Nessuna pietà per le imprese indebitate!—di Carlo Amenta
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Carlo Amenta.
Come si stabilisce il livello di indebitamento ottimale per un’impresa? Per chi si occupa di imprese e di finanza la domanda non ha una risposta univoca. Il debito è uno strumento fondamentale per l’imprenditore. Il denaro, come le merci dei fornitori ed il lavoro dei dipendenti, serve per far funzionare l’impresa colmando il divario temporale tra l’ottenimento dei ricavi e l’assolvimento delle proprie obbligazioni. Il ricorso eccessivo al debito ottenuto da terzi può ingolfare il meccanismo d’impresa, mettere in pericolo l’equilibrio finanziario e minacciarne la sopravvivenza. Di contro, secondo alcuni, anche un indebitamento elevato può essere strumento utile di corporate governance imponendo un severo scrutinio sulla gestione da parte dei finanziatori esterni, riducendo così i problemi legati al rapporto di agenzia tra azionisti e manager. Il dibattito non ha mai fine e l’equilibrio finanziario perfetto pare come l’araba fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa.
Eppure nel 2007 lo stato italiano, con un colpo di penna, ha posto fine a questo appassionante dibattito. Con la modifica apportata all’articolo 96 del T.U.I.R., nella parte relativa all’imposta sul reddito delle imprese, il legislatore italiano ha stabilito che gli interessi passivi dovessero essere dedotti dal reddito solo in misura pari agli interessi attivi e, per l’eccedenza, proporzionalmente all’andamento del conto economico dell’impresa. Miracolo! Il legislatore aveva trovato di colpo il metodo e la misura per stabilire quale fosse il livello di indebitamento corretto da riconoscere ai fini fiscali e quale quello “cattivo”, causato dagli sporchi capitalisti in cerca di rendite di posizione e non interessati a mettere a rischio i propri capitali. In particolare, una volta verificato che gli interessi passivi superano gli interessi attivi (e mi chiedo quale impresa ben gestita possa mostrare una così singolare identità contabile), l’eccedenza è deducibile nel limite del 30 per cento del risultato operativo lordo della gestione caratteristica. Il legislatore è così gentile da illustrare allo sprovveduto imprenditore anche cosa intende per risultato operativo lordo procedendo ad escludere gli ammortamenti dal calcolo oltre ai canoni di locazione finanziaria. Con ciò riducendo ulteriormente la base per la deducibilità degli interessi passivi per motivi che tecnicamente trovo poco comunque poco convincenti. Il meccanismo prevede almeno che l’eventuale parte del risultato operativo lordo non utilizzata per la deduzione degli interessi passivi in un determinato periodo, venga considerata a disposizione per gli esercizi successivi.
Lo stato ha così risposto alla domanda che ho posto all’inizio: l’indebitamento ottimale è quello che produce interessi passivi pari a quelli attivi o, tutt’al più, pari a questi ultimi sommati ad una parte del risultato operativo lordo modificato.
Con un certo disappunto di burocrati, pianificatori e saggi legislatori non sempre la realtà riesce ad adeguarsi a quello che viene scritto e sancito nei sacri testi della legge. Come noto, dall’anno successivo a questa brillante modifica legislativa una delle peggiori crisi finanziarie ed economiche della storia si è abbattuta sulle nostre imprese. Le difficoltà economiche hanno avuto un impatto sui conti economici delle imprese e, come conseguenza, ne hanno peggiorato le performance finanziarie con la necessità di un maggiore ricorso al supporto dei finanziatori esterni e del sistema bancario. La risposta di quest’ultimo, chiamato in causa anche per l’acquisto dei bond governativi, è stato un complessivo irrigidimento nell’erogazione del credito con la rarefazione degli impieghi e l’inasprimento delle condizioni già attuate. Il risultato per le imprese? Risultati economici peggiori per la contrazione dei ricavi, maggior costo del denaro disponibile e vertiginoso aumento degli interessi passivi. All’evidente difficoltà legata alle condizioni del mercato ed a quelle dell’indebitamento si è così aggiunto, per molte imprese, l’inasprimento del carico fiscale sugli interessi passivi per via di questo perverso meccanismo previsto dall’art. 96 del TUIR. Al peggiorare del risultato operativo lordo si è ridotta la base su cui calcolare l’eccedenza deducibile degli interessi passivi. Questi ultimi sono aumentati e pertanto la loro eccedenza rispetto agli interessi attivi (inesistenti) si è ampliata con l’aumento della base imponibile su cui le imprese in difficoltà calcolano e liquidano le proprie imposte.
Non mi risulta che, nelle innumerevoli litanie e nei roboanti proclami dei diversi governi che si sono succeduti in questi anni di crisi qualcuno si sia mai posto il problema di modificare questo folle meccanismo di amplificazione delle difficoltà finanziarie delle imprese.
Sogno da sempre lo stato minimo, nessun contributo e basse imposte per le imprese, senza alcun intervento sulla base imponibile. Continuerò a sognare, ma uno stato che aggrava le condizioni delle imprese inventando cervellotiche formule di gestione credo sia un incubo anche per chi non la pensa come me.
Sottoscrivo!!! Abbasso lo stato – incubo, evviva lo stato minimo!!!
Piangere e battere cassa.
Questa la strada?
Certo che se non ci fosse lo stato per potersene lamentare e accusarlo di tutto, bisognerebbe inventarlo.