Paese che vai, Antitrust che resta
Prima le case dolciarie, poi i produttori di caffè, dopodiché quelli di carne e di birra, infine oggi le grandi catene di supermercati. Pare che l’Antitrust tedesco non sia affatto da meno rispetto a quello italiano e che apra inchieste, nella presunzione di conoscere quale sia il prezzo giusto di una tavoletta di cioccolato o di una busta di espresso. La multa inflitta a Rossmann nel 2007 per aver smerciato 55 prodotti al di sotto del prezzo di mercato (sic!) è segno che è sempre valido quanto si scrisse a proposito della benzina tempo fa: abbassare i prezzi sotto una determinata soglia significa fare dumping, alzare indiscriminatamente i prezzi significa tentare di maturare extraprofitti ingiustificati, mentre fissare i prezzi su un livello non troppo dissimile da quello dei concorrenti rischia di essere considerata una strategia di cartello. Indagando il comportamento di ventiquattro, e dico v-e-n-t-i-q-u-a-t-t-r-o, catene di supermercati (praticamente tutte le principali presenti sul mercato teutonico) i tecnocrati di Bonn dimostrano di aver perso completamente il lume della ragione. Innanzitutto perché non si conosce esattamente la dimensione di questi accordi e su quali merci siano avvenuti. Si sente puzza di bruciato e si apre un’inchiesta. Bel metodo!
Ma ve li immaginate? Tutti quanti i direttori commerciali delle società che si siedono intorno ad un tavolo e si dicono: “Bene, da oggi in tutti i supermercati del paese il caffè, i dolciumi e il cibo per animali (sic!) devono costare tra x e y”. Vi pare realistico? A noi no. Innanzitutto perché più sono gli operatori autori della collusione, più è alto l’incentivo a “scartellare” (l’instabilità di un cartello di così grandi dimensioni è sotto gli occhi di tutti), in secondo luogo perché il mercato della grande distribuzione in Germania è così vario e sfaccettato che lo spazio per concorrenti in grado di offrire prodotti a prezzi più bassi c’è eccome. Andate a fare la spesa in Germania e ve ne accorgerete. Proprio ieri a Berlino Aldi, Netto/Plus e Penny hanno peraltro deciso (ulteriori) ribassi sui prezzi per generi di prima necessità. In terzo luogo perché il cioccolato non è il cioccolato e basta: esistono diverse marche e diversi prodotti con prezzi diversi a seconda delle preferenze dei consumatori, il prodotto cioccolato, così come quello caffè è cioè disomogeneo di per sé.
I prezzi poi non stanno nelle cose, ma rispecchiano le preferenze soggettive dei consumatori. Può essere che il prezzo aumenti perché la domanda cresce più proporzionalmente di quanto si riesca a produrre. Così come è possibile che sia un effetto del fattore monetario (in questo caso sarei però portato a dire di no).
Nel caso specifico non sappiamo se il cibo per gatti in Germania sia troppo alto o troppo basso. Ma è l’interrogativo ad essere fuorviante. Se anche i “collusori” avessero trovato un accordo e fosse stato rispettato ci troveremmo nel pieno solco di un processo di mercato, ovvero di conoscenza, non al di fuori. I produttori tentano di coordinarsi, di trovare la strategia più efficiente alla distribuzione e lo fanno in gruppo, raccogliendo le informazioni necessarie nell’ordine spontaneo. Che ciò sia destinato a funzionare non è detto: l’elasticità della domanda e l’ingresso di nuovi concorrenti, così come fattori esogeni inaspettati possono modificare da un momento all’altro la situazione. Si tenta e sbaglia. Così vanno le cose, anche per le tanto aborrite grandi imprese.
Tali operazioni dell’Antitrust tedesco vanno insomma ascritte alla grande illusione di poter controllare il mercato, modificandone i marchingegni e le rotelle, come si trattasse di un giocattolino perfettamente statico. Il mercato non è statico, è dinamico. Lasciamo contrattare i produttori ed eliminiamo le barriere all’ingresso. Tocca poi al consumatore rispondere.
oggi l’antitrust italiana ne ha aperta una contro esselunga