6
Set
2013
Ronald Coase economista

Omaggio a Ronald Coase, per la privatizzazione dello spettro

La ricerca di Ronald Coase – straordinariamente duratura e influente – può essere descritta come una perlustrazione dei confini del mercato: prima ristretti con “The Theory of the Firm” (1937), in cui l’economista britannico diede ragione dell’esistenza delle imprese, isole di pianificazione in un mare di spontanee relazioni commerciali orientate dal sistema dei prezzi; poi ampliati – rivoluzionando l’interpretazione di alcuni dei cosiddetti fallimenti del mercato – con “The Lighthouse in Economics” (1974), che incrinò il mito dei beni pubblici, e ancor più con “The Problem of Social Cost” (1960), che superò quarant’anni di letteratura sulle esternalità.

Proprio a questo secondo filone va ascritto “The Federal Communications Commission” (1959), un articolo sovente trascurato, ma che già conteneva in nuce la tesi del seminale contributo che Coase avrebbe pubblicato l’anno seguente. Prendendo le mosse da un’accurata ricostruzione storiografica, l’autore evidenziava il considerevole margine di discrezionalità che la FCC esercitava nell’assegnare le licenze di cui ogni operatore radiofonico (e poi televisivo) doveva munirsi per ottenere le indispensabili risorse frequenziali. La desiderabilità di tale soluzione, che confliggeva con il principio della libertà d’espressione incarnato dal Primo Emendamento, era affermata con due distinti argomenti: da un lato, la necessità di evitare interferenze tra trasmissioni attigue; dall’altro, quella di regolare l’accesso a un bene scarso come lo spettro elettromagnetico.

A tali argomenti Coase oppose un’idea eretica per lo stato della disciplina, ma che egli stesso considerava solo apparentemente innovativa (“novel with Adam Smith”): quella di assegnare al miglior offerente un diritto di proprietà chiaramente definito su una data porzione di spettro. Quanto alla scarsità, essa è  (in senso assoluto) condizione comune alla totalità dei beni economici, ed è (in senso relativo) funzione della tecnolologia disponibile: alla luce di entrambe le caratteristiche, i meccanismi di mercato sono meglio equipaggiati di quelli amministrativi per garantire un utilizzo efficiente.

Quite apart from the misallocations which are the result of political pressures, an administrative agency which attempts to perform this function normally carried out by the pricing mechanism operates under two handicaps. First of all, it lacks the precise monetary measure of benefit and cost provides by the market. Second, it cannot, by the nature of things, be in possession of all the relevant information possessed by the managers of every business which uses or might use radio frequencies, to say nothing of the preferences of consumers for the various goods and services in the production of which radio frequencies could be used. (p. 18)

Venendo alle interferenze, Coase conclude che – una volta che i diritti dei titolari delle frequenze siano precisamente definiti – saranno poi le transazioni di mercato, senza la necessità di un preliminare intervento pubblico, a risolvere i conflitti e ottimizzare l’utilizzo dello spettro. Si tratta di un caso particolare del tema più generale di “The Problem of Social Cost”: con il caveat che, in questo caso, la natura almeno in parte reciproca di tutte le “esternalità” è più evidentemente percepita.

Coase pubblicò il suo articolo nel neonato Journal of Law and Economics, e fu proprio il circolo che – all’University di Chicago – si raccoglieva intorno a quella rivista a testarne duramente i risultati: la conclusione (la convergenza verso gli utilizzi più efficienti in presenza di diritti di proprietà bene definiti, ma a prescindere dalla loro allocazione) fu l’oggetto di una cena ospitata da Aaron Director e a cui parteciparono – tra gli altri – Milton Friedman e George Stigler, che ne parla nelle sue memorie. Quello che all’antipasto era un verdetto di venti a uno contro Coase, si trasformò entro il dessert in un unanime verdetto a favore. Quella sera, Director suggerì a Coase che il punto da lui sollevato meritava una specifica trattazione, il cui risultato apparve – appunto – nel 1960. Quattro anni dopo, Coase si sarebbe trasferito a Chicago – sia pure presso la Law School.

L’influenza diretta dell’articolo del 1959 fu, invece, meno immediata. Solo negli anni ’90 la FCC e gli analoghi regolatori di altri paesi cominciarono a mettere all’asta i diritti d’uso delle frequenze, mantenendone – nella maggior parte dei casi – la proprietà e spesso limitandone la circolazione; ancor oggi, la classe politica pare più interessata alle connesse opportunità di gettito che non al ritorno d’efficienza che solo da una netta demarcazione dei diritti di proprietà può discendere. Da questo punto di vista, l’approccio dell’economista inglese alla gestione dello spettro non ha ancora trovato una completa implementazione.

A ben vedere, esso si potrebbe persino criticare “da destra”, contestando l’idea stessa che  lo stato possieda lo spettro e sia dunque legittimato ad alienarlo; mentre una coerente logica di mercato sottoporrebbe le frequenze, come ogni altro bene, a un regime di appropriabilità originaria, secondo lo schema lockeano. Tuttavia, una simile riflessione – oltre ad avere scarsa utilità pratica – mancherebbe l’obiettivo: il cuore dell’argomento di Coase è l’applicabilità di principi economici (prezzi e circolazione) alla gestione delle frequenze, un’idea che ben pochi – almeno tra gli accademici – osano oggi mettere in dubbio.

You may also like

Addio a Tullock, padre della public choice—di Francesco Forte
Ronald Coase
Ronald Coase, diritto di proprietà e tutela dell’ambiente
Ronald Coase economista
Omaggio a Ronald Coase, lettore di Adam Smith
Ronald Coase economista
Omaggio a Ronald Coase. Analisi economica e giustificazione del diritto

4 Responses

  1. Lettore

    I “fallimenti del mercato” esistono, eccome. Esempio macroscopico la tecnofinanza globale. Sembrava rappresentare al meglio la teoria del libero mercato “che si autoregola”; ha disastrato l’economia mondiale. Non è certo l’unico caso in cui privatizzazione/deregulation ha prodotto risultati molto modesti, se non negativi. Al pari è molto difficile negare l’esistenza di beni/servizi la cui gestione pubblica è certamente superiore – superiorità intesa come universalità di accesso da parte dei cittadini- in confronto ai meccanismi di mercato (servizi: scuola,sanità,previdenza – beni: acqua). Un discorso a sè poi merita il mantra della “flessibilizzazione” del mercato del lavoro. Durante la crisi gli USA (massima libertà di licenziamento) hanno certamente avuto maggiori problemi con l’occupazione rispetto alla Germania,dove il peso dei sindacati nel governo delle imprese è molto rilevante.
    La superiorità universale del mercato rispetto alla gestione pubblica è spesso mitologia.

  2. Riccardo

    Caro “Lettore”, quelli a cui lei si riferisce sono certamente fallimenti dei regolatori (v. Alan Greenspan), che con la pretesa di infinita lungimiranza e saccenza hanno sostenuto e incoraggiato comportamenti scorretti. Io non ho mai conosciuto un mercato cui fosse concesso di autoregolarsi. Magari!

  3. Lettore

    Il totale laissez-faire -cioè un mercato totalmente libero dove proprietà e contratti non sono tutelati dallo stato, ma da agenzie private in concorrenza tra loro- è una chimera ideologica. Un esercizio intellettuale irrealizzabile nella realtà concreta. Alla pari dell’utopia di una società senza classi e senza antagonismi dove tutti danno secondo possibilità e tutti ricevono secondo i bisogni. La “società nuova” immaginata del marxismo rivoluzionario.

  4. Giovanni Mesini

    Personalmente non penso che esistano soluzioni ideali che possano essere calate in ogni realtà nazionale.
    Lo spettro e.m. è un continuo di frequenze, convenzionalmente suddiviso in “bande” entro cui le caratteristiche di propagazione del segnale sono considerate omogenee tra le varie emissioni. Non è possibile alienare a soggetti privati larghe porzioni di spettro perché non è possibile prevedere a priori gli sviluppi tecnici e quale sarà, in futuro, la migliore allocazione possibile delle risorse.
    Ad esempio, il “digitale terrestre” consente sicuramente un molto migliore utilizzo della banda UHF. Adesso riservare 8 Mhz ad una singola emissione televisiva pare uno scandaloso spreco. Se tale banda fosse stata data in concessione a qualcuno che la rivendeva “a fette”, penso che sarebbe stato impossibile, con chissà quanti contratti in corso aventi scadenze diverse, fare il salto tecnologico richiesto. Alle volte il singolo è troppo piccolo per progettare in grande.
    Anche la nazionalizzazione del servizio elettrico, per fare un esempio diverso, pur con tutte grandissime le critiche che si possono fare al sistema che ne è conseguito, almeno un risultato l’ha prodotto, e cioè che compri un frullatore a Messina, ti trasferisci a Bolzano e anche lì funziona, perché anche lì trovi tensione a 220 V, 50 Hz. Prima era una babele di tensioni, in Toscana la Valdarno distribuiva a 160 V, a Modena mi pare che ci fossero 115 o 125 V. Ricordate gli apparecchi con i cambiatensione? Erano un compromesso tra “portatilità” ed efficienza che adesso non è più necessario, e gli apparecchi sono più economici.
    Il problema vero è di affidare la gestione di una risorsa scarsa come lo spettro e.m. ad un organo affidabile, la “privatizzazione” si deve limitare a porzioni molto piccole dello spettro e deve comunque avere una scadenza.
    Tanto per venire a noi, l’Italia è un buon esempio di paese inaffidabile in cui persino la verità scientifica viene distorta e piegata alle esigenze della politica. Al tempo delle prime TV private, quando lo Stato calava la sua scure persino su quelle via cavo (qualcuno ricordaTele Biella?) alla faccia dei diritti costituzionali di libertà d’espressione con ogni mezzo, il Consiglio Superiore delle Telecomunicazioni sentenziò che in Italia non avrebbero potuto coesistere, per la suo orografia, più di tre o quattro canali televisivi, una bestemmi tecnica che è stata sconfessata agli occhi di tutti dalla successiva proliferazione, questa volta selvaggia, delle TV private. E queste eresie tecniche venivano asserite nella Patria di Marconi!
    Non so quanto sia utile discutere a livello teorico di quale sia il sistema più congruo per amministrare una risorsa così scarsa e dalle caratteristiche tecniche tanto peculiari. Di sicuro in un Paese fondamentalmente corrotto come il nostro non ne funzionerà alcuno.
    Meno male che, almeno per questa questione, esistono norme e vincoli internazionali, altrimenti chissà in quale giungla elettromagnetica ci ritroveremmo. La parte bassa delle VHF al PD, quella intermedia alla Lega, le UHF agli ex-democristiani…

Leave a Reply