Nucleare. Tre proposte per migliorare il decreto
Oggi inizia, nelle Commissioni parlamentari competenti, l’esame dello schema di decreto approvato dal governo il 22 dicembre 2009, sulla realizzazione e l’esercizio degli impianti nucleari. Il decreto, segnato chiaramente dalla mano del ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, rappresenta finalmente un solido elemento di discussione: si cominciano, insomma, a vedere i contorni di un fatto reale, e non più mere parole o promesse. Rispetto alle intenzioni originali, è possibile constatare significativi passi avanti, tesi a calare la tecnologia atomica nel contesto di un mercato liberalizzato. Diego Menegon, in questo Briefing Paper dell’IBL, entra nel merito dei problemi.
Il giudizio è generalmente positivo, soprattutto rispetto alla scelta di lasciare al mercato (cioè agli operatori) l’individuazione dei siti. L’Agenzia per la sicurezza, infatti, emanerà delle linee guida ad excludendum, che consentiranno di definire le condizioni ostative alla creazione di un impianto. Spetterà però a chi è materialmente interessato a investire nell’atomo – in primis la cordata Enel/Edf, a seguire altre eventuali cordate concorrenti – trovare un sito appropriato e presentare un progetto alla roulette autorizzativa. Questo processo è molto più logico del contrario – lo Stato individua i siti e li assegna tramite gara – non solo perché scorre parallelo a quanto avviene per qualunque altro impianto di produzione elettrica, ma anche e soprattutto perché indebolisce, e molto, le possibilità governative di pianificazione numerica e, dunque, di decidere direttamente chi deve fare cosa e quanto.
Restano, però, degli elementi ambigui, che meritano un intervento. I tempi ci sono e, se il governo continuerà a gestire il nucleare in un’ottica di dialogo con l’opposizione, non è improbabile che almeno alcuni punti vengano fissati. In particolare, Menegon avanza tre proposte:
– ribaltare le regole del dialogo tra poteri pubblici e operatori privati nella definizione delle linee strategiche. Il testo trasmesso al parlamento prevede che l’esecutivo definisca una strategia nucleare alla quale le imprese sono tenute a dare attuazione con propri programmi equiparati per molti aspetti ad atti della pubblica amministrazione. Occorre, invece, chiarire la natura di soft law della strategia nucleare, garantire la partecipazione degli operatori alla sua definizione e liberare i successivi passi della politica nucleare (definizione dei parametri per l’individuazione dei siti e presentazione delle istanze di autorizzazione) dall’adozione definitiva della strategia nucleare.
– unificare (davvero) il procedimento. Attualmente è previsto un procedimento di certificazione dei siti, su iniziativa degli operatori, distinto dal procedimento autorizzativo degli impianti. Accorpando i due procedimenti si avrebbe non solo una semplificazione ed una significativa riduzione dei tempi (probabilmente di oltre 14 mesi), ma si garantirebbe in modo più efficace la certezza del diritto e il principio di legittimo affidamento; concentrando il momento della concertazione con regioni ed enti locali in alcuni momenti salienti del processo decisionale, infatti, si conterrebbe il rischio di veder sconfessata da una nuova maggioranza politica un’intesa conseguita con l’amministrazione regionale uscente.
– affidare le attività di smantellamento degli impianti a fine vita agli esercenti. Lo schema di decreto contraddice l’orientamento del legislatore comunitario, conferendo ad un unico soggetto un diritto di esclusiva sull’espletamento delle medesime attività, per altro in un regime di fissazione dei costi che sfugge ad ogni controllo e che espone gli operatori all’impossibilità di poter verificare la giustezza delle richieste economiche loro avanzate. È opportuno, invece, che siano gli operatori a provvedere al decommissioning e che il relativo fondo sia istituito per garantire le risorse in caso di default dell’operatore.
A queste criticità se ne aggiungono altre due, una interna e una esterna al decreto. Quella interna riguarda le modalità di compensazione a favore dei cittadini delle aree interessate. Pensare di applicarle alla bolletta della luce è discutibile, sia per ragioni antitrust, sia perché di fatto significherebbe fiscalizzarle, secondo processi tortuosi e ambigui. Si possono considerare diverse opzioni: io resto persuaso che il modo migliore sia attraverso un contributo cash, che sia una tantum o ricorrente. Il secondo problema è quello dell’Agenzia di sicurezza, il cui ruolo – tecnico e di comunicazione – è, contemporaneamente, la pietra di volta e l’anello debole della catena nucleare. Vuoi per il sottofinanziamento (1,5 milioni di euro nel 2010…), vuoi per la procedura di nomina insufficiente a garantire l’indipendenza (nomina governativa senza ratifica parlamentare a maggioranza qualificata) è forte il rischio che tale organismo venga visto come un’emanazione diretta dell’esecutivo, piuttosto che un ente di garanzia, tecnicamente credibile e socialmente accettato. La qualità delle nomine potrà davvero fare la differenza.