Uber: a Londra vinta una battaglia, ma la guerra è ancora aperta – di Alessandro Cocco
Il Westminster Magistrates Court ha concesso ad Uber una licenza di prova della durata di 15 mesi. Ogni sei mesi l’azienda dovrà fornire a TfL una verifica indipendente delle proprie operazioni.
C’è un giudice a Londra, e – in appello – ha dato ragione a Uber: l’app di ride sharing potrà tornare operativa nella capitale britannica.
A fine 2017, TfL (Transport for London, l’ente a partecipazione pubblica che regola il trasporto pubblico londinese) aveva deciso di non concedere la licenza per operare nella capitale del Regno Unito alla multinazionale americana, che aveva proseguito le attività impugnando la decisione. Ora le sue ragioni vengono riconosciute.
Nel merito, il Westminster Magistrates Court ha concesso ad Uber una licenza di prova della durata di 15 mesi. Ogni sei mesi l’azienda dovrà fornire a TfL una verifica indipendente delle proprie operazioni. La decisione stabilisce inoltre che Uber segnali puntualmente: a) eventuali attività criminali da parte dei propri driver; b) cambiamenti nella gestione dei dati dei conducenti o dei passeggeri; c) reclami da parte dei clienti.
L’avvocato di Uber ha subito detto “riteniamo che TfL abbia preso la decisione giusta”, aggiungendo che “adesso l’onere spetta a noi”. Anche il general manager di Uber UK, Tom Elvidge, ha detto di essere “felice della decisione di oggi” assicurando che “continueremo a lavorare con TfL per rispondere alle loro preoccupazioni e guadagnare la loro fiducia, fornendo al contempo il miglior servizio possibile ai nostri clienti.”
Dopo che il divieto di TfL fu inizialmente annunciato, il CEO di Uber – Dara Khosrowshahi – scrisse allo staff della compagnia, dicendo: “La verità è che c’è un costo elevato per una cattiva reputazione. Importa davvero ciò che la gente pensa di noi, specialmente in un business globale come il nostro”.
Il giudice ha dato il disco verde a Uber anche in considerazione delle novità introdotte dall’azienda al fine di migliorarne l’immagine. Tra queste vi sono l’impegno a segnalare eventuali “incidenti gravi” avvenuti durante le corse direttamente alla polizia, l’introduzione di linee di assistenza telefonica attive 24 ore su 24, ma anche l’implementazione sull’app di un “pulsante antipanico”, che consente ai riders di chiamare immediatamente la polizia.
Tuttavia, la vittoria di Uber non è priva di costi né rappresenta una conquista definitiva. Infatti, data l’importanza non solo simbolica del rimanere operativa a Londra (3,5 milioni di clienti, sede dell’80% circa dei suoi driver inglesi) Uber ha dovuto accettare una pesante regolamentazione. Forse è pure possibile esser d’accordo col comunicare a TfL le eventuali attività criminali dei conducenti, anche se viene da chiedersi che utilità ci sia nel comunicarlo a TfL e non solo alla polizia. Ma non si può che rimanere perplessi per la questione dei dati: per quale ragione Uber dovrebbe informare anche TfL di eventuali modifiche nella gestione dei dati dei passeggeri e dei conducenti e non solo questi ultimi? E certamente non si può esser in alcun modo d’accordo con l’attesa che Uber si faccia cattiva pubblicità da sola, comunicando a TfL – un ente che affianca funzioni tipicamente regolatoria ad altre di gestione diretta dei trasporti pubblici a Londra – i reclami dei propri clienti.
Le regolamentazioni finiscono spesso per produrre effetti perversi del tutto contrari a quelli che si prefiggevano: oltre all’eventuale aumento dei costi per i clienti finali, Uber potrebbe essere costretta a disincentivare i feedback dei clienti, specie se negativi, perdendo una delle leve più importanti di miglioramento del servizio.
La buona reputazione è tuttavia importantissima – proprio come ammesso da Khosrowshahi – e tanto sarebbe bastato a far cambiare rotta a Uber. La sua esistenza dovrebbe essere legata unicamente alla disponibilità di scaricare l’applicazione e usarla (come passeggero o come conducente) delle persone. Questo è ciò che avviene in una economia di mercato, questo è ciò che avviene laddove si ritengano le persone sufficientemente mature da poter prendere da sole le proprie scelte.
La regolamentazione che i giudici britannici hanno imposto all’azienda sembrano invece intese a procurare un certo vantaggio a TfL, che da player diventa anche arbitro invadente.
Alla sentenza potrebbe fare seguito, come spesso accade in simili situazioni, l’imitazione da parte di altre città inglesi, come Birmingham, York e Bristol Garantire adeguate protezioni ai consumatori è importante, ma altrettanto importante è promuovere la concorrenza e non limitare l’offerta: protezioni eccessive rischiano di essere equivalenti a nessuna protezione, se fanno venire meno l’intero servizio.
L’esistenza di aziende come Uber non deve essere subordinata alla paternalistica sorveglianza dei vecchi player del settore, che hanno solo da perdere dall’innovazione.
Alessandro Cocco