Nessuna guerra dei domini, solo una sana concorrenza
Con il suo ultimo articolo su Repubblica (“La guerra dei domini”, 23 agosto) Carlo Petrini si cimenta nel ruolo che più gli si addice: quello del terrorista. Pur commentando un tema – l’avvento dei domini generici di primo livello – lontano dal suo campo d’elezione, il profeta di Slow Food attinge a piene mani al proprio repertorio retorico. Attacca l’Icann, contestando che la rete, “strumento democratico per eccellenza”, possa sottostare alla gestione di un ente privato – dimenticando che internet è libera, non democratica, e lo è proprio grazie alla (relativa) mancanza di controllo pubblico. Paventa un “accaparramento di parole” che sono “bene comune” – ignorando che le parole sono strumenti pratici e dipendenti dal contesto, non reliquie intangibili. Chiama in causa gli speculatori, il riciclaggio, la contraffazione, le multinazionali, il cibo commodity – impiegando molte parole d’ordine e pochi argomenti per un j’accuse spuntato.
Nel 2012, l’Icann – l’ente che custodisce, per così dire, l’indirizzario di internet – ha dato seguito all’intento di liberalizzare i domini di primo livello, avviando il processo di assegnazione dei nuovi suffissi. Nei prossimi mesi, accanto ai tradizionali .it o .org, compariranno marchi (come .amazon) e parole comuni che identificano ambiti culturali e settori commerciali: per esempio quei .wine e .vin che hanno destato l’attenzione di Petrini. Secondo alcuni osservatori, l’utilizzo dei domini generici di primo livello potrebbe avere conseguenze anti-concorrenziali: la tesi è discutibile, ma non è questo a preoccupare il gastronomo, dal momento che .wine e .vin saranno amministrati secondo una logica aperta, attraverso la vendita dei domini di secondo livello.
Petrini sembra, invece, temere che questi ultimi possano essere acquisiti da chi non abbia interesse alle corrispondenti denominazioni protette: ma solleva così un problema che può essere risolto con gli strumenti del diritto del commercio internazionale e della proprietà intellettuale, non certo addossandolo all’Icann o agli assegnatari. Del resto, non si capisce quali difficoltà peculiari possano derivare dai domini di primo livello: a meno di sostenere che barolo.it – a proposito: è ancora libero! – sia intimamente meno fuorviante di barolo.vin. Insomma, le doglianze del Nostro hanno ben poco a che vedere con il tema specifico dei domini di primo livello e non dovrebbero minare il percorso verso una rete la cui architettura potrà risultare più accessibile per gli utenti, garantendo alle imprese la possibilità di innovare a beneficio dei consumatori. Senza dimenticare che la capacità di sperimentare con i nomi di dominio è solo uno dei molti fattori competitivi nel commercio elettronico; e certo non il più importante.
Condivido tutto, ma barolo.it non è libero, ho verificato su aruba.it il dominio è gia registrato a Giuseppe Orsini di Casale Monferrato