24
Mar
2014
Pagare i politici per quel che valgono
La discussione sulle retribuzioni dei manager pubblici, seguita all’ipotesi di tagli prospettata dal governo, com’era immaginabile, si è polarizzata ideologicamente tra le voci del sentimento anticasta, che plaudono all’idea di dare finalmente un taglio ai burocrati nominati dagli amici degli amici e i bastian contrari, che pur di non apparire demagogici, si arrampicano sugli specchi a difendere l’indifendibile.
La questione è in realtà un poco più complicata di così e ha ben poco a che fare con la concorrenza e il mercato, come ho provato a spigare in questo post.
Dai manager ai politici il passo è breve ed ecco, ad esempio, Luca Telese su linkiesta, paventare l’ascesa dei mediocri qualora ci permettessimo di pagare troppo poco gli eletti dal popolo.
Quanto è giusto pagare un sindaco o un deputato?
Si tratta di una domanda alla quale è quasi impossibile rispondere, poiché è estremamente complicato quantificare il contributo che queste persone danno alla collettività e, di conseguenza, il compenso adeguato per questo contributo non è certo determinabile da un sistema di mercato.
O forse si?
Facciamo un passo indietro. La difficoltà nel determinare il compenso adeguato per l’attività politica deriva dall’assimilazione dello stesso a un lavoro vero e proprio. In quest’ottica, non esiste un motivo valido per sostenere che un deputato debba essere pagato quanto un medico o un ingegnere piuttosto che quanto un operaio o un netturbino.
Se proviamo invece a partire da un presupposto differente tutto diventa più semplice e lineare. Se intendiamo la politica come un servizio temporaneo per la collettività e fin troppo banale determinare qual è il compenso equo che consenta di evitare la selezione avversa dei migliori: è sufficiente retribuire chi fa politica in misura proporzionale a quando ha dichiarato negli ultimi anni prima di candidarsi.
Se per un certo periodo un agricoltore, un avvocato o un idraulico decidono di servire la comunità, verranno compensati con un importo pari alla media dei redditi dichiarati negli anni precedenti alla loro elezione. Una persona che, con le proprie capacità, riusciva a guadagnare 30 o 50 o 100mila euro l’anno prima di fare politica, guadagnerà altrettanto nel limitato periodo di tempo in cui decide di servire la collettività.
I vantaggi più evidenti di questa soluzione sono che:
- nessuno potrebbe guadagnare dall’attività politica più di quanto ottiene dal suo lavoro ordinario
- chi percepisce redditi non dichiarati dovrebbe rinunciarvi per fare politica
- il limite al tempo consentito all’attività politica favorirebbe un utile ricambio
- si abolisce o ridimensiona la figura del politico di mestiere che spesso non riesce a comprendere le esigenze dei cittadini che devono lavorare per vivere
- il peso dell’ultima retribuzione verrebbe mediato con gli anni precedenti limitando la convenienza di “aumentarlo ad arte”
Onde evitare gli inconvenienti,che potrebbero verificarsi agli estremi, si può immaginare di prevedere un minimo e un massimo alle retribuzioni parametrandole, ad esempio, al pil pro capite oppure ad altre soglie derivanti dalla distribuzione per reddito della popolazione.
Insomma, se la politica venisse considerata un servizio piuttosto che un mestiere esiste un compenso equo per chi vi si dedica a e coinciderebbe con il costo opportunità del tempo dedicato a questa attività che, per definizione, dovrebbe essere limitato (es due mandati).
Con tutto il rispetto, mi sembra una stupidaggine.
Nell’ipotesi di un chirurgo e un muratore che, per ipotesi, si rivelassero politici di pari abilità, il primo guadagnerebbe molto più del secondo pur facendo lo stesso lavoro. Non mi pare un gran “meccanismo di mercato”.
@giorgio il punto è esattamente quello: il muratore e il chirurgo non verrebbero remunerati per la loro attività di politici (il che implicherebbe decidere quanto vale fare il politico e porta a discussioni e problemi irrisolvibili)
Entrambi invece riceverebbero un compenso per il tempo dedicato a servire il pubblico e il compenso sarebbe uguale al costo opportunità ossia a quanto avrebbero guadagnato facendo quello di cui si occupavano prima di fare politica
Effettivamente il commento di Giorgio coglie un punto chiaro, un ex netturbino che fosse politicamente un grande statista avrebbe sempre uno stipendio limitato rispetto a tutti gli avvocati, imprenditori, medici che anche oggi intasano con scarsi risultati i palazzi del potere.
Ma soprattutto considerare la politica un servizio la squalificherebbe agli occhi di potenziali ottimi politici che si vedrebbero limitati nel tempo e nelle possibilità.
Borges notava con scetticismo che come per un malessere ci si rivolge al medico professionista o per un progetto si va da un architetto solo in politica è d’uso pensare che chiunque, al di la’ di formazione ed esperienza, possa cimentarsi aspettandosi buoni risultati.
Mi permetto di aggiungere che, se davvero la politica è un’attività da cui dipendono le vite delle persone e dei paesi, allora dare la possibilità a chi vi ottiene ottimi risultati di guadagnare più che con altri lavori è uno stimolo alla partecipazione delle migliori menti della società. Ovviamente non solo di queste, ma mi sembra che la proposta di Famularo sia lontana da essere una soluzione praticabile.
A me tutta questa frenesia di limitare i politici di professione coi due mandati o similia non convince affatto. Perchè un bravo amministratore della cosa pubblica, riconosciuto come tale e votato legittimamente non dovrebbe fare quel lavoro per tutta la vita? Cosa ci guadagnerebbe la collettività? Semmai il problema è inserire buone norme anticorruzione e farle rispettare (e questo è un problema politico) tali da scoraggiare i “falsi professionisti della politica”, cioè quelli che vogliono governare per il loro tornaconto e non per il bene della collettività che servono.
Pensare che la gestione di un qualche potere politico per più di un certo tempo ponga automaticamente un problema di corruzione, secondo me significa che le norme o la morale collettiva sono tali che cmq il problema grazie ai limiti di mandato non risolverebbe nulla (verrebbero usati i “prestanome” della politica affichè tutto cambi senza che cambi nulla).
Se voleva essere un testo scherzoso, direi che non fa ridere. Se voleva essere serio, allora mi sembra che ci sia qualcosa che non vada nella selezione dei contributi al blog. Sarà stata sicuramente avversa.
Caro Massimo, e’ da anni che quando si parla di politica tra amici sostengo la sua tesi: la politica e’ un servizio e non un mestiere e di conseguenza a chi fa politica deve essere garantito lo stesso tenore che aveva prima di prestare il suo servizio per la comunita’ e aggiungo che ci deve essere un minimo pari alla indennita’ di disocCupazione e un massimo. Il minimpo deve essere garantito perche’ ad es. Molti poitici prima erano disoccupati senza arte e ne parte (informatevi ce ne sono molti nel parlamento dei nominati) e un massimo deve essere imposto perche’ se la politica diventa una cosa serie magari succede come in altri Paesi dove chi guadagna milioni di dollari l’anno decide per un certo periodo di percepire meno pur di poter dare un servizio alla sua comunita’. Ma non c’e’ miente da fare, rimedio solo sorrisetti (del genere anche lui dice minchiate) perche’ se no due persone che fanno lostesso lavoro (e dagli Con il lavoro) sarebbero pagate diversamente. Da qulche parte ho letto che in svizzera c’e’ qualcosa del genere.
Se ci fosse un esmpio che funziona da qualche parte, magari servirebbe a scuotere le coscenze. Faccio a lei la domanda: c’e’ in giro qualcosa che assomiglia a quello che dice nel suo post?
@Daniele Nasi
Mi scusi ma non colgo il punto: attualmente il compenso dei politici non è differenziato in base alla produttività. L’ex netturbino che fosse un grande statista anche oggi prende esattamente quanto il suo collega nullafacente o incapace.
L’unica distinzione è che oggi entrambi percepiscono un compenso uguale in termini monetari, nella mie ipotesi percepirebbero un compenso analogo dal punto di vista del costo opportunità. Mi permetto anche di dissentire sul punto che “considerare la politica un servizio la squalificherebbe agli occhi di potenziali ottimi politici che si vedrebbero limitati nel tempo e nelle possibilità.” questa è una sua legittima e rispettabile opinione, ma non vedo in giro delle evidenze a supporto.
Anzi mi pare che, al contrario, le persone che riescono meglio, non solo in politica, ma in qualsiasi attività siano proprio quelle che non esercitano quelle attività unicamente in base alla remunerazione monetaria, ma per anche per la soddisfazione (passione?) che provano nel portare avanti quello che gli piace o in cui credono.
Resta inteso che non si è mai parlato di pagare poco o troppo poco i politici, semplicemente di dare loro un compenso analogo a quello che riescono a portare a casa nella loro attività principale, che costi
Quanto al riferimento a Borges, mi pare che esponga esattamente l’accezione della politica come mestiere, punto di vista sicuramente legittimo, ma come ho specificato all’inizio ho provato a descrivere un approccio differente. Inoltre il mio approccio non implica che la politica sia un’attività per “qualunquisti”, quanto piuttosto che per farla bene occorra aver lavorato ossia fatto altro prima in modo da capire come funziona il mondo reale. Oggi assistiamo ai professionisti della politica che non comprendono i problemi del paese proprio perchè in molti casi non hanno mai lavorato per vivere
Inoltre l’idea di premiare i politici migliori facendoli guadagnare di più non mi sembra praticabile perché implica dei giudizi di valore ineliminabili (un politico che taglia la spesa ad alcuni elettori può sembrare valido ad altri no) e in ogni caso non avviene nella pratica, posto che il compenso è uguale per tutti
Caro Ant,
a me l’idea è venuta in seguito alla recente discussione sui manager pubblici. Non so se ci sono degli esempi concreti.
Più in generale credo che la resistenza che questa impostazione trova risieda nell’interesse di molti politici di mestiere a non ammettere che il re è nudo ossia che fuori da questo ambito molto particolare saprebbero fare altro (o in ogni caso guadagnerebbero molto di meno)
@sertin personalmente non sono contrario in linea di principio alla permanenza in carica anche oltre i 2 mandati.
Credo che sia un punto molto legato a come si intende questa attività
Se la politica è un mestiere, allora è scontato che chi lo sceglie può farlo per tutta la vita.
Se la politica è un servizio, per il quale scegliamo delle persone che abbiano fatto altro e dunque conoscano i problemi di chi deve lavorare per vivere l’imposizione di un limite temporale serve ad evitare che la politica da servizio si trasformi in mestiere ossia che chi fa da troppo tempo il politico per il contatto con la realtà.
Quella dei 2 mandati poi è un’indicazione di massima. Se sono 3 non cambia molto. La differenza principale è tra con o senza limiti
Massimo, capisco il suo punto di vista ma non lo condivido. La politica sarà anche un servizio ma, se fatta bene, assorbe per 7 giorni su 7 e per parecchie ore al giorno. Non ritengo corretto che chi guadagna 1000 euro al mese continui a percepirne altrettanti per una o più legislature da politico. Oltretutto, senza possibilità di aumento come invece avrebbe sul lavoro. Alla fine, solo chi provenisse da mestieri ben remunerati troverebbe un qualche incentivo a darsi alla politica. E’ questo che si vuole?
Sig. Famularo
“Se la politica è un mestiere, allora è scontato che chi lo sceglie può farlo per tutta la vita.”
La politica può anche essere un mestiere. L’importante è come viene esercitato. Se bene e a vantaggio indubbio della società, secondo me è inutile mettere limiti.
“Se la politica è un servizio, per il quale scegliamo delle persone che abbiano fatto altro e dunque conoscano i problemi di chi deve lavorare per vivere l’imposizione di un limite temporale serve ad evitare che la politica da servizio si trasformi in mestiere ossia che chi fa da troppo tempo il politico per il contatto con la realtà.”
E’ sempre il solito problema. Il politico mediocre perde il contatto con la realtà ( e in un Paese sano non dovrebbe essere rieletto, semplicemente).
Poi direi che c’è nelle sue parole una eccessiva enfasi sul concetto di lavoro precedente (presumo inteso nel senso di portare la pagnotta a casa). Vogliamo impedire a disabili impossibilitati a lavorare, casalinghe (che non lavorano nel senso che dice lei), studenti universitari, ecc. di potersi candidare?
Mi pare che anche queste categorie possano portare un voce degna di ascolto in parlamento.
Approvo incondizionatamente e metterei come unico (piccolo) incentivo un minimo di aumento (max 15/20%) sul valore medio di cui si parla.
Il punto chiave di togliere di mezzo l’idea della ‘politica come mestiere’ mi sembra che da solo valga l’extra costo che si potrebbe avere.
Inltre un altro punto fermo dovrebbero essere un minimo (che so pari a X volte la pensione minima) ed un massimo (idem come sopra con coefficiente maggiore del precedente ma sullo stesso parametro base).
La provocazione è interessante, ma manca di un principio fondamentale nella retribuzione di chiunque (politici e manager pubblici compresi), che è quello della congruità tra stipendio e livello di responsabiliità.
Se come politico mi trovo a gestire un livello di responsabilità (economico o sociale) diverso rispetto a quello della mia precedente professione, dovrei essere retribuito per questo, in quanto devo essere compensato anche per i rischi connessi alla nuova carica, altrimenti avrei un compenso palesemente iniquo e potrei indirettamente favorire coloro che dall’attività politica ricavano guadagni in modo illecito, e disincentivare coloro che lo farebbero con onestà.
Il punto però non è tanto sul costo unitario del politico o del manager, ma sul numero dei medesimi e sulle loro effettive responsabilità.
Avere 1000 tra deputati e senatori, a cui andiamo ad aggiungere 600 tra consiglieri ed assessori regionali, nonchè 1800 consiglieri ed assessori provinciali, è una follia costosa che genera inefficienza.
Se ad oggi consideriamo che nel comune di Milano i due principali datori di lavoro sono il Comune e la Regione, capiamo che siamo arrivati già ad un punto di non ritorno, e che la priorità è la razionalizzazione della struttura politica e di governance dei servizi assegnati al pubblico, e non lo stipendio unitario assegnato ai manager della medesima.
Discutere oggi dello stipendio di Moretti è un enorme regalo che facciamo a tutti coloro che si affannano a nascondere la necessità di più che dimezzare il numero dei politici e razionalizzare le aziende di servizi (un particolare saluto ad A2A di cui nessuno parla e che è un campione nazionale di strabismo con due consigli al posto di uno), perchè sposta il focus su aspetti populistici che tanto stanno a cuore alla Camusso ed a Grillo, ma che con l’efficienza di cui abbiamo urgentemente bisogno a non ci azzeccano nulla.
Se Renzi segue questa strada, siamo rovinati.
Saluti
FRdC
@fulco russo
comprendo il suo rilievo in merito alla congruità tra responsabilità e compenso, che potrebbe peraltro essere anche letto nell’ottica del rischio connesso all’attività svolta. Ritengo tuttavia che il suo ragionamento sia applicabile più agli alti dirigenti della pubblica amministrazione e ai manager pubblici, che non ai politici eletti.
Ricadiamo quindi nella distinzione iniziale tra servizio pubblico e attività professionale. Se qualcuno mi incarica di dirigere un’importante settore della pubblica amministrazione, per accettare chiederò che mi sia corrisposto un compenso in linea con le responsabilità e i rischi connessi con quella posizione. Se però vengo eletto in parlamento, è difficile immaginare che ci siano delle responsabilità individuali o dei rischi professionali connessi con l’attività di parlamentare. In quel senso io argomentavo che il compenso equo va commisurato al costo opportunità del tempo dedicato
Discorso limite per talune cariche, come ad es quella di sindaco o incarichi come quello di ministro laddove il ruolo presenta talune caratteristiche del servizio e altre invece dell’attività professionale.
La dove la distinzione dei ruoli è chiara io credo che il servizio vada compensato come costo opportnità
Nei casi di confine si potrebbe ipotizzare un compenso base parametrizzato alla retribuzione precedente ed eventualmente delle indennità aggiuntive derivanti dalle specificità del ruolo, meglio se in qualche modo legate anche alla performance.
Quest’ultimo aspetto riguarderà esclusivamente la componente professionale: una decisione politica come tagliare o meno la spesa non può essere giudicata in modo obbiettivo poiché taluni elettori la considereranno positiva altri no, viceversa una riforma organizzativa, che ad esempio riesca a contenere i costi mantenendo inalterati i servizi erogati è assimilabile ad un’attività professionale
@giorgio
in parte l’osservazione “Alla fine, solo chi provenisse da mestieri ben remunerati troverebbe un qualche incentivo a darsi alla politica. E’ questo che si vuole?” può trovare una risposta nel congruo modo di individuare il minimo e il massimo che avevo indicato al termine dell’articolo.
Mi rendo conto che l’attività politica può essere molto impegnativa e che questo sistema, senza i giusti correttivi potrebbe in qualche modo selezionare in modo distorto i candidati privilegiando appunto chi proviene da mestieri ben remunerati.
A mio modesto avviso occorre considerare che diversi individui hanno produttività differenti nei diversi ambiti. In particolare possiamo osservare che lo stesso risultato che alcuni riescono a conseguire in poche ore ad altri richiede giorni. In fondo l’attività politica, in ultima analisi consiste nel dare rappresentanza al popolo, per gli aspetti tecnici ed operativi ci sono i dipendenti e i consulenti della PA.
Limitandoci quindi al solo ruolo meramente politico e magari specificando un rimborso per le spese sostenute e documentate (quindi viaggi, trasferte telefonate, connessioni a internet sono a parte) io credo che sia sufficiente fissare un minimo non troppo distante dalla media della retribuzione per ottenere una soluzione che sia soddisfacente dal piunto di vista dell’equità e garantire anche una selezione non distorta.
Riflettiamoci un secondo, fissata adeguatamente la soglia minima, ad esempio pari al 100% del reddito medio nazionale, il problema da lei sollevato si porrebbe solo per quelle persone che nel mondo del lavoro guadagnano meno della media nazionale e per fare politica avrebbero bisogno di un compenso (al lordo delle spese) superiore alla media nazionale.
Siamo sicuri che privilegiare chi accetta di far politica per un reddito pari alla media perché magari è svelto, sa organizzarsi ha passione o per qualunque altra ragione non sia la scelta migliore per la collettività?
Non sostengo che chi era disoccupato o guadagnava meno della media nazionale debba essere escluso dall’attività politica, dico solamente che se vuol farla dovrebbe “accontentarsi” di una paga pari alla media nazionale (pil PPA pro capite) chiedo troppo?
@ sertin
<>
No non dico che chi appartiene a quelle categorie non debba candidarsi, dico che non avendo un valore di riferimento per il costo opportunità, costoro dovranno “accontentarsi” del minimo che secondo me potrebbe essere pari al Pil Pro capite. Peraltro, nel caso dei disabili a detto reddito andrebbe aggiunto il rimborso delle eventuali spese necessarie per ottemperare al ruolo