Obama e la Fed
La “grande riforma” della finanza americana presentata da Obama è arrivata, e ci sarà tutto il tempo di discuterne, letto attentamente il documento della “Financial Regulatory Reform” e presi atto di tutti i commenti che da domani, com’è inevitabile, intaseranno i giornali e i blog del pianeta. Un primo punto solo apparentemente marginale è quello sollevato da un amico analista finanziario, Cole Kendall, nella sua newsletter (il sito è Understanding the Market, l’ultima newsletter non è ancora on line). Per Kendall, la riforma di Obama accende una “Federal Reserve time bomb”. Oberando la FED di nuove responsabilità regolatorie, ne metterebbe a rischio l’indipendenza:
Recent congressional hearings examining the nature of the communications between Chairman Bernanke and the head of Bank of America (over the Merrill Lynch purchase) has highlighted the perils of increased regulatory authority. Chm. Bernanke (or his successor) would be a regular visitor to Congress to explain not only his monetary policy but also his regulatory decision making. While Chm. Bernanke might be capable of surviving such hearings on a regular basis, not every future Fed chairman will be able to survive in such conditions and eventually Congress will decide to reorganize the Fed.
Anche per noi che siamo cresciuti alla scuola per cui l’indipendenza delle autorità indipendenti di ogni risma è essenzialmente una “formula politica”, la questione in realtà è importante. Perché se una autorità è improbabile che sia “assolutamente indipendente”, può certo diventare “ancora più dipendente” dalla politica. E perché la concentrazione di nuove competenze può non solo rendere ancora più arbitraria la regolazione, ma anche caricare sulle spalle dei regolatori troppe promesse, difficili da mantenere. Limitiamoci ancora a considerazioni di ordine generale – domani entreremo nel dettaglio, seguendo la guida esperta del nostro direttore. Sul sito di Astrid, trovate un bellissimo intervento del Commissario Consob Luca Enriques, dello scorso anno. Riporto le conclusioni, che ogni ri-regolatore dovrebbe leggersi e rileggersi come preghierina della sera:
A mio avviso, è importante che coloro che saranno chiamati alla revisione delle regole tengano ben presenti i rischi cui si va incontro in questi casi. Vorrei segnalare cinque errori da evitare. Sono altrettante ovvietà, ma di questi tempi non guasta ripeterle.
1. Anzitutto, non si deve scordare che le leggi generano costi e non solo benefici, distorcono i comportamenti e tendono ad avere conseguenze inaspettate; e che la tentazione di eluderle è insopprimibile. E la migliore dimostrazione di ciò è proprio nella crisi finanziaria in corso, frutto delle cattive regole e delle cattive politiche non meno che dell’assenza di regole e dei fallimenti del mercato(…) A fronte di queste insidie, bisogna guardarsi dalla fretta nell’accettare soluzioni che sembrano di buon senso, magari perché semplici e facili da spiegare, ma che poi possono rivelarsi dannose e controproducenti. Da questo punto di vista, la lezione del Sarbanes Oxley Act è sufficientemente istruttiva. E soprattutto, è da evitare la trappola tautologica per cui se il fenomeno X non è regolato, allora è necessario regolarlo.
2. Nel rivedere le regole esistenti, è bene guardarsi anche dalla tentazione di concludere che certi meccanismi di controllo, magari da noi non ancora pienamente accettati, non servano perché non sono stati in grado di prevenire la crisi. (…)
3. Analogamente, sarebbe un errore pensare che certi strumenti siano da sopprimere perché hanno concorso a creare i presupposti della crisi. E’ chiaro che le stock option hanno spostato le preferenze degli amministratori di banche verso l’assunzione di rischi eccessivi. Ma vietare o disincentivare le stock option per questa ragione sarebbe come vietare i cellulari perché possono agevolare le attività dei terroristi e dei criminali.
4. Nuovi poteri ed eventualmente anche una nuova governance per le autorità di vigilanza non saranno sufficienti a prevenire la prossima crisi. Ciò non vuol dire che le autorità di vigilanza non debbano essere rafforzate e meglio disciplinate. Significa invece guardarsi dall’errore di ingenerare aspettative troppo elevate nella politica e nell’opinione pubblica sui risultati che le autorità di vigilanza possono effettivamente conseguire.
5. Da ultimo, ri-regolare non significa solo aggiungere regole a quelle che già ci sono e modificarne alcune. Vuol dire anche togliere di mezzo le regole rivelatesi, magari anche a seguito della crisi, inefficaci o inefficienti.