“Non è un crimine essere ignoranti di economia”, ma…
Su Libertiamo è uscito un articolo dove si mostra l’ignoranza economica degli italiani, sia tra gli elettori che tra i giornalisti, e si argomenta che questo limita la qualità della vita politica del Paese. L’economia riguarda gran parte delle politiche, e l’ignoranza economica è dunque incompatibile con una democrazia funzionante. L’economia inoltre è parte integrante della cultura: chi non capisce i giochi a somma positiva, non è in grado di valutare i vantaggi della cooperazione sociale, e di fatto non capisce nulla del mondo in cui vive.
La democrazia moderna, per funzionare correttamente, richiede ai cittadini uno sforzo informativo e cognitivo enorme per farsi un’idea di un’infinità di argomenti da cui dipende il futuro di tutti: sistemi pensionistici, efficienza amministrativa, regolazione dei mercati, politica fiscale, sistemi di pagamento. Bryan Caplan ha inoltre persuasivamente argomentato che non c’è motivo per cui un elettore debba fare un tale investimento: la probabilità che serva a qualcosa è infatti praticamente nulla, il voto informato ha le caratteristiche di un bene pubblico. Abbiamo dunque due problemi che si rafforzano a vicenda: l’interventismo aumenta a dismisura la quantità di teorie e informazioni necessarie per giudicare la politica, e il sistema decisionale invece non dà alcun incentivo a sviluppare queste competenze.
Se ci si limita anche solo alla politica economica, abbiamo vari tipi di problemi:
- Mancanza di nozioni “ontologiche” di base: che differenza c’è tra “inflazione” e “livello dei prezzi”?
- Mancanza di nozioni “teoriche” di base: cosa è il vantaggio comparato?
- Abbondanza di pseudo-spiegazioni ideologiche: quante persone credono che la crisi è dovuta a carenza di moneta?
- Abbondanza di pseudo-soluzioni ideologiche: quante persone sono favorevoli all’energia fotovoltaica solo perchè “è verde”?
Alcuni di questi problemi si possono risolvere con una informazione di base, almeno per capire cosa è un titolo di debito. Altri richiedono un minimo di comprensione teorica: non è difficile capire i vantaggi comparati. Dubito che si possa fare una cosa del genere nelle scuole, ci saranno una manciata di professori di liceo che sa queste cose, e il rischio propaganda è elevato: l’economia è da tempo il principale terreno di scontro del dibattito politico.
In qualche modo però qualcosa va fatto: il “principale” ignorante (l’elettore) può essere facilmente raggirato dall'”agente” informato (il politico), e se la politica produce la necessità di fare scelte complesse e inoltre crea incentivi a non informarsi e a crogiolarsi nel pregiudizio, il problema diventa facilmente enorme.
Diffondere semplici idee su argomenti economici elementari è di fondamentale importanza per combattere l’ignoranza, che di norma facilita fin troppo la vita alle lobby, ai burocrati e ai politici. Queste piccole cose che sembrano ovvie sono probabilmente più importanti di quelle avanzate. Se l’elettorato avesse gli strumenti concettuali per capire anche solo che il debito pubblico è un costo per tutti, la politica avrebbe più problemi ad assaltare la diligenza.
I ragionamenti filano, però presuppongono che l’elettore esprima un voto in qualche modo entrando nel merito dei programmi del politico in esame, che quindi deve essere in grado di spiegarne i contenuti, e gli elettori devono essere in grado di valutarli.
Un primo problema è che la scienza economia è divisa in scuole, ed a parte alcuni aspetti microeconomici, il problema di “quale economia insegnare e diffondere” è rilevante e non credo superabile se non con un salomonico “qualsiasi teoria”, il che è uno sforzo enorme per tutti.
In realtà io non credo che sia neppure necessaria questa raffinata elevazione culturale (che comunque non farebbe male, intendiamoci!), perché in fondo il voto potrebbe anche andare verso il politico sbagliato (quello che non ha capito nulla), ma dovrebbe andarci una volta, perché visti i risultati i votanti dovrebbero adattarsi e cambiare scelta. Insomma: non serve essere onniscenti, ci possiamo affidare a quella “conoscenza diffusa” che, per chi ascolta Hayek, è proprietà anche del “mercato”.
Visti i fatti, si potrebbe dire però che in Italia almeno viga una “ignoranza diffusa” perché non c’è modo di avere politici in grado di gestire bene l’economia: in fondo tutti dicono la stessa cosa, cioè intervenire intervenire intervenire proteggere proteggere proteggere, variano solo un po’ i settori; gli elettori evidentemente non imparano dall’esperienza, o si schierano secondo altri principi.
O semplicemente la loro esperienza è quella di cercare di saltare sul carro del vincitore, che porterà loro qualche vantaggio (più o meno a scapito di altri), e lo fanno usando il voto.
Oppure sono talmente cinici che possono prendere la politica come una partita di calcio, sapendo che l’uno o l’altro non cambierà nulla, se non transitoriamente.
Ci sono evidenze che gli elettori imparano dall’esperienza? Che sono in grado di giudicare le politiche, se non da subito almeno dopo qualche anno, e tornare sui loro passi? Secondo me no.
Bel discorso, ma le elezioni si vincono controllando il TG1 e il TG5.
@Vittorio
Questo è empiricamente falso. Berlusconi ha perso nel ’96 e nel 2006, e ha vinto nel ’94, nel 2001 e nel 2008. Eppure almeno Mediaset la controllava sempre, e la RAI non poteva controllarla nel ’94, nel 2001 e nel 2008 perché al governo c’era la sinistra, o comunque (’94) qualcun altro. La storia delle televisioni è una delle balle che la sinistra si racconta da sola per consolarsi.
E’ quello che dico anche io: sembra di no… almeno, sembra di no dal nostro punto di vista che è fatto di una progressione “armoniosa” dell’economia e delle condizioni di libertà; dal punto di vista di molti altri, però, mi sa che ci vedono molto bene.
Ti faccio un esempio, così forse spiego anche meglio il mio intervento:
– un politico non capisce una mazza di economia, ma è sostenuto dalla lobby dei costruttori quindi se eletto farà qualcosa tipo un “programma per la casa per tutti”.
– tu sei un costruttore e sai questo; ti conviene personalmente votarlo o no?
– tu sei il lavoratore di un costruttore e sai questo; ti conviene personalmente votarlo o no?
– tu sei il famigliare del lavoratore di un costruttore e sai questo; ti conviene personalmente votarlo o no?
E sia chiaro che non parlo di voto di scambio, bensì di opportunità che nasce dalla PRESENZA di un potere politico che ha possibilità di INTERVENTO in ambito economico.
Se il rapporto politica-industria fosse più flebile e meno specifico, gli elettori avrebbero interesse a imparare dall’esperienza; nell’attuale assetto economico-politico semplicemente il vantaggio del “partecipare alla lotta politica” supera ampliamente qualsiasi feed back puramente economico di più lungo periodo.
Io do questa spiegazione, anche perché non voglio arrivare a dire che il mercato si regola da solo perché la gente impara con il tempo, mentre in politica siamo tutti un branco di idioti; non ha senso.
Il mercato si regola da solo per lo stesso motivo per cui i corridori alle olimpiadi corrono: chi fa il meglio vince. L’attività e l’assennatezza di ognuno è nell’interesse personale di ognuno. La razionalità è il frutto di un vincolo istituzionale, creato dal processo concorrenziale stesso.
In politica l’elettore non ha neanche motivi per andare a votare: nessuno individualmente influenza nulla. Non c’è alcun motivo per recarsi a votare, dunque, e c’è il cosiddetto “paradosso del voto”, che si spiega semplicemente dicendo che siccome votare è gratis, la gente spende un’oretta per sentirsi a posto con la coscienza.
Però non lo fa perché c’è un motivo di interesse personale dietro: il voto per l’elettore è solo una goccia nell’oceano. L’interesse è per le lobby, per i politici e per i burocrati, non per la massa di elettori. Se io non voto, o voto, non cambia nulla.
Il voto si dà dunque per motivi non razionali, e quando anche si ritiene di dover votare bene per motivi morali, non c’è alcun meccanismo di incentivi: una cosa è investire un’ora all’anno per andare al seggio, un’altra è investire un’ora al giorno per studiare economia. Nessuno lo fa, sono tutti razionalmente ignoranti, e sono tutti razionalmente vittima dei loro agenti più informati di loro.
la soluzione e´a mio avviso semplice e se non si ha il coraggio di iniziarla a pronunciare senza remore e paure non si riuscira´mai a venirne fuori : eliminare lo Stato e lasciare tutto al mercato, come e´stato chiaramente spiegato da Hoppe. Tutto qui !
Sino a quando si avra´la paura del politicamente corretto e si ritiene che senza lo Stato ci sara´solo il caos mentre la logica e financo la Storia vera (non quella raccontata) dimostrano il contrario, non si fara´che crogiolarsi in infinite teorie spurie senza senso…mentre il mondo seguira´il suo ineluttabile cammino spinto dalla inarrestabile forza dell´azione umana.
Ottimo articolo ed ottimo argomento! La preparazione “economica” è un prerequisito fondamentale per essere elettori consapevoli e responsabili. E io credo che moltissimi italiani scelgano Berlusconi da quasi venti anni perchè “intuiscono” che in economia è un pò più preparato della Bindi o di Fini/bocchino.
Grazie Monsurrò di avere aperto questo argomento!
Nel ’96 la storia era diversa rispetto ad oggi. Riguardo al 2006, ricorda i risultati alle Regionali del 2005 e i sondaggi prima che il signor Berlusconi straripasse su tutte le tv durante la campagnia elettorale?
Ovviamente campagna, non campagnia
Il problema della alfabetizzazione economica del nostro paese si propone spesso, ovviamente rimane sempre una di quelle nicchie oscure e riservate in cui solo chi ha a che fare con la “prasseologia” ( come direbbe Mises) si ritrova a discuterne.
Una possibile soluzione sarebbe quella di trovare un modo per rendere accessibile a tutti ( dalla casalinga di voghera al cardiochirurgo) almeno le nozioni di base; per me riguardo a questa splendida materia esistono due modalità di espressione : quella da economista ad economista e quella da economista a persona che nulla sa di quello che sia l’economia. Questa seconda modalità è poco usata ( per non dire affatto usata) preferendo la prima che attribuisce si un “tono” di autorità ma a scapito della reale comprensione delle cose.
Un bellissimo esempio di come le cose si possano fare in maniera semplice ,efficace ed efficiente è stato il rap Keynes vs Hayek, che è stato capace di riassumere il succo dei due economisti e per riflesso delle due scuole di pensiero ( per un profano è meglio ascoltare un pezzo di qualche minuto che leggere ” teoria dell’occupazione e della moneta” e, che ne sò, “L’azione umana”, tanto per fare due esempi).
Questo non deve essere visto come dannosa semplificazione della materia, ma piuttosto come una ulteriore chiave di accesso a questo mondo composto da birrai egoisti, curve di indifferenza, saggi marginali, mercati dei bidoni,produzione, reddito e via dicendo.
Credo che il miglior modo di comunicare sia tra la gente e non arroccati in oscure stanze in cui si parla in maniera oscura di cose “oscure”.
Possiamo fare di meglio…
Sign. Monsurrò come sempre mi offre degli ottimi spunti su cui riflettere, complimenti vivissimi.
Trovo condivisibili le argomentazioni dell’articolo, ma mi permetto di sottolineare che non si può pretendere da un comune cittadino di avere nozioni approfondite di macro e micro economia, così come non si dovrebbe pretendere da un comune cittadino di avere nozioni approfondite di medicina, meccanica o panificazione.
In altre parole, si dovrebbe poter godere di pieni diritti civili anche solo essendo in possesso di una media cultura generale.
Questo perché è possibile che una società compia grandi cose anche con livelli culturali medio bassi; ad esempio il miracolo italiano degli anni 60 si è compiuto senza l’apporto di somme intelligenze; e lo stesso è accaduto in tutte le rivoluzioni industriali, e non.
Semmai, sarebbe compito delle classi dirigenti rendere il contesto politico, civile, economico, semplice e fluido, togliendo lacci invece di metterne, nella vana convinzione di poter operare meglio del mercato o del caso.
È sotto gli occhi di tutti, che viviamo in una società inutilmente complicata, in cui un’impresa lavora più per sbrigare burocrazia che per il suo “core business”, in cui, per il livello di tassazione, un operaio deve lavorare due ore per potersi permettere di comprare una sola ora del suo lavoro… il caso italiano è emblematico ma mi pare di poter ripetere il ragionamento per molte altre nazioni che si considerano avanzate.
Questo è il risultato di una proliferazione legislativa, che a dire dell’attuale classe dirigente è in regressione. Sarà vero ma il ministero della semplificazione italiano ha recentemente dichiarato di aver ridotto le leggi vigenti a (cito) “solo 10.000”… 10.000 leggi da conoscere per essere un buon cittadino!
10.000! mi si perdoni l’ingenuità: ma una legge prima di poterla rispettare bisogna conoscerla e capirla! E doveri farlo per “solo”10.000?
Altro che conoscenze economiche, qui si tratta di essere almeno magistrati di cassazione per poter essere buoni cittadini. Ma se io volessi solo fare il panettiere?
Rassegnamoci ! Almeno in Italia la scienza economica non ha nessuna ragionevole prospettiva di diffusione: con un popolo di miracolofili, sempre in attesa della liquefazione di qualche sangue, in attesa dello uomo della provvidenza (come allenatore di calcio o come capo del governo, poco varia), in cui le colpe sono “degli inglesi che hanno chiuso il canale di Suez” (cfr. “Il vedovo”, con A. Sordi e F. Valeri), ed in cui non si da’ nessun rispetto a chi lavora col cervello, una scienza che spiega come non esistano pranzi gratis (chi l’ ha detto ?) non ha nessuna prospettiva di penetrazione.
Salve,
qualcuno avrebbe qualche lettura facile da consigliare a un totale ignorante di economia?
non sapendo rispondere alle sue 4 domande, mi annovero tra gli “italiani ignoranti in economia”.
ma sono costretto a chiederle , quali sono gli strumenti che ha un semplice cittadino per farsi una cultura economica ?
non c’è trasmissione radio o tv che abbia una funzione educativa, nè tantomento quotidiani o riviste.
@diego
C’è un motivo per cui è possibile lasciare alla Intel la competenza per fare processori senza alcun problema, ma non è possibile votare senza sapere nulla di come funziona un sistema pensionistico.
La Intel mi vende il prodotto: se funziona me ne accorgo non guardandoci dentro, ma usando il PC. Se l’AMD fa un chip migliore, i miei amici con l’AMD avranno videogiochi più fighi, o portatili che durano di più, o risparmieranno 200€. Non devo sapere nulla, tranne quanto costa il processore, e come funziona il PC con quel processore: non serve sapere cosa è una memoria cache o qual è la lunghezza di canale dei MOS impiegati.
La politica mi prende i soldi, mi dice che tra 30-40 anni me ne restituirà una parte per quando andrò in pensione, nel frattempo li usa per finanziare le pensioni odierne. Io non mi accorgo di nulla, passano 40 anni, e scopro che i soldi per la mia pensione non ci sono perché non sono mai esistiti. Oppure non mi accorgo di nulla: semplicemente, mi becco 500€ al mese dopo aver versato fondi a sufficienza da poterne avere 2000€. In questo caso, o si capisce “di che si tratta”, o si viene fregati (ovviamente è concepibile che uno Stato serio informi i cittadini in maniera onesta: ma non è mai successo, né mai accadrà, su base sistematica).
Comunque, io parlavo di nozioni di base: tanto l’italiano medio non sa cos’è un tasso di interesse, inutile parlare di cause della crisi finanziaria.
A tutti:
Per capire alcune cose di base di economia consiglio “politica economica” di Mises (Liberilibri), e “i fallimenti dello stato interventista” di Mises (Rubbettino). Però si tratta di un approccio politico che tralascia le nozioni di base come definire il debito o il deficit.
Per le nozioni di base, c’è Wikipedia: quella in inglese normalmente è fatta bene, quella in italiano a volte lascia a desiderare o è incompleta, però le cose di base dovrebbero esserci. Debito, deficit, beni, servizi, industria, spesa pubblica, tasse: tutte nozioni che si trovano.
Il Mulino ha una collana di libri che si chiama tipo “saperne di più”, e ce n’è ad esempio uno sul debito pubblico che anche se è pieno di keynesianate sulla politica fiscale, spiega sia la storia del debito italiano che gli aspetti contabili necessari a capire da dove viene il debito (“Il debito pubblico” di Ignazio Musu).
1. che differenza c’è tra “inflazione” e “livello dei prezzi”?
Se in un anno le banane costano 100, le mele 80, le arance 90, e i kiwi 70, il livello dei prezzi è la media dei quattro: (100+80+90+70)/4 = 85.
Se l’anno dopo i prezzi sono 100, 90, 100, 60, il nuovo livello dei prezzi è di nuovo la media: 87.5.
L’inflazione è la variazione del livello dei prezzi, dunque 87.5 – 85 (che è l’aumento) divisa per il valore iniziale, 85: il 3%.
Quando si dice che i prezzi sono aumentati, si intende l’inflazione. Se l’inflazione passa da 4% al 2%, vuol dire che invece di aumentare del 4% aumentano del 2%. Dunque il livello dei prezi passa da 100 a 102 anziché da 100 a 104.
2. cosa è il vantaggio comparato?
Se io ci metto un’ora per produrre un chilo di arance, e un’ora per produrre un chilo di banane, e se un altro ci mette 30m per le prime e 20m per le seconde, allora conviene che io mi metta a produrre arance anziché banane, e poi si scambia il tutto a fine giornata sul mercato.
Infatti in 10 ore di lavoro da solo io produco 5kg di arance e 5kg di banane. L’altro produce 10kg di arance e 15kg di banane nello stesso tempo. Lavorando da soli produciamo 15kg di arance e 20kg di banane.
Se invece io lavoro 10 ore a produrre arance e ne produco 10kg, e l’altro lavora tre ore a produrre arance e sette a produrre banane, producendo 6kg di arance e 21kg di banane, la produzione complessiva è: 16kg di arance e 21kg di banane. A questo punto sono comparsi 1kg di arance e 1kg di banane in più. Questo è il guadagno della specializzazione: siccome la produzione è maggiore, io posso ora comprare banane dall’altro in cambio di arance, e stiamo entrambi meglio.
3. quante persone credono che la crisi è dovuta a carenza di moneta?
Il tasso di interesse è stato annullato dalle banche centrali, e sono state eseguite iniezioni di liquidità per migliaia di miliardi: non è successo nulla. Il problema è altrove: nella struttura produttiva, e nei bilanci delle banche. Niente che riguardi la liquidità.
4. quante persone sono favorevoli all’energia fotovoltaica solo perchè “è verde”?
Da ingegnere elettronico ho studiato qualcosa sulle celle fotovoltaiche. Mi sono convinto che sono una fesseria senza futuro, salvo rivoluzioni tecnologiche. Però non è questo il punto: il punto è che una cosa non deve essere considerata vera solo perché piace o “suona bene”. E questo è un problema che spesso hanno anche i liberali.
@Marvin
Monsurrò non è nato come economista, ha tutt’altra specializzazione, ma ha studiato da sé cercando roba su internet e leggendosi libri. Lo so bene perché nel 2006 abbiamo incrociato le nostre strade nell’avventura dentro l’austrismo, solo che io venivo da studi economici formali e lui no.
Ora, lui è un po’ sopra la media (anche se non ha capito una mazza del mio ultimo commento), ma chiunque può se vuole cominciare ad entrare nell’argomento, basta aver voglia di sbattersi, sudare, e non pretendere di aver capito tutto soprattutto dopo aver letto in una settimana una decina di pagine di un qualche pamphlet on line.
@Andrea
Leggiti “Freakonomics” di Levitt , “Storia dell’Economia” di Galbraith, “Il cigno nero” di Taleb, “Too big to fail” di Sorkin, “Il mondo è piatto” di Friedman. Dai un’occhiata a blog come NoisefromAmerika, Project Syndicate, Freakonomics etc..
Se vuoi andare più nello specifico inizia da un classico come “Economia” di Samuelson, oppure “Economics” di Bernanke , “Principles of Economics” di Mankiw, “Economics” di Krugman.
Quando ne sai qualcosa in più leggi qualche testo cardine: “The wealth of the nations” di Smith ,la ” General theory “, “Le conseguenze economiche della pace” e “La fine del laissez-faire” di Keynes , “Capitalism and Freedom” di Friedman .
Se vuoi informarti sulla crisi odierna ti consiglio: “The return of depression economics” di Krugman , “A failure of Capitalism” di Posner , “The myth of rational market” di Fox , “The subprime solution” di Shiller, “The two trillion dollar meltdown” di Morris.
Ma Monsurrò non eri austriaco? E allora come fai a definire l’inflazione in quel modo? Uno dei concetti che gli austriaci ripetono fino alla nausea è che ci si dovrebbe preoccupare per prima cosa dell’inflazione monetaria, perchè è da quella che deriva l’inflazione dei prezzi…e tu neanche la citi?
Aggiungo un’altra cosa…come si può cercare di insegnare l’economia al cittadino medio se anche in un sito come questo, dove il livello medio di cognizioni economiche dovrebbe essere elevato, convivono, senza apparentente accorgersi della contraddizione, persone come Nicolai e Leonardo IHC, che dovrebbero stare agli antipodi?
Questo non per dire che uno dei due dovrebbe fare le valigie, ma solo che anche i presunti informati non vanno d’accordo su niente. Figuriamoci i disinformati!
@zz
Essere austriaco non significa mica ripetere a memoria nozioni. Il fatto che il tasso di inflazione non è significativo nella teoria austriaca non significa che non possa essere definito, né tanto meno che non sia importante economicamente (basti pensare a Weimar).
Il ragionamento sottostante la critica del tasso di inflazione nella teoria austriaca è il seguente.
1. L’inflazione non è un fenomeno omogeneo, perché agisce diversamente sui vari prezzi.
2. I fenomeni sui prezzi relativi sono la cosa più importante.
3. L’analisi in termini di livello dei prezzi dunque non serve alla teoria austriaca del ciclo.
Nell’esempio numerico che ho fatto, i quattro tipi di frutta avevano tassi di inflazione diversi, e si faceva una media. La cosa è molto austriaca perché in un contesto a bene omogeneo tutti i prezzi sarebbero saliti esattamente dello stesso fattore.
@zz
D’accordo. Tuttavia penso che le divisioni siano su particolari, non sulla differenza tra inflazione e livello dei prezzi o sulla teoria del vantaggio comparato.
Un sistema in cui tutti devono informarsi – un po’ più un po’ meno – su tutto non funziona. Punto. Il mercato funziona anche per gli analfabeti. Altrimenti possiamo concludere che le rivoluzioni industriali che hanno impiegato masse analfebete siano state un mezzo miracolo.
Chiedo scusa, ma cos’è l’inflazione?
Fino ad oggi ero convinto si trattasse semplicemente di un aumento della massa monetaria e dei suoi aggregati (secondo i desideri di governo e banca centrale, che drenano il valore d’acquisto della moneta).
Qui mi pare che sia stata definita come aumento dei prezzi, quando in realtà tale aumento è semplicemente un effetto dell’inflazione (ragionando per semplicità in un mercato con domanda e offerta senza variazioni).
Dove sbaglio?
@stefano
Il linguaggio serve per comunicare. Se uno usa un linguaggio che nessun altro capisce, non sta cercando di comunicare, dunque tanto vale che non parli.
Questa è la storia della definizione di inflazione per gli austriaci: continuano a fare irrilevanti punti lessicali, facili da mandar giù a memoria per i blogger che ne parlano, ma irrilevanti sul piano sia teorico-accademico che della diffusione delle idee.
Nessuna idea si è mai diffusa usando un linguaggio incomprensibile, e nesusna scienza si è mai sviluppata limitandosi a considerazioni nominalistiche.
@Pietro Monsurrò
Ora, è vero che è abbastanza stupido fare dei cappelli tassonomici di 500 parole per postare in un blog, così come se parli con 9 persone per le quali inflazione significa aumento dei prezzi, per amor di semplicità è ragionevole ridefinire il proprio lessico in termini comprensibili agli interlocutori – altrimenti non si conversa nemmeno. Però messo così brutalmente l’ultimo intervento sembra un elogio al mainstream e al conformismo. Senza considerare poi che, a prescindere dal giudizio di merito (per me negativo):
– la Teoria Generale di Keynes è scritta in un linguaggio poco chiaro, a volte contraddittorio ed estremamente fuori linea rispetto al lessico economico impiegato fino agli anni ’30, ma non per questo non è stata priva di conseguenze. Se si fosse limitato a qualche paper in stile ortodosso probabilmette oggi diremo “Keynes.. who ?” ;
– il messaggio finale che ne è derivato è stato quello di chiamare bianco il nero, definire il risparmio “vizio”, far passare l’idea del consumo come motore dell’economia e ridurre enormemente l’idea che il debito pubblico non sia altro che un sistema politico di traslare i costi da una generazione all’altra. Gli aspetti “nominalistici” nei processi culturali non sono perfettamente neutrali né irrilevanti (Orwell docet); vedi ad ex. il “we’re all keynesian now di Friedman”.
Condividio la convinzione che gruppo sociale chiuso e autocelebrante verità consacrate difficilmente si evolva in qualcosa di interessante, ma credo che chi ritenga meritevole un approccio eterodosso faccia bene a coltivare – in maniera positiva e aperta – le proprie specificità.
..alla fine ci si riduce sempre a “to be azzeccagarbugli or not to be azzeccagarbugli?” la divulgazione è una cosa (e Galbraith lo sapeva) il linguaggio tecnico è tutt’altra cosa. Fare divulgazione tramite un linguaggio denso di tecnicismi e di postille varie equivale. a mio avviso, a fare una amatriciana con il tartufo bianco..
@Francesco Nicolai
manca qualche libro di Storia del Pensiero Economico… altrimenti si rischia di fare una frittata! il mio primo libro di economia è stato ” Capire l’Economia” di Thurow.. bei ricordi… ora guardo “teoria macroeconomica” di Allen e mi viene da piangere.. scusate la divagazione ed il doppio post…
@Silvano_IHC
Io coltivo le mie specificità, ma proprio perché hanno radici profonde non mi interessano i dettagli stilistici e nominalistici. Se mi si dice che l’inflazione influenza tutti i prezzi contemporaneamente, io mi ribello, ma se mi si dice che non è possibile parlare di inflazione, mi chiedo se vale la pena ribellarsi. Se non va bene inflazione, chiamiamola banana, l’importante è che non sia immediata e omogenea, altrimenti addio prezzi relativi. 🙂
@Pietro Monsurrò
Grazie della risposta.
Bisogna esporre i concetti fondamentali in modo semplice e chiaro, di modo che chiunque possa essere in grado di capire l’importanza fondamentale dell’economia
Vorrei capire qualcosa di piu’ (confesso la mia ignoranza) perche’ il fotovoltaico e’ una fesseria?
@Silvano_IHC