Nuovo commissario alla spending review? Non è affatto una buona idea
In questi giorni – tra vergogne kazake, indegnità zoologiche, tensioni Pd – l’attenzione all’economia sembra sviata. Ma al Tesoro e nell’informale cabina di regia di maggioranza ci si confronta riservatamente su un punto nodale. Come uscire da attendismo e rinvii che hanno sinora improntato le non scelte del governo in materia di finanza pubblica: IMU,IVA, cuneo fiscale. Il gettito IVA è in drastico calo da recessione, le entrate reggono solo grazie alla spremitura dei redditi, il tetto del 3% di deficit è di nuovo a rischio.
Le indiscrezioni sussurrano tre ipotesi. La prima è gentilmente definita “tagli semilineari”, viene dalla tecnocrazia del ministero che già partorì i tagli lineari. A seconda che privilegiate il “semi” – cioè la scelta per priorità – o il “lineare”, che piace ai dirigenti della Ragioneria perché garantisce il saldo senza guardare in faccia alle conseguenze di minor crescita, è la classica soluzione Bisanzio.
Seconda ipotesi: l’estensione degli abbandonati costi standard, cominciando dagli Enti Locali. Poiché si è rimasti molto indietro nel definirli, si tratta comunque di cifre modeste. Si sussurra di neanche 3 miliardi 3 di euro.
La terza è la nomina di un nuovo commissario alla spending review, come si fece con Enrico Bondi sotto Monti. Girano i nomi di neocandidati. Ma demandare il taglio della spesa a una figura esterna al governo e alla quale la tecnocrazia del ministero e le Autonomie hanno buon gioco a opporsi, significa ripetere l’errore. Individuare e tagliare spesa deve essere compito principe del ministro del Tesoro. Altrimenti, come al solito lo Stato prenderà in tasca a noi, non nelle proprie. Dal 2000 il totale della spesa pubblica è aumentato di 274 miliardi, le entrate di 2228. L’austerity è tutta nostra, quella di Stato non è mai cominciata.
Caro Oscar per me l’unica soluzione strutturale che funziona davvero e non ha bisogno di continui ritocchi ogni 3 mesi, oltre che di continui dibattiti sul nulla, è semplicissima, anche se politicamente difficile da attuare: far uscire dal perimetro pubblico ogni anno almeno 100.000-200.000 dipendenti pubblici per almeno 10 anni. Si può farlo benissimo senza ridurre le prestazioni e in cambio destinare il risparmio di spesa in minori tasse per limitare la perdita del consenso: per ogni dipendente pubblico che finalmente viene licenziato c’è molta più gente che pagherà meno tasse… E si può iniziare a farlo anche in tempi di crisi come sta facendo benissimo il Regno Unito. Aggiungerei che bisognerebbe anche cambiare il modo in cui lo stato fornisce certi servizi: per esempio tramite un efficace e-learning lo stato potrebbe tranquillamente fare a meno di decine (forse anche un centinaio) di migliaia di insegnanti, bidelli e personale amministrativo…, potrebbe chiudere molte scuole e spendere meno per il trasporto pubblico e al contempo aumentare la qualità del suo servizio di istruzione…. Già solo questo modo innovativo di fornire il servizio a regime potrebbe probabilmente rendere totalmente inutile almeno il 50%-60% dei dipendenti pubblici che lavorano in questo settore con enormi risparmi per i contribuenti.
Oltre a liberare risorse per ridurre le tasse, questa strategia avrebbe altri importantissimi benefici: un numero enorme di persone smetterebbe di bruciare ricchezza e sarebbe costretta a trovarsi un lavoro sul mercato, quindi inizierebbe anche a produrne di nuova, e dal punto di vista politico diminuirebbe molto nel tempo la forza di lobbying dei dipendenti pubblici e in generale di chi vuole mantenere questo socialismo reale…. altra cosa che Osborne ha capito perfettamente: meno dipendenti pubblici=grandi benefici economici e enormi benefici politici = molti meno voti per i laburisti in modo strutturale….
Tipicamente italiano. Quando un cosa s’ha da fare, ma non si vuole che si faccia, allora si nominano commissari, commissioni, saggi, ecc. Sono segni d’impotenza che hanno contraddistinto tutti i governi di tutti i partiti, ancor prima della cosiddetta “seconda repubblica“.
Intanto il PD sta già pensando di far cadere il governo Letta. Ma dopo Letta ci sono solo due soluzioni: piegarsi alla volontà di M5S e SEL, oppure elezioni anticipate, cioè 2 mesi di campagna elettorale e altri 2 mesi di consultazioni per partorire un governo pronto a cadere pochi mesi dopo. E’ la vittoria dell’immobilismo corporativo italico.
Di immobilismo si muore. L’esito sarà il default e la devastazione di quel poco di industria che ci rimane.
intanto, si potrebbe licenziare procaccini, adesso sta pure meglio, senza incarichi ma con lo stipendio, saluti.
Caro OG
È pensabile rivederla attivo politicamente ?
Grazie
ID
Purtroppo la ricetta è pronta da tempo. Si chiama patrimoniale personale e progressiva. Perché lo Stato non solo non intende rinunciare a ciò che già si prende abbondantemente dalle nostre tasche, ma in fondo in fondo vuole anche queste. E quando finalmente saremo in mutande, vorrà pure quelle. Ce lo insegna la Storia: dall’ ISI si è passati all’ICI e da questa all’IMU, senza colpo ferire. Perché non dovrebbe essere lo stesso con la maxi – patrimoniale?
sono anni ormai che l’argomento sul tavolo è sempre lo stesso ossia fare tornare i conti. Fare tornare i conti è difficile in una famiglia in una azienda e quindi anche nello stato. In una famiglia o in una azienda aumentare le entrate è molto difficile quindi quando i conti non tornano si corre ai ripari tagliando le spese, nello stato invece è molto semplice basta aumentare le tasse come è stato fatto negli ultimi 30 anni. I tagli della spesa pubblica sono un operazione praticamente impossibile se la classe politica è sempre la stessa, potrebbero avvenire solo con un cambio radicale. Il cambio radicale passa da dei percorsi dolorosi
per molte persone quindi improbabili nei prossimi anni salvo un tracollo gravissimo e ingovernabile. La riduzione della spesa con un sistema di revisione seria porterebbe risparmi per svariate decine di miliardi annui e una maggior efficenza della macchina pubblica, ma nessuno vuole affrontare l’argomento perchè nessuno in assoluto di coloro che sono chiamati a ruoli nel governo è al di sopra delle parti e tutti nessuno escluso deve garantirsi il proprio ruolo nel tempo.
Una proposta:
aggregazione dei comuni di Italia con non meno di 25000 abitanti, con un immediato salto di qualità sull’efficenza dei servizi e con riduzione dei costi inutili. (personale, segretari, tecnici, spazi fisici ecc.) dove il sindaco lo fa di mestiere a tempo pieno. I sindaci delle città faranno parte di una assemblea provinciale a costo zero perchè già pagati e nomineranno un presidente il quale farà parte dell’assemblea regionale a costo sempre zero e dove sarà nominato un presidente. Le regioni faranno parte di una camera assemblea statale.
@ Claudio
Completamente d’accordo. Io direi pure centomila abitanti, già che ci siamo. Perché è la consistenza giusta per avere tutti servizi (un teatro, un Palazzetto, una rete di trasporti) ad un costo ragionevole.
Claudio e Giuseppe, avete ragione.
Ed io ne approfitto “per girare il coltello nella piaga”.
Nella widget area a destra, su questo blog c’è il sondaggio che chiede quale sia la priorità che dovrebbe darsi il governo Letta. Come tutti i sondaggi pecca di approssimazione perché il problema italico deve essere affrontato sistematicamente. La voce “spending review”, ad esempio, non può essere affrontata efficacemente senza riforme istituzionali e senza privatizzazioni. A sua volta senza riduzione della spesa pubblica non è possibile affrontare il problema della riduzione della pressione fiscale e senza riforme istituzionali non è possibile affrontare gli altri problemi e ha poco senso una nuova legge elettorale basata su collegi uninominali.
E’ frustrante non poter scegliere una priorità, ma la situazione italiana richiede di agire in parallelo su più fronti perché altrimenti qualsiasi risultato in uno specifico settore non sarebbe altro che una vittoria di Pirro, destinata a vanificarsi entro breve. Purtroppo in certi casi occorre ribaltare quello che dice il senso comune: scegli una priorità e risolvila, poi passa al secondo argomento e risolvilo e così via.
Perché bisogna violare questa regola d’oro? Per via del sistema italiano in cui esiste un tessuto diffuso di burocrati e di corporazioni che traggono vantaggio dal permanere di un sistema sostanzialmente bloccato.
Prendiamo ad esempio le aziende a partecipazione pubblica, a partire dalle municipalizzate in su. Sono tutti beni pubblici concessi in comodato d’uso gratuito ai partiti che piazzano nei C.d.A. gli amici “trombati” alle elezioni e che assumono più per elargire “posti fissi” ai “clientes” anziché scegliere secondo criteri d’efficienza e di merito. Queste imprese possono giocare molto bene con gli acquisti (che spesso sfuggono ai farraginosi criteri delle gare pubbliche) per coltivare i rapporti fra la politica e l’economia del territorio. Senza riforme istituzionali e senza un profondo rinnovamento della classe politica non si può giungere alle privatizzazioni diffuse che permetterebbero di risolvere questa piaga.
Analogo discorso per la spending review. Come riudurre ad un numero ragionevole e controllabile gli oltre 30.000 centri di spesa dell’amministrazione pubblica? Ridurre il numero dei comuni da poco meno meno di 8.100 a non più di 800-1.000 (sono già troppi, ma il territorio italiano è geograficamente, economicamente e culturalmente molto articolato) ed eliminare le Provincie risolverebbe meno un quarto del problema. Purtroppo se da un lato occorrerebbe adottare estensivamente i famosi costi standard (non solo per la Sanità), dall’altro servirebbe semplificare e standardizzare le procedure d’acquisto per avere sempre sotto controllo la situazione. Oggi mi risulta che siamo lontani da una situazione un minimo decente e anche una forte volontà del governo avrebbe difficoltà ad ottenere i risultati sperati in breve tempo. Questa proliferazione di centri di spesa impedisce di affrontare in tempi brevi la riduzione della spesa pubblica. Una volta disegnate le linee guida della contabilità e dell’accorpamento ci vogliono mesi se non anni per venire a capo del problema, anche in presenza di una decisa volontà dall’alto.
I famosi “tagli lineari” trovano spiegazione proprio nel fatto che non è possibile incidere significativamente sulla spesa pubblica senza cambiare la legislazione, la normativa e l’organizzazione della Pubblica Amministrazione. Non per nulla l’Italia è il Paese dell’assurdo!
Purtroppo l’immobilismo trionfa fra “bauscioni” ed “esorcisti” che s’inventano diavoli che non esistono. Si tratta di un immobilismo in parte dovuto alla classa politica, in parte alle corporazioni (dagli avvocati alle varie conf. sino ai sindacati), ma, soprattutto, a causa del settore pubblico. Infatti, le maggiori resistenze al cambiamento nascono proprio all’interno del settore pubblico.
Per quanto riguarda l’andamento del PIL in Italia dal 1999 ad oggi suggerisco questo grafico: http://www.indexmundi.com/g/g.aspx?v=66&c=it&l=it
Il PIL 2012, in contrazione rispetto a quello del 2011, si è attestato attorno 1565,9 miliardi contro una spesa pubblica di oltre 800 compresi gli interessi sul debito pubblico: più del 50%!
Suggerisco di guardare l’andamento del fabbisogno delle Amministrazioni Pubbliche a pagina 4 di http://www.bancaditalia.it/statistiche/finpub/pimefp/2013/sb36_13/suppl_36_13.pdf . Non c’è Berlusconi, Monti o Letta che tenga: il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche continua a crescere indipendentemente dalle manovre e dai timidi tentativi di taglio.
Sono solo piccoli esempi!
Con l’attuale ordinamento e le attuali norme, quella della spesa pubblica è una macchina senza freni lanciata verso un burrone. Non serve pigiare sul freno perché è guasto. Serve cambiare metodo radicalmente!
Il pasticcio e’ talmente grande che finche’non usciremo da questo grand simulato Governo delle grandi intese (dove sono le intese? solo sul non fare assolutamente nulla) non succedera’ niente.
Personalmente credo che se andassimo ora a elezioni potremmo contare con un Renzi che potrebbe farcela ad avare la maggioranza assoluta per fare un Governo che possa agire.
@ Dino.
Sarebbe l’unica via d’uscita. Ma ormai è persa quasi ogni speranza. Ha detto che non molla. ma si è rotto anche lui.
@Claudio@Giuseppe@Francesco P. Scusate, perché accorpare i comuni da 25000 o 100000 abitanti ? Se i trecento abitanti dello stesso comune decidono che a loro va bene così e se ne accollano tutti gli oneri, perché dovremmo impedirlo? A me piacciono le piccole realtà, che si possono controllare meglio. I grandi carrozzoni all’avanguardia lunga diventano incontrollabili e poco trasparenti.
Se dallo Stato non pretendono nulla (scuola,ospedale,carabinieri,strade) che facciano pure. Ma la vedo un pò difficile.
Se poi si tratta di salvaguardare delle tradizioni, allora basta una Pro Loco. Non ci vuole un Municipio con tanto di segretario, Anagrafe, Vigili Urbani (mi rifiuto di chiamarli polizia municipale) e Ufficio Tecnico.
@Mario45,
la sua osservazione è pertinente, ma ho qualcosa di cui discutere.
Negli USA esiste una legislazione, il Chapter 9 http://www.uscourts.gov/FederalCourts/Bankruptcy/BankruptcyBasics/Chapter9.aspx , specifica per la bancarotta delle municipalità. In Italia, invece si fanno leggi come quella per Roma Capitale per riversare sui contribuenti i buchi di bilancio delle amministrazioni periferiche. Quante volte avrebbero dovuto fallire Napoli o Roma o la Sicilia? Ciò detto, la dimensione permette economie di scala. Comunque anche presupponendo una più razionale organizzazione dei comuni, senza un’adeguata legislazione contabile e fallimentare i comuni non possono funzionare indipendentemente dal raggiungimento di una dimensione adeguata.
Per rendersi conto dell’irrazionalità del nostro sistema, il comune di Pedesina ha 30 abitanti e ci sono 1947 comuni sotto i 1000 abitanti (vedere http://www.istat.it/it/archivio/6789 e scaricare il file elenco_ comuni_italiani_30 giugno_2013.csv)
Ieri in America ha dichiarato fallimento la città di Detroit, retta continuativamente da sindaci democratici dal 1962 e dal 1994 di colore.
Non cito questo fatto per razzismo, bensì per un motivo peggiore che le spiego con un aforisma: “se getti nella stufa 500 euro sei scemo, se ne getti 5 miliardi, allora sei keynesiano”.
Tantissimi saluti,
@Francesco P. Che ogni istituzione italiana vada profondamente riformata è fuori discussione, e quanto a più riprese deliberato per Roma capitale, o per Napoli, o per Catania, non può fare eccezione. Visto che le riforme andranno fatte, quello che mi pare dirimente sono, anzi, è, l’obiettivo finale. Si può puntare ad un risultato ” svizzero “, ove cantoni e comuni spesso piccoli funzionano bene sotto il controllo costante di cittadini che non limitano il loro intervento al voto ogni cinque anni, oppure a grandi concentrazioni in cui l’intervento del cittadino-suddito è formalmente richiesto ogni 5 anni, ma l’amministrazione e la spesa è “cosa altrui”, che non gli compete, spesso tra l’altro senza tener drasticamente separato colui che decide la spesa da colui che legifera per racimolare i denari da spendere. La mia preferenza va comunque al cittadino e alla possibilità per ciascuno di scegliere come il frutto del suo lavoro debba essere impiegato.
@Francesco P.
P.S. Circa i 1947 comuni sotto i 1000 abitanti, cui probabilmente si possono aggiungere le comunità montane a livello del mare e chissà quant’altro, quello che mi infastidisce non è l’irrazionalita’, ma il fatto che il maggior costo relativo è posto a carico di tutta la collettività, e non degli abitanti dei singoli comuni. Possiamo essere certi che, se così fosse, i singoli comuni cercherebbero accorpamenti atti a conseguire risparmi. E sarebbe una scelta dei cittadini, non un’imposizione dal (solito) alto.
Caro Oscar, cari commentatori,
ma non l’avete ancora capito che non vi è nessuna intenzione di risanare il paese da parte della classe politica , e che il loro unico obiettivo è auto alimentarsi fino a che a un certo punto inizierà la ripresa trainata da qualche altro paese e noi come al solito andremo a rimorchio ? Gli esempi a conferma di ciò sono innumerevoli ( scritti e riscritti da Oscar eda altri liberi pensatori).
Questa è la loro speranza , concettualmente limita ma che si addice al loro livello di classe politica. Il paese ha delle problematiche talmente incancrenite, che l’unica soluzione è a mio modesto parere, una repubblica presidenziale con un leader che si assume tutte le responsabilità delle scelte e che decide.
A questo punto le cose da fare sono elementari e sono obbligate. La storia insegna…..
Saluti
RG
@Roberto
Caro Roberto, nessuno ormai si fa più illusioni sulla riformabilita’ del paese e dei suoi politici. In realtà il paese è fallito e il sistema finanziario con lui. Probabile che l’agonia sarà lunga, perché non ci verrà permesso il fallimento ufficiale, onde evitare l’effetto domino. È tipico di chiunque, persona o sistema o paese, in pace o in guerra, cercare di sopravvivere il più a lungo possibile, sperando nel miracolo o nell’arma segreta, prescindendo dai danni che questo comporta ad altri, fosse anche la vita degli altri. Quello che è certo è che il sistema fallirà ufficialmente, fra un mese o fra dieci anni, ma fallirà. Allora si potrebbero aprire diverse possibilità: una è quella da Lei proposta, una persona al comando che si prenda tutte le responsabilità e che guidi il paese fuori dalle secche: non le ricorda qualcosa d’infausto, già vissuto dal paese in tempi non tanto lontani? Un’altra e che l’implosione frantumi il paese in realtà più piccole e che cittadini di queste realtà si assumano la responsabilità delle loro scelte. Quello che conta oggi è prepararsi perché quello che verrà scelto non sia portatore degli stessi errori che la mia generazione ha commesso nella seconda metà dello scorso secolo e che ora vengono drammaticamente al pettine.
Saluti ed auguri.