6
Mar
2014

Non è una buona idea lo stipendio di Stato alle casalinghe

Da Panorama in edicola

Uno stipendio antiviolenza contro le donne. A carico del coniuge, del compagno, o dello Stato. L’hanno messa giù dura, l’avvocato Giulia Bongiorno e Michelle Hunziker. Prima di liquidarla come una provocazione, ragioniamone.

Esiste una correlazione, tra maggior reddito e minor violenza sulle donne? Se s’intende causa-effetto, si direbbe di no. Uno studio dell’osservatorio sul gender gap di Harvard attesta che negli anni ’90 negli Usa ogni 15 secondi avveniva un’aggressione contro una donna, e in Svezia ogni 10 giorni ne moriva una per violenze. Se per correlazione s’intende un’inferenza, questa c’è: lo dimostrano le spaventevoli percentuali di violenza sulle donne nei Paesi meno sviluppati. Ma è un’inferenza pesantemente condizionata da fattori antropologico-culturali, non solo dal reddito.

Il reddito femminile abbatte il gender gap? Sì. La Banca Mondiale aggiorna nel tempo un rapporto dedicato al tema, esaminando le diverse politiche per diminuire la “dipendenza” femminile. Sono tre i maggiori fattori che concorrono al fine. La partecipazione femminile al mercato del lavoro. Le misure di conciliazione lavoro-famiglia. Gli effetti del sistema fiscale. Inevitabilmente, gli economisti si concentrano su misure che ottengano l’effetto della maggior autonomia femminile accrescendo insieme lo sviluppo complessivo. Cioè alzando l’output “ufficiale”, rispetto a quello “sommerso” del lavoro casalingo. Quest’ultimo è stato stimato dall’Istat in circa 405 miliardi di euro per i 4,8 milioni di casalinghe italiane, a tutti gli effetti non occupate ma attive per una media di 54-59 ore a settimana, e in altri 50 miliardi circa se si tiene conto della componente “sommersa” prestata a casa dalle donne lavoratrici. E’ più di un quarto del Pil italiano. Il che spiega perché tra i Paesi avanzati siamo in testa alla graduatoria giornaliera di “lavoro sommerso” familiare e parentale a solo carico femminile.

In Italia la vera priorità è innalzare il tasso di occupazione femminile, al 50% rispetto a una media Ue del 62% e di oltre il 70% nel NordEuropa. Per far questo c’è chi pensa – il team di economisti della Voce.info – a sgravi contributivi per sole donne. Non mi convince, sono per sgravi universali e non a tempo, su impresa-lavoro. E’ più importante riorientare il welfare alla conciliazione dei tempi lavoro-famiglia – visto che abbiamo una curva demografica tra le peggiori al mondo – con più asili nido non solo pubblici ma incentivati fiscalmente nelle aziende, congedi parentali più lunghi come in Francia e Danimarca, flessibilità oraria e telelavoro nei contratti. E attenuare l’eccessivo onere che l’IRPEF esercita sulle famiglie: i modelli sono diversi, tra le detrazioni superiori tra il 20 e il 40% per numerosità familiare a parità di reddito in Francia, e la scelta libera del contribuente a favore del cumulo dei redditi negli Usa. Bisogna iniziare a farlo innanzitutto al Sud, dove dal 2011 le casalighe sono tornate a superare le donne ufficialmente occupate.

Ma un reddito minimo per le donne? Nessun Paese al mondo in quanto tale lo prevede, ma è vero che la stragrande maggioranza dei Paesi europei offrono – con metodologie diverse – redditi minimi sociali universali, nel Nordeuropa anche con un riguardo a donne giovani e anziane. Qui la domanda diventa: ha più senso, rispetto alla finanza pubblica italiana e agli effetti da ottenere per aumentare la crescita a breve, un maxi trasferimento annuo aggiuntivo da un punto di Pil in reddito minimo, o riorientare dalla spea pubblica esistente risorse di ammontare analogo su conciliazione e fisco? Per la crescita, meglio la seconda cosa. Il trasferimento monetario alle donne Hunziker-Bongiorno avrebbe un effetto di crescita assai limitato, contribuendo solo marginalmente a consumi aggiuntivi rispetto alla domanda pubblica – se fosse lo Stato a pagare – o privata- se fosse il compagno. Sarebbe un costo, non una leva. Inevitabilmente pubblico, visto che con un reddito medio ormai inferiore ai 20mila euro annui e con un Sud di poco superiore alla metà, i “maschi” davvero avrebbero generalmente poca capienza. Ma una cosa è sicura: o il riorientamento del welfare a favore di donne e famiglia avviene, e in quel caso la violenza speriamo diminuisca sia per maggior indipendenza sia per una diversa cultura, oppure ne parleremo come di un’occasione persa per evitare di diventare tutti in media molto anziani sì, ma non si sa da chi mantenuti.

 

 

2 Responses

  1. Caro Oscar,
    concordo, come spesso mi accade, con quanto scrivi.
    E aggiungo che per dare la possibilità a tutti e due i genitori di lavorare, bisogna rendere la cosa economicamente conveniente, o quantomeno non così sfavorevole come lo è oggi. Se per lavorare devo mandare i bimbi al nido e/o al doposcuola (questo è il mio caso) e ciò mi costa € 426,05 per il piccolo al nido comunale e € 300,00 per la grande al doposcuola (privato), cui devo aggiungere una spesa mensile di almeno € 500,00 per una babysitter che prenda il bimbo alle 16:20 al nido comunale e lo porti a casa ,dove verso le 18:00 uno a turno fra me e mia moglie arriva con l’altra bimba presa da scuola, vuol dire che mensilmente spendo circa € 1225,00 per poterci permettere di lavorare entrambi. E a fine anno, degli 8000 euro circa spesi per le scuole quanto ne potrò scaricare? Circa 600, con il risultato che continuerò a essere in fascia ISEE massima, per la quale dovrò pagare 426 euro al mese di nido dal quale alle 16:20 mi mettono il bambino fuori dalla porta!
    Dunque noi lavoriamo in due per mantenere un posto al nido (che fra l’altro costa molto di più di quanto io versi mensilmente, dunque aggravio i conti dello stato perché lavoro!), un posto a un doposcuola privato (fortunatamente gestito da suore, fin quando non gli faranno pagare l’IMU, ICI, TASI o come accidenti si chiamerà domani!), e un mezzo stipendio di una baby sitter…
    Ci conviene?
    O era meglio se non avessimo avuto la sciagurata idea di fare dei figli?

    Saluti

    Massimo Scacco

  2. ant

    non sarebbe male se potessi dare uno stipendio a mia moglie, che se lo merita tutto. sarebbe anche un metodo per ridurre le tasse perche’ eliminerei lo scaglione piu’ tartassato. in questo modo darei in valore tangibile al lavoro casalingo e ne otterrei un beneficio economiche in meno tasse, visto che lo stato ladro non vuole adottare il coefficiente familiare.

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