“Se non riesci a convincerli, confondili” ( Confucio).
Nel 1997 8.322.166 italiani espressero la volontà di abolire l’ordine dei giornalisti: non pochi. Ma a nessuna maggioranza di eletti venne mai in mente di mettere mano alla questione: l’ennesima prova, se ce ne fosse bisogno, della siderale lontananza della nostra classe politica da un’idea di società libera e aperta. Vale davvero la pena rileggere le parole di Luigi Einaudi ne Il buongoverno: “Albi di giornalisti! Idea da pedanti, da falsi professori, da giornalisti mancati, da gente vogliosa di impedire altrui di pensare colla propria testa. Giornalisti sono tutti coloro che hanno qualcosa da dire o che semplicemente sentono di poter dire meglio o presentar meglio la stessa idea che gli altri dicono o presentano male… Ammettere il principio dell’albo obbligatorio sarebbe un risuscitare i peggiori istituti delle caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli, dei non-conformisti”. Il M5S qualche anno fa ha presentato un disegno di legge per l’abolizione dell’ordine dei giornalisti ed alcuni suoi esponenti si sono dichiarati anche favorevoli, in generale, alla revisione del sistema degli ordini professionali. Già nel secondo “Vday” dell’aprile 2008 si raccoglievano le firme “per una libera informazione in un libero Stato”, per l’abrogazione della legge 66/1963, “perché l’accesso alla professione di giornalista e il suo esercizio siano liberi da vincoli burocratici e corporativi di sorta”. Ma dispiace capire che neppure questo è un reale obiettivo del movimento. Perché l’onorevole Di Maio chiede oggi all’ordine dei giornalisti di intervenire per punire una lista di giornalisti considerati contro il movimento. Con questa iniziativa Di Maio vuole proprio far risorgere il più becero spirito fondativo dell’ordine dei giornalisti, una delle massime espressioni e strumento del corporativismo e del totalitarismo fascista. Ma, d’altro canto, il movimento è sempre meno 5 stelle e sempre più mille lune, tanto sono mutevoli le idee dei suoi componenti. Forse all’onorevole Di Maio gli ordini professionali piacciono, così come il protezionismo e un certo nazionalismo in salsa antieuropea: non a caso l’ordine dei giornalisti è una perla tutta italiana, non esiste né in Francia, né in Germania, tantomeno in UK. Ad altri del movimento, forse, queste posizioni piacciono meno, ma chi può dirlo, si tratta di ipotesi, anzi, peggio, di illazioni, perché la forza e l’arma più potente e tremendamente efficace del movimento è proprio l’irriconoscibilità. All’indomani della sentenza della consulta sui quesiti riguardanti il Jobs Act, sempre Di Maio tuonava su Facebook: “Saremo chiamati a votare per il referendum che elimina la schiavitù dei voucher”. Contemporaneamente il guru delle politiche del lavoro grilline Domenico De Masi da alle stampe il suo libro: “Lavorare gratis, lavorare tutti”. Dunque, il M5S, al “giogo” dei voucher pagati preferisce la “libertà” del lavoro gratis? Mistero. Su un punto, però, sembrano tutti convergere in modo chiaro: vincere le elezioni e prendere il potere. Esattamente come tutti sempre, da 50 anni a questa parte: non è importante che si capisca quale sia la loro idea di paese, il loro progetto, le loro posizioni: come dice la canzone, visto che è periodo di Sanremo, ci vogliono tutti “Confusi e infelici”.