Non è il protezionismo che ci salverà dalla crisi economica
Riceviamo da Lorenzo Guggiari e volentieri pubblichiamo:
In questo periodo in cui i governi stanno approfittando della crisi globale per tornare a politiche protezioniste e neo-keynesiane una boccata d’ossigeno arriva dal Brasile. Per quanto possa sembrare strano la resistenza ad un provvedimento di chiaro stampo dirigista è arrivato proprio da quel ceto produttivo che nel resto del mondo continua a chiedere protezionismo e assistenzialismo.
Nonostante i fatti risalgano alla fine di gennaio vale la pena illustrare quanto è accaduto. Il governo brasiliano – preoccupato dal deficit della bilancia commerciale dopo otto anni di attivo – ha deciso di ampliare la licenza preventiva di importazione, estendendola a 17 settori che rappresentano circa il 60%-70% delle importazioni. Praticamente si tratta di una barriera informale alle importazioni dove viene valutata ogni singola richiesta prima di permettere l’entrata della merce nel paese. Da sempre Il Brasile applica questa licenza per alcuni prodotti ritenuti pericolosi o soggetti a misure di difesa contro il dumping commerciale e che rappresentano circa il 10% delle importazioni totali. Per il restante 90% gli importatori ottengono l’autorizzazione automaticamente attraverso internet.
La discussione su questo provvedimento era già in agenda da tempo tra il ministro delle finanze e quello dello sviluppo economico. L’obiettivo “ufficiale” dei due ministeri era quello di assicurare un maggiore controllo sui flussi delle merci e di aggiornare le statistiche a causa delle differenze con i dati forniti dall’Ufficio delle Entrate. In verità i problemi principali sono nati all’interno del Mercosul, infatti i paesi vicini hanno già preso provvedimenti in questa direzione. L’Argentina ha ampliato la licenza preventiva di importazione nei confronti dei prodotti brasiliani, tanto che le esportazioni sono calate del 40%. L’Ecuador ha elevato i dazi e ha imposto quote prestabilite sulle importazioni. In Venezuela il processo è ancora più diretto in quanto una commissione decide ogni singolo caso ed ha il controllo totale sulle importazioni. Pertanto l’esigenza di ampliare la licenza preventiva è stata vista come uno strumento di negoziazione e di minaccia nei confronti dei partner commerciali del continente.
Nei giorni immediatamente successivi al provvedimento si sono verificati così tanti problemi, dovuti principalmente alla mancanza di pubblicità, che si è avuta una valanga di reclami da parte delle imprese nei confronti del governo e c’è stata una levata di scudi da parte del settore privato che ha messo in atto varie forme di protesta.
Dopo varie consultazioni all’interno dei ministeri interessati il ministro delle finanze ha annunciato la sua opposizione a misure che rappresentano una chiusura verso i prodotti esteri, inoltre ha affermato di temere l’impatto che tale misura potrebbe avere sui prezzi e sull’inflazione. In definitiva è durato tre giorni l’impeto protezionista del governo brasiliano. Il 28 gennaio in una breve dichiarazione congiunta il ministro delle finanze e il ministro dello sviluppo economico hanno annunciato l’annullamento del provvedimento.
In conclusione vale la pena sottolineare che anche un piccolo e sporadico episodio come questo dovrebbe essere di insegnamento per mercati e paesi che si definiscono sviluppati. Probabilmente molti paesi emergenti hanno ben compreso che la globalizzazione ha favorito il loro sviluppo e che dazi e barriere doganali servono poco a fronteggiare la crisi in atto. Il Brasile, che può essere paragonato ad una balena costretta a nuotare nella vasca da bagno dell’America Latina, ha tratto indubbio beneficio dall’apertura dei mercati. Circondato da vicini poco amichevoli – nonostante le apparenze di facciata – e con imprese strangolate da burocrazia, corruzione e alta pressione fiscale è riuscito negli ultimi dieci anni ad uscire da questo circolo vizioso e a raggiungere livelli di benessere inimmaginabili fino ad una ventina di anni addietro.