Organismi partecipati dagli enti territoriali
In occasione dell’inaugurazione dell’anno 2013 della giustizia contabile, il procuratore regionale della Corte dei Conti della Campania, Tommaso Cottone, ha rivolto un’aspra critica nei confronti delle società partecipate dagli enti locali: “Le partecipate sono il vero cancro degli enti locali, un passato di cui non ci si riesce a liberare, con incarichi e consulenze dai compensi fuori mercato che non hanno prodotto niente”. Come ha dichiarato Cottone: “le Procure regionali della Corte dei conti hanno intercettato in queste gestioni fenomeni di mala gestio che si sono concretizzate in assunzioni di massa illegittime e clientelari; in consulenze inutili; in sprechi per acquisti di forniture inutili e a prezzi fuori mercato; in attribuzioni di emolumenti elevatissimi agli amministratori ed alle dirigenze; in condotte, a volte, configuranti ipotesi di reato per delitti contro la Pubblica Amministrazione. […] Quanto ai risultati delle gestioni, in tutte le realtà societarie esistenti si registrano, assieme a enormi deficit, pessime (o nulle) qualità dei servizi erogati.”
L’universo degli organismi partecipati comprende una serie di soggetti giuridici molto diversi per assetto proprietario, impiego di risorse pubbliche e attività svolta non riconducibili a caratteristiche uniche. Si può trattare di associazioni, fondazioni, consorzi, società; la forma societaria è però la più diffusa. Da qui deriva la necessità, come spiega la Corte dei Conti nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2012, di sviluppare degli strumenti per controllare la spesa di queste società partecipate e contenere la spesa che impiegano, attraverso esse, gli Enti locali. La Corte dei Conti sottolinea infatti che la forma societaria può diventare uno strumento col quale gli Enti locali eludono i vincoli di spesa che gravano su di essi (come il Patto di stabilità interno).
Per descrivere questa realtà nella sua totalità, la Corte dei conti ha rilevato i le caratteristiche di quasi 5.000 organismi partecipati (numero significativo con riferimento a 7.200 enti locali): il 64% di questi organismi è rappresentato da società (3.153), di cui quasi la metà operante nel settore delle local utilities. Nella stragrande maggioranza dei casi, le società hanno avuto l’affidamento diretto (78 per cento delle società rilevate). Come rileva la Corte dei Conti: “dalla notevole estensione dell’affidamento diretto deriva la considerazione di come gli enti locali utilizzino lo strumento societario per porre in essere una forma di gestione che solo formalmente è attribuibile ad un soggetto esterno, ma che sostanzialmente è diretta, considerato il rapporto organico che esiste tra ente affidante e società in house”.
Il valore della produzione delle società in affidamento diretto rilevate dal Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica è pari a quasi 25 miliardi, valore che appare anche sufficientemente stabile per la parte relativa ai Servizi Pubblici Locali (SPL), data la rigidità della domanda. Il valore dell’indebitamento riferito alle medesime società è consistente e pari a quasi 34 miliardi. Trattandosi di società operanti in settori che spesso richiedono forti investimenti (quali il settore idrico) il grande volume di debiti potrebbe di per essere giustificabile; d’altronde preoccupa il fatto che tale debito continua ad aumentare. In media, il debito delle società in affidamento diretto aumenta ogni anno del 5-6 per cento e nel triennio 2008/2010 superiore all’11 per cento.
Ricorrendo alle partecipazioni in società questi debiti restano fuori dai conti dell’ente locale, che però ne rimane nei fatti il titolare e in caso di liquidazione deve farvi fronte. Per avere un’idea delle dimensioni di questo problema, basta ricordare che il debito “ufficiale” di Comuni e Province, rilevato sempre dalla Corte dei conti, è pari a 58 miliardi di euro: i debiti delle società in house, dunque, lo farebbero crescere del 59 per cento.
Per gli Enti Locali che volessero risolvere questo problema, un percorso che preveda dismissioni di queste partecipazioni è politicamente difficile da percorrere. Come ha osservato, nell’intervento di cui sopra, il procuratore Cottone: “pur avendo preso coscienza del sostanziale fallimento del modello di gestione societario partecipato, le Amministrazioni regionale e locali, incontrano gravissimi problemi a tornare sui propri passi per liberarsi di tali organismi in quanto le massicce assunzioni a suo tempo di disposte hanno creato aspettative occupazionali a regime che, se per un verso non possono essere soddisfatte con “internalizzazioni” contra legem, per altri profili presentano delicatissimi aspetti legati ai livelli occupazionali ed a accordi sindacali. Al depauperamento delle risorse pubbliche, si aggiungono, quindi, tensioni sociali di rilevante entità.”
Leggi su Wikispesa altri esempi di sprechi e inefficienze all’interno di società partecipate da enti locali: Azienda Casertana mobilità e servizi S.p.A., Sistema Ambiente della Provincia di Napoli S.p.A., Milanosport S.p.A., AMA Roma S.p.A., Trambus Open S.p.A.
Attraverso la dismissione delle municipalizzate e, a livello più generale, di tutte le partecipazioni e dei beni immobili di proprietà pubblica, sarebbe possibile abbattere in poco tempo la pressione fiscale ed il debito pubblico di una quota tutt’altro che modesta. Si dovrebbero anche dismettere i patrimoni delle fondazioni bancarie che sono causa di tanti problemi e lotte di potere incomprensibili per la gente comune. Si potrebbe dare un enorme impulso all’inversione del ciclo negativo ed all’ammodernamento dello Stato con iniziative che si finanziano da sole.
Ma poi come la mettiamo con il voto clientelare e col premio di consolazione per gli amici di partito (o meglio “compagni di merende”) trombati alle ultime elezioni?
ABBIAMO SCOPERTO L’ACQUA CALDA!!!… e quello che mi sconcerta in questi giorni dopo le elezioni è sentire e vedere che la vecchia politica NON HA MINIMAMENTE CAPITO E NON VUOLE CAPIRE CHE LE COSE SONO CAMBIATE, SIAMO ANCORA AL TU MI DAI E IO TI DO..
questo aspetto è la peggiore condanna di oltre un trentennio di mediocrità politica e imprenditoriale italiana (non dimentichiamo Fiat, Mediaset, Eni, IRI ecc.) e da una magistratura collusa e infingarda che se n’è fatta un baffo dei diritti dei fornitori, delle loo fatture dimenticate e dei diritti calpestati e “concordati ” al ribasso con costi alti per i rapaci avvocaticchi…e…. dopo anni di travagli.
UNA VERGOGNA CHE NON HA EGUALI NEI PAESI CIVILI….a CUI PRETENDIAMO DI APPARTENERE
@marco
la pretesa non è un diritto, solitamente la civiltà è d’obbligo conquistarla, non è un dono divino.
Detta precisazione solo per parteciparla della mia piena condivisione alla sua riflessione.
Ad majora.
@Giorgio Andretta
GIORGIO, concordo, bisogna conquistare tutto, ma in questo paese ascoltando i propri concittadini sembra di incontrare extraterrestri appena sbarcati da un’astonave dai premier in pectore o de facto, ai ministri, ai giornalisti; quando a Torino tutti sanno quante aziende sono fallite grazie ai pagamenti Fiat o a Milano per i pagamenti Enel o Mediaset ma il nostro Presidente se ne accorge al settimo anno prima di uscire di scena
Ad majora o ça ira?
@marco,
ma lo sono! Solo che non ne hanno ancora assunto consapevolezza.
Ha mai assistito ad un pavone che si ammira di fronte ad uno specchio?
Non avendo consapevolezza di se tentano d’interpretare l’immagine che gli appare davanti.
Altre volte magari è semplice psicopatia.
A lei la scelta.
L’unico modo di “controllare la spesa” è l’introduzione di un interesse privato.L’utilizzo di denaro pubblico di tutti e quindi di nessuno porta inevitabilmente ad un uso improprio e scorretto delle risorse che le regole ed i controlli possono solo illudere di eliminare.
Le società degli Enti locali nascono spesso per “recuperare” l’IVA, dato che un Ente Locale, come un qualsiasi cittadino, deve pagare l’IVA sui propri acquisti di beni e servizi. Lo stato che tassa i propri piccoli aiutanti. Allora per la gestione di una seire di beni e servizi, sia strumentali che non, nascono le società di capitali che possono “scaricare l’IVA” degli acquisti perchè vendono a loro volta altri beni e servizi.
Se avete per esempio un Contratto di Servizio per il trasporto pubblico che vale circa 120 milioni all’anno, facendolo gestire da una Srl questa potrà utilizzare i 12 milioni di IVA (è il 10%) per compensare su vendite o affitti.
Suonano le trombe e rullano i tamburi, anche quelli del Grillo stavolta: “abolite le Province in Sicilia” riporta il Sole24ore. Ma poi…saranno sostituite da Consorzi di Comuni e si è in attesa della legge che regolamenterà questi consorzi, quindi si vedrà come e con che costi. Ma…i dipendenti saranno assorbiti dai Consorzi e dai Comuni. Ma..si sta proponendo un reddito minimo di 1000 euro, di solidarietà. Ma… Quanti ma!! Quel che interessa è una semplice domanda: La Sicilia da domani spenderà almeno la metà di quel che spende oggi di soldi pubblici ? Il che vorrebbe dire, sia chiaro, mantenere comunque una spesa gigantesca. Il resto son solo chiacchere e fuffa e sappiamo bene quante ne sanno fare tutti e non meno di altri i signori Grillo e Crocetta.