsto un giro di vite sui requisiti previdenziali, in coerenza al percorso a tappe forzate deciso ai tempi del governo Monti. Dal 2016 al 2018 per la pensione di vecchiaia saranno necessari 66 anni e 7 mesi di età e almeno 20 anni di contributi, per i lavoratori dipendenti e autonomi nonché per le lavoratrici del pubblico impiego. Per le lavoratrici nel settore privato il requisito sarà di 65 anni e 7 mesi rispetto agli attuali 63 anni 9 mesi, mentre per le autonome i tetti salgono da 64 anni e 9 mesi a 66 anni e 1 mese. Per chi avesse i requisiti di età e contributivi ma una pensione inferiore all’equivalente di una volta e mezzo l’assegno sociale, la pensione scatta anche solo con 5 anni di contribuzione, ma solo dopo i 70 anni e 7 mesi di età.
Le pensioni anticipate saranno possibili a chi, a qualunque età, avrà almeno 41 anni e 10 mesi di contributi versati per le donne, e 42 anni e 10 mesi per gli uomini. Chi avesse 20 anni di contributi versati dal 1996, e dunque soggetti al sistema contributivo puro, potrà andare in pensione a 63 anni e 7 mesi, ma al solo patto che la pensione maturata non sia inferiore a 1250 euro. Queste le regole vigenti dal prossimo anno, a cui si aggiunge l’adeguamento automatico dei coefficienti di trasformazione per calcolare il trattamento previdenziale moltiplicandolo per il montante versato, coefficienti che diminuiscono progressivamente nel tempo sempre per pareggiare l’attesa di vita, e che tengono conto anche del Pil realizzato intanto in Italia.
Su queste regole, si è messo per traverso prima il Jobs Act. All’ultimo momento è stata ripescata l’idea della staffetta generazionale, e nei nuovi contratti di solidarietà in uscita si è previsto che il lavoratore vicino alla pensione potrà lavorare part time e insieme percepire dall’Inps una quota della pensione già maturata, senza tagli di reddito. E’ un’ipotesi riservata ai dipendenti con almeno 20 anni di contributi e a cui mancano non più di 2 anni per raggiungere il requisito anagrafico, cioè come detto per gli uomini 66 anni e 3 mesi quest’anno, 66 anni e 7 mesi nel 2016. Se ci sarà un contratto di solidarietà che preveda nuove assunzioni a tempo indeterminato, gli anziani possono ridurre l’orario almeno alla metà e, insieme al relativo diminuito stipendio, percepire una quota di pensione a patto che non superi la precedente retribuzione full time.
A tale regime sui aggiunge quello della cosiddetta “opzione donna”, che oggi prevede la pensione per le lavoratrici di 57 anni e 3 mesi per le dipendenti e 58 anni 3 mesi per le autonome, se hanno almeno 35 anni di contributi (si va però concretamente in pensione solo aspettando finestre che si aprono ogni 12 mesi per le dipendenti e ogni 18 per le autonome). Chi sceglie l’opzione donna ha l’assegno decurtato, perché in ogni caso è calcolato integralmente col sistema contributivo. Il taglio può arrivare al 30%dell’assegno, ma nel 2014 quasi 12 mila donne l’hanno accettato.
In più: c’è la pensione anticipata per i lavori usuranti. Per loro vige un sistema ancora diverso. Nel 2015 occorre una quota minima sommata di 97,3 anni, sommando età anagrafica e contribuiti versati. Anche per loro sono previste finestre mobili e aggravamento progressivo negli anni del tetto, in coerenza all’aspettativa di vita. In realtà i prepensionamenti “usuranti” sono pochissimi, si fa prima a raggiungere i requisiti ordinari di vecchiaia.
Infine, c’è il prepensionamento legato ad accordi specifici tra aziende e sindacati, in caso di esuberi di personale: il personale in eccedenza a cui manchino non più di 4 annui per i requisiti minimi ordinari di pensione può smettere di lavorare e resta a carico dell’azienda, che gli versa un equivalente di pensione e in contemporanea gli versa anche i contributi come se lavorasse, fino alla pensione ordinaria. Molto onerosa come formula per le imprese: in realtà applicabile solo da grandi aziende con evidenti problemi di turn over di personale ma ricche disponibilità di liquidità, non proprio la regola in Italia. Ed è esattamente quest’ultimo il modello che oggi sui media fonti di governo e maggioranza dicono di voler estendere nel 2016.
Ecco, spero di essermele ricordate tutte, le forme di pensionamento ordinarie e straordinarie attualmente previste. In queste settimane capita che parti del Pd e tutti i sindacati, il ministro Poletti e il sottosegretario Baretta e il presidente di Commissione Damiano, propongano l’ampliamento delle platee e l’abbattimento dei requisiti praticamente a rotazione per ognuna delle forme di pensionamento anticipato oggi prevista: si tratti dell’opzione donna o di quella per usuranti, del prepensionamento a carico delle aziende, o anche dell’utilizzo dei 3 miliardi sin qui non impegnati e stanziati dalle 6 salvaguardie già votate per 170 mila esodati (ma solo 130mila hanno presentato domanda), al fine di prepensionare il più possibile dei disoccupati di lungo periodo over 55enni, invece di pensare per loro a politiche attive per reinserirli al lavoro.
Ciascuna di queste ipotesi è avanzata dai proponenti giocando al ribasso sulla stima reale dei costi e cioè dei miliardi necessari a coprirle, perché i voti vengono prima. Il governo stesso ha detto e non detto. Padoan più volte ha smentito prepensionamenti in deficit, poi è stato corretto da Renzi. Al MEF riservatamente dicono che non sanno più dove sbattere la testa, visto che nel frattempo Renzi ha promesso un non meglio identificato intervento per la povertà e un imprecisato taglio dell’IRES a tutte le imprese visto che per il solo Sud Bruxelles ha detto no, perché sarebbe stata violazione del divieto ad aiuti di Stato. Nel frattempo è sfumato anche l’introito della Digital Tax, anch’essa ovviamente e giustamente bocciata da Bruxelles. Mentre il commissario europeo Moscovici domenica ha ricordato che se il governo vuol tagliare le tasse deve tagliare la spesa in maniera altrettanto strutturale, figurarsi se può aggravare il deficit previdenziale.
La coperta è corta, cortissima per tutte queste promesse insieme. Il consiglio che diamo è uno solo: aspettate a capire per la pensione, ma non la sera che sarà presentata la legge di stabilità, bensì il 24 dicembre quando il parlamento l’approverà definitivamente. Perché una cosa è sicura. I partiti, destra e sinistra, vogliono i voti dei prepensionati a fanno gara a coccolarli. Ma cosa davvero sarà proposto e votato, si capirà solo all’ultimo secondo. Quando il governo avrà veramente deciso quanto deficit aggiuntivo se la sente di sostenere a Bruxelles.