Non solo calcio: il goal della trasparenza.
La recente vicenda riguardante la nomina del nuovo allenatore della Nazionale di calcio italiana può essere esaminata sotto molteplici punti di vista, quello tecnico innanzitutto. Del resto, la presenza nel Bel Paese di 60 milioni di CT – come si usa dire al fine di evidenziare la propensione degli italiani all’esercizio di tale ruolo – renderebbe di sicuro detto esame appassionante. Invece, poiché le valutazioni calcistiche devono essere effettuate da chi ne abbia competenza, è forse più opportuno in questa sede analizzare taluni profili inerenti al conferimento dell’incarico suddetto, al fine di verificare se le relative modalità procedurali siano state tali da consentire al nuovo allenatore di espletare, con piena autonomia e responsabilità personale, il compito cui è chiamato.
I termini della questione sono noti. Il CT e la Federazione Italiana Gioco Calcio (FIGC) hanno stipulato due contratti, per una cifra complessiva di quattro milioni netti l’anno: il primo ha ad oggetto l’attività di Commissario Tecnico e coordinatore delle nazionali giovanili, per un compenso pari a due milioni; il secondo, la cessione al cento per cento dei diritti di immagine del CT alla FIGC, a fronte dei quali quest’ultima girerà all’allenatore altri due milioni netti l’anno, assicuratile da un importante sponsor per lo sfruttamento dell’immagine stessa. Inoltre, in caso di qualificazione all’Europeo, al CT verrà erogato nel biennio un altro milione di euro da parte dello sponsor. La partnership con quest’ultimo, peraltro, è stata prolungata dalla FIGC dal 2018 al 2022. Tralasciando ogni considerazione circa l’ingente ammontare delle somme indicate, l’aspetto della vicenda che ha suscitato le perplessità maggiori concerne la sussistenza di un potenziale conflitto di interessi nelle scelte che il nuovo mister della Nazionale si troverà ad effettuare. L’azienda che corrisponderà a quest’ultimo una porzione del suo compenso è sponsor altresì di altri giocatori, già azzurri o con buone possibilità di diventare tali: di conseguenza, il dubbio è che essa potrebbe in qualche modo interferire sulle decisioni del tecnico designato in ordine agli atleti da convocare, trattandosi di parti correlate, in molti sensi intesi. Al riguardo, va sottolineata la circostanza che il contratto di sponsorizzazione è finalizzato alla diffusione del brand imprenditoriale, ma non direttamente – come accade in caso di iniziative promozionali “tradizionali” – bensì per il tramite dell’abbinamento tra il nome dello sponsor e l’attività dello sponsee, che diviene così veicolo di propaganda aziendale. La presenza di quest’ultimo in manifestazioni o eventi sportivi di massa, che risultino attrattivi per un pubblico ampio e variegato, garantisce pertanto la pubblicità del marchio e dei prodotti a esso abbinati. Attraverso il contratto suddetto, infatti, il finanziatore si prefigge l’obiettivo della visibilità del proprio logo: è evidente che essa risulti tanto maggiore quanto più elevata è la partecipazione alla competizione sportiva dei soggetti che lo recano esposto, così che questo costituisce, in ultima istanza, il fine cui tende il finanziatore stesso. Come precisato, il nuovo CT non ha alcun obbligo nei confronti dello sponsor, non avendo sottoscritto con esso il contratto in discorso. Peraltro, ha affermato espressamente che non si presterebbe comunque ad alcuna limitazione della propria autonomia decisionale: ma una tale dichiarazione di intenti non può bastare ad escludere che la sua gestione sia suscettibile di influenza a opera di fattori diversi da quelli di rilievo strettamente calcistico. Un eventuale atto del CT riguardante i giocatori da mandare in campo, che potrebbe concretizzare il suindicato conflitto di interessi meramente potenziale, non sarebbe mai comprovabile del tutto: la discrezionalità del mister non è suscettibile di essere sindacata, poiché legata a una serie di elementi non sempre giudicabili oggettivamente. Stante tale presupposto, ci si chiede tuttavia se la vicenda in discorso avrebbe potuto – o anche dovuto, come si vedrà in prosieguo – essere gestita dalla Federcalcio secondo modalità diverse e, in particolare, se un metodo operativo fondato sulla pubblicità, tra gli altri profili, del processo di selezione del Commissario e, soprattutto, dello sponsor sarebbe risultato utile al fine di attenuare le perplessità, sopra accennate, circa eventuali ingerenze nella gestione tecnica della Nazionale. Procedure improntate a concorrenza e trasparenza, dunque idonee a consentire alla collettività – tifosi e non – una valutazione chiara ed esaustiva dei criteri adottati per le scelte effettuate, giovano infatti alla credibilità degli attori coinvolti, qualsivoglia sia l’ambito considerato. Nel caso di specie, invece, le intese tra i soggetti interessati, ritenute evidentemente di pertinenza soltanto privata, sono state raggiunte mediante un iter sprovvisto di pubblica formale rilevanza.
Innanzitutto, l’inquadramento giuridico degli attori della vicenda e dell’ambito normativo nel quale essi operano può fornire utili punti di riferimento. Il CONI, “ente pubblico cui è demandata l’organizzazione e il potenziamento dello sport nazionale, promuove la massima diffusione della pratica sportiva”. Il CONI “è la Confederazione delle Federazioni sportive nazionali (FSN)” (art. 1, c. 1, dello statuto), ove “gli interessi originari delle federazioni si esprimono attraverso la presenza del Presidente di ciascuna federazione in seno al Consiglio Nazionale”. In qualità di ente di diritto pubblico, nonché destinatario di pubbliche risorse, esso è tenuto al rispetto degli obblighi di trasparenza dettati dal d.lgs. n. 33/2013, in ottemperanza al quale sul suo sito web è presente l’apposita sezione “Amministrazione Trasparente”, prevista dalla suddetta legge. Dai documenti contabili del CONI, pubblicati nella sezione citata, si evince che esso viene quasi totalmente finanziato dallo Stato (per il 2013, 419 milioni di euro circa su un valore della produzione pari a circa 438 milioni di euro). A propria volta, il CONI eroga contributi alle diverse Federazioni sportive, a fini di promozione delle discipline di rispettiva competenza (per il 2014, circa 150 milioni di euro). La FIGC è la Federazione maggiormente sovvenzionata mediante fondi pubblici (circa 68 milioni su un valore della produzione pari a circa 160 milioni di euro, secondo il budget 2014) – come si evince dalla tabella ove sono riportati i contributi per la parte sportiva – a seguito di ripartizione mediante parametri determinati dal CONI. Le FSN, pur essendo associazioni con personalità giuridica di diritto privato (art. 15 d.lgs. n. 242/99), svolgono specifiche tipologie di attività aventi valenza pubblicistica poiché finalizzate alla realizzazione di interessi funzionali all’attività sportiva. Dette attività sono specificamente indicate nello statuto del CONI (art. 23, c.1, ove, tra le altre, viene espressamente prevista “l’utilizzazione dei contributi pubblici”). Peraltro, il Consiglio di Stato (n. 5442 /2002) ha precisato il discrimen fra le attività di diversa natura poste in essere dalle FSN: per quanto attiene “alla vita interna della Federazione ed ai rapporti tra società sportive e tra le società stesse e gli sportivi professionisti, le Federazioni operano come associazioni di diritto privato”; invece, quando “l’attività è finalizzata alla realizzazione di interessi fondamentali ed istituzionali dell’attività sportiva, devono essere considerate organi del CONI (…). Solo gli atti di quest’ultimo tipo, posti in essere dalle Federazioni in qualità di organi del CONI, sono esplicazione di poteri pubblici, partecipano della natura pubblicistica”. Con riguardo al caso di specie, inerente la scelta dell’allenatore della Nazionale, giova ancora richiamare l’art. 24 dello statuto della FIGC, secondo cui il suo Presidente “nomina i Direttori tecnici delle squadre nazionali previa consultazione con il CONI e sentito il Consiglio Federale”: in forza delle precisazioni in precedenza esposte, nonché della disposizione da ultimo menzionata, appare palese che la scelta del CT rientri tra quelle aventi una connotazione pubblicistica.
Si è sopra evidenziato che il CONI rende noti, nei modi dettati dalla legge, una serie di dati e informazioni rilevanti: non così, invece, la FIGC, nonostante essa svolga funzioni di carattere pubblico, come visto, e riceva consistenti contributi dallo Stato. Sul suo sito web, infatti, non vi è traccia di alcuna partededicata alla trasparenza. Eppure, l’art. 23, c. 1 bis, dello statuto del CONI dispone che “nell’esercizio dell’attività a valenza pubblicistica, di cui al comma 1, le Federazioni Sportive Nazionali (…) operano secondo principi di imparzialità e trasparenza”. Inoltre, la l. n. 241/90 – ai sensi della quale l’attività amministrativa “è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario” (art. 1, c. 1) – si applica anche ai soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative (art. 1, comma 1 ter). Le Federazioni sportive possono essere ricomprese tra detti ultimi soggetti relativamente agli atti da esse assunti in veste pubblicistica, come chiarito peraltro dalla giurisprudenza, che le ha ritenute sottoposte all’obbligo di ostensione di tali atti, ai sensi della stessa l. n. 241 (art. 23). Così pure il già citato c.d. decreto trasparenza (d.lgs. n. 33/2013) parrebbe applicabile alle FSN, in quanto “enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative” (art. 11, c. 2), nell’assolvimento di alcuni compiti a esse demandati. Dal quadro normativo così tracciato sembra potersi desumere, quindi, che l’attività di carattere pubblico svolta dalla FIGC debba essere assistita dai presidi disposti dall’ordinamento al fine di assicurare alla pluralità degli interessati la verifica e il controllo del suo operato. La scelta del Commissario Tecnico della Nazionale di calcio, specificamente per i profili attinenti le regole dell’ingaggio e i criteri sulla base dei quali è stato determinato il suo compenso, può farsi rientrare nella sfera della trasparenza suddetta, ferma restando la discrezionalità che sottende la scelta stessa: l’allenatore è un professionista, la valutazione delle cui capacità può essere ancorata a parametri oggettivi, ma non completamente com’è ovvio, quindi resta sindacabile solo parzialmente. Ciò posto, alla collettività compete comunque la conoscenza di ogni elemento attraverso cui la decisione – adottata avvalendosi di risorse di pertinenza della collettività stessa, è bene rammentarlo – possa essere, se pure entro certi limiti, giudicata: vale a dire gli obiettivi che si intendono raggiungere mediante la preferenza accordata, i vantaggi che essa presenta rispetto a opzioni aventi a oggetto allenatori diversi, le conseguenze derivanti dalla mancata realizzazione, da parte di quello designato, dei fini prefissati. Per quanto attiene alla scelta dello sponsor, pur essendo fondata su basi differenti da quelle riguardanti il CT, avrebbe dovuto essere ugualmente improntata a criteri di chiarezza, sì da rendere l’agire della Federazione passibile di un controllo diffuso e del relativo giudizio della generalità dei cittadini. Nella ricerca del contraente idoneo a offrire a quest’ultima, in qualità di ente operante nell’ambito pubblico, una prestazione contrattuale di ingente entità e altrettanta rilevanza sotto molteplici punti di vista, l’applicazione dei principi di trasparenza e dell’ordinamento comunitario, espressamente applicabili alle FSN ai sensi della l. n. 241/90 sopra richiamata, avrebbe altresì reso necessario che la FIGC agisse in ossequio al principio di concorrenza previsto dal Trattato. Può, dunque, ritenersi che la selezione dello sponsor avrebbe dovuto essere effettuata secondo una procedura di pubblica evidenza, quanto più semplice operativamente, ma comunque tale da assicurare una soglia minima di concorrenzialità atta, da un lato, a garantire a tutti i soggetti eventualmente interessati la contendibilità del contratto in discorso e l’opportunità della partecipazione alla relativa competizione; dall’altro, ad assicurare alla Federazione il conseguimento della prestazione migliore, in termini di complessiva convenienza, da valutare per il tramite dei requisiti stabiliti a priori e resi noti in un avviso di gara sul sito web della Federcalcio. Soprattutto, la trasparenza del metodo suddetto e, quindi, la conoscenza dei fini perseguiti, dei criteri di scelta adottati, delle condizioni contrattuali più rilevanti, oggetto dell’avviso di selezione menzionato, avrebbe consentito alla generalità di verificare che tra i vari competitor imprenditoriali venisse effettivamente preferito lo sponsor maggiormente rispondente ai parametri definiti in precedenza e resi conoscibili nelle modalità sopra individuate. Non troverebbe fondamento l’obiezione per cui, trattandosi di un accordo volto comunque a conferire un vantaggio al contraente pubblico e, pertanto, non comportando per quest’ultimo alcun costo, non sarebbe stato necessario il metodo sopra indicato, improntato a principi di concorrenza e trasparenza. A parte il richiamo testuale a tali principi, contenuto nella norma della legge n. 241/90 sopra citata, vale la pena osservare che anche l’acquisizione di benefici inferiori a quelli conseguibili mediante un’opzione diversa si concreta in un danno per la collettività, in ultima istanza. Dunque, meritevole di tutela è l’interesse di quest’ultima affinché ogni accordo stipulato da chi espleti una pubblica funzione sia realizzato alle condizioni, comparativamente ponderate, più vantaggiose: una selezione effettuata secondo la procedura sopra proposta avrebbe potuto garantire detto risultato. Si consideri, infine, il profilo da cui si sono prese le mosse, vale a dire le obiezioni sollevate con riguardo alla sussistenza di un conflitto di interessi potenziale nella scelta dei giocatori da mandare in campo, in quanto sponsorizzati dalla medesima azienda che versa al CT la metà del suo compenso. Modalità di selezione improntate a chiarezza operativa non avrebbero potuto completamente fugare i dubbi su un eventuale ingerenza dello sponsor con riferimento all’azione dell’allenatore, né sulla circostanza che quest’ultimo possa conformarsi ai desiderata di chi gli corrisponde una lauta cifra: avrebbero, tuttavia, consentito di attenuarli, rendendo, da un lato, più attendibile la Federazione che, come attore pubblico della vicenda in discorso, deve essere in grado di spiegare fondatamente – sulla base di analisi adeguate, non di meri auspici – le valutazioni economiche che compie e gli effetti che esse possono sortire; dall’altro, meno criticabili le future scelte del Commissario Tecnico, poiché colui il quale gli elargisce parte del suo compenso sarebbe stato identificato non esclusivamente come parte correlata – di conseguenza, potenzialmente dannosa per l’indipendenza del tecnico della Nazionale in quanto sponsor dell’allenatore nonché di alcuni giocatori azzurri – bensì come azienda selezionata a seguito di una competizione condotta secondo criteri di chiarezza e correttezza, dunque in reale concorrenza.
Nella vicenda in discorso, gli interessi economici hanno prevalso rispetto a quelli aventi a oggetto la limpida evidenza delle trattive svolte: il loro contemperamento in Italia sembra essere ancora un miraggio, al contrario di quanto accade in Paesi diversi. Peraltro, né il contratto concluso con nuovo allenatore, né quello con lo sponsor risulta siano stati resi noti: l’opaco cerchio della questione così si chiude. Il marchio della “trasparenza”, che l’ordinamento dispone venga attribuito ad atti aventi importanza per la collettività, è preposto a conferire a ogni cittadino una posizione qualificata alla conoscenza di una serie di informazioni, senza la necessità del supporto di alcuna specifica motivazione né di una legittimazione soggettiva differenziata. La trasparenza serve, quindi, anche a consentire di giudicare, in punto di fatto, oltre che di diritto, ogni profilo meritevole di valutazione. Inoltre, al di là di specifiche previsioni normative, essa costituisce la strada maestra attraverso la quale chiunque svolga compiti di pubblica rilevanza si garantisce accountability nei riguardi della platea cui debba rendere conto: percorrere quella strada sarebbe, quindi, nell’interesse di tutti. A volte, servirebbe non sbagliarlo quel calcio di “rigore”, per realizzare il goal della trasparenza: coraggio, altruismo e fantasia, doti che gli italiani posseggono in abbondanza, di questi tempi non sono sufficienti. Per essere credibili, a determinati soggetti soprattutto, serve molto altro.
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