31
Mag
2013

Nomine, politica e auspicabili passi avanti

Sembra proprio che i sindaci azionisti di Iren non stiano riuscendo ad accordarsi su chi nominare ai vertici dell’azienda. Anche se oramai il tempo stringe e, si sa, la politica è l’arte del compromesso…

Quindi una soluzione, una convergenza in un maniera o nell’altra verrà trovata, come del resto è stato fatto in questi anni da quando proprio la politica di sinistra diede avvio ad un’ambizioso processo aggregativo anche, se non soprattutto, per non essere da meno a quella di destra che già si era portata (più) avanti unendo l’ASM di Brescia con la AEM di Milano (anche lì i con non pochi e non piccoli problemi di governance).

Così  nella tarda primavera del 2008 si cominciò a parlare della megafusione Hera-Iride-Enia. Le aziende però – ovviamente – erano piuttosto diverse Hera forte dei suoi numeri e rappresentata dal navigato Tommasi, Iride, forte nell’up-stream, con il duo litigante Bazzano-Garbati, Enia, la più piccola, con Viero. Quest’ultimo più diretto e più giovane frutto della politica; Andrea Viero, infatti, fino ad aprile 2008 era direttore generale della Regione Friuli Venezia Giulia e prima sempre con Illy era stato dg del Comune (ruoli in cui, tra l’altro, ha collezionato due condanne della Corte dei Conti).

Ma torniamo alle aziende, le cronache dei giornali nell’estate del 2008 scrivono di estenuanti negoziati, ingerenze politiche, accordi rimangiati, fughe e precipitose ritirate.

Cofferati, allora sindaco di Bologna, spingeva per l’unità emiliano-romagnola, cioè per Hera-Enia ma nella trattativa più delle strategie industriali, più del partito e più ancora della geografia pesarono le poltrone.

Viero infatti giocava al rialzo con disinvoltura su due tavoli, il più piccolo e inesperto ma spregiudicato voleva tutto; Bazzano e Garbati, sempre conflittuali, ma uniti nel timore di una sostituzione in mancanza di una fusione cedettero di fatto il passo a Enia; Tommasi rinunciò.

Il 12 ottobre 2008, più che celebrare la scoperta del grande navigatore genovese, i giornali  riportarono la rotta di Iride e l’affermazione di Enia che portava a casa condizioni paritetiche pur essendo grande meno della metà. La sede legale da Torino andò a Reggio Emilia ma il vero argomento di discordia fu il con cambio fissato a 4,2 azioni Iride per una azione Enia.

Torino e Genova consapevoli dello svantaggio frenarono non poco, come si leggeva sui giornali tra il 2008 e il 2009 la cosa traspare chiaramente: tutti i titoli sono Iride frena, Enia spinge. Se la governance è contestata subito da tutti, i nodi economici vengono fuori cammin facendo. In Iride la moratoria fiscale (la restituzione cioè degli aiuti di stato ricevuti alla fine degli anni ’90) potrebbe costare 170-180 milioni, in Enia il 15% di Delmi tramite il quale si arriva a Edison non è chiaro quanto possa valere (nel tempo si rivelerà una minusvalenza per Iren cosi come Sinergie Italiane, presunto fiore all’occhiello portato in dote da Enia e poi costato quasi 100 milioni di minusvalenze). Gli emiliani chiedono conto al Comune di Torino del debito verso Iride (centinaia di milioni) e ai genovesi di scoprire le carte di OLT (rigassificatore di Livorno) i cui costi erano già allora in costante crescita.

Il 2009 trascorre a colpi di ultimatum tanto che a colpi di estenuanti passaggi comunali la partita venne chiusa, anche perché la politica ormai troppo aveva investito.  Chiedendo però immediati ritorni in termini di nomine anche se con qualche differenza tra lo “stile” ex-Iride e quello ex-Enia.

Mentre nella prima ci si limita ai consigli di amministrazione nella seconda gli ex-politici trovano posto anche come dirigenti. Quindi Cesare Beggi, ex sindaco di Quattro Castella, diventa dirigente in Emilia mentre a Genova trovano posto Tirreno Bianchi (PdcI), appena non rieletto in regione, e Rosario Monteleone (UDC), Presidente del Consiglio Regionale. Il PD piazza, Benvenuti appena uscito dalla regione, e Cassissa, esperto di autonomie locali; perfino l’API e IdV riescono a piazzarne rispettivamente il prof. Pittaluga, ex assessore regionale, e l’ing. Bellotto, da Padova, imposto pare da Di Pietro in persona.

E non si possono non ricordare il vice-presidente Allodi che comprò azioni alla vigilia dell’annuncio della fusione: si giustificò dicendo che «voleva dare un segnale di fiducia» e Villani, nomina PdL a vice-presidente del gruppo Iren, ricordato anche per la frase «non mi si venga a dire che un medico non può occuparsi di energia».

O ancora Lorenzo Borgogni, in seguito assunto alle cronache per le note vicende di Finmeccanica dove da direttore delle relazioni esterne, sedeva in CdA Iride, a fianco di Paolo Cantarella. Sì, proprio l’ex ad FIAT che, insieme a Elefanti e Ghibellini, è membro del gruppo degli “esperti” indicati dai Sindaci per rivedere la famigerata governance del gruppo.

E sembrerebbe che almeno Cantarella ed Elefanti molto si siano spesi per difendere persone e assetti attuali.

Un comportamento comprensibile e forse inevitabile, visto che entrambi, a differenza di Ghibellini, ricoprivano già il ruolo di amministratori in Iride ed Enia e continuano a ricoprilo oggi in Iren. E ciò contribuisce a spiegare perché la riforma della governance, pressoché pronta già da dicembre 2012 sia di fatto sospesa in una specie di limbo.

Staremo a vedere, ma sembrerebbe chiaro che continuare così non sarebbe un gran progresso.

 

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1 Response

  1. MARCO

    Sarebbe semplice se fossimo un paese normale. Da anni propongo per sgessare questo paese di limitare per legge la partecipazione di capitale pubblico sotto la soglia del 25%. Inoltre per non svendere le partecipazioni una soglia temporale di 6 anni per realizzare le cessioni adeguate. Infine nei CDA non dovrebbero sedere persone ricoprenti cariche politiche, ma non solo visto che si tratta di società partecipate la carica politica dovrebbe essere stata abbandonata almeno 12 mesi prima. Altrimenti la MERITOCRAZIA continua ad essere una barzelletta e come la maggior parte delle barzellette è persino sdruscita dall’abuso.

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