Neofeudalesimo e Decrescita Infelice
Riceviamo da Silvano Fait (IHC) e volentieri pubblichiamo
La politica del grande interventismo ha dato vita ad un qualcosa di nuovo, innestando una potenziale mutazione genetica del sistema attuale in una direzione tutt’altro che capitalistica (a questo proposito sarebbe opportuno specificare che l’Occidente ha già raggiunto da tempo una sorta di stasi socialdemocratica caratterizzata da bassa crescita ed indebitamenti crescenti – l’argomento però merita una trattazione a sé stante). L’idea che stia prendendo corpo una stagione neofeudale è al centro di diversi dibattiti culturali negli Stati Uniti. A seconda della prospettiva, o dell’oggetto della discussione il termine “neofeudalesimo” assume significati e sfumature diverse. Utilizzerò questo termine declinato in senso, per quanto possibile, “austriaco”: ovvero facendo riferimento ad una riduzione degli spazi della libertà individuale in cui i vincoli di carattere contrattuale cedono il passo a quelli di carattere egemonico (basati ovvero su forza e arbitrio politico).
Finora abbiamo esaminato la tendenza intrinseca del central banking a percorrere il sentiero espansivo solamente sotto il profilo delle scelte di politica monetaria e le recenti decisioni della Fed (di procedere al reinvestimento dei MBS in scadenza) e della BCE (di correre in soccorso all’asta dei titoli di stato irlandesi) sono semplicemente delle piccole ulteriori conferme di quanto già scritto (giusto gli ultimi pezzi sono questo e questo). James Rickards nel Financial Times di venerdì 13 agosto (cfr. “Fannie and Freddie’s bond market upheaval”) ci aiuta a ripercorrere alcuni degli eventi salienti della crisi finanziaria ed interpretarli sotto una prospettiva non semplicemente banco-centrica.
Dal 2008 ad oggi si sono susseguiti una serie di dissesti finanziari in cui le performance dei bond sottostanti non sono dipese dai livelli di solvibilità e liquidità degli emittenti, ma dalle caratteristiche dei creditori detentori dei titoli stessi. Riepiloghiamone alcuni.
Fannie Mae e Freedie Mac: gran parte delle obbligazioni erano nelle mani della Federazione Russa (alle prese tra l’altro con una situazione bellica con la Georgia) e della Repubblica Popolare Cinese (noto sottoscrittore di titoli del debito pubblico statunitense);
AIG: la compagnia ha come controparte i pensionati di mezz’America, senza considerare tutti i derivati stipulati con il disastrato sistema finanziario Usa;
GM e Chrysler: i titoli di debito in possesso degli hedge fund sono stati “spiazzati” a favore dei sindacati “amici” del presidente;
Grecia: il debito pubblico greco era detenuto principalmente da istituzioni finanziare europee ed un suo default avrebbe avuto pesantissime ripercussioni su tutto l’Eurosistema;
In un economia di mercato, in caso di inadempienza, le parti cominciano a trattare, si procede con degli hair cut, con la rimozione degli azionisti e la loro sostituzione con i creditori o, in mancanza di meglio, al fallimento ed alla liquidazione dei residui attivi. Niente di tutto ciò è accaduto nei casi sopra menzionati. Perché? La risposta al trattamento di favore risiede nell’identità e nella forza politica dei soggetti privilegiati e beneficiati. La prima e più ovvia conseguenza di tutto questo consiste in un incentivo all’azzardo morale. Ma il problema non si limita qui.
Quando delle alterazioni “spot” diventano un sistematico strumento di policy i diritti di proprietà entrano in un regime di incertezza: gli attori del mercato percepiscono chiaramente che i loro passi non affondano più su di un terreno dove tutti i giocatori sono soggetti alle stesse regole. Se fattori di natura geopolitica interferiscono così pesantemente i processi di ricerca e scoperta dei prezzi diventano più lenti e faticosi, e la “alertness”, la perspicacia, la prontezza dell’azione imprenditoriale incontrando nuovi ostacoli di carattere istituzionale riduce il proprio spettro di attività. Le strutture legali ed etiche all’interno delle quali si muove l’azione umana non sono né un “fatto dato”, né una variabile esogena. L’irruzione dei Governi introduce imprevisti elementi di forza e arbitrarietà che, quanto più si procrastinano, tanto più tendono ad inibire il processo di evoluzione dell’ordine spontaneo che caratterizza una società libera. Non c’è da stupirsi più di tanto se poi i flussi diretti verso l’investimento azionario si prosciugano, le aziende preferiscono accaparrarsi la liquidità e fusioni ed acquisizioni rimangono al palo. Le parole di Hayek* suonano come un memento:
“Il perseguimento di una politica inflazionista non può significare altro che il tramonto definitivo dell’economia di mercato e la transizione ad un sistema economico e politico totalitario a direzione centralizzata” (voce “Liberalismo” in Enciclopedia del Novecento, Ist. Encicl. Ital., Roma, 1978)
La centralizzazione delle attività contrattuali, intesa come iperattivismo dei Governi e delle Banche Centrali, sono un elemento che domina sempre di più il panorama internazionale. La stessa opinione pubblica si aspetta o viene indotta ad aspettare soluzioni da “vertici bilaterali”, “nuovi accordi internazionali”, “nuove regole condivise per la finanza”, “nuovi vertici per il clima”, e così via. Non ritengo possibile fare dei paragoni storici, ma di certo si può dire che l’autostima individuale intesa come valore propositivo, quantomeno nei Paesi avanzati, stia diventando un po’ demodé, ed il numero di persone che attendono dal “Principe” (che si tratti di cesarismo o statolatria, poco importa ai fini della presente discussione) una risposta ai loro problemi è in progressivo aumento. L’incremento dell’importanza che giorno dopo giorno assumono le linee di credito intergovernative, gli accordi tra Banche Centrali e quelli tra Banche Centrali e Tesoro, formano un quadro all’interno del quale l’attività economica si muove seguendo dinamiche di tipo neofeudale. I campi in cui l’azione umana si ritrova ad essere vincolata da decisioni prese arbitrariamente ex post senza la minima considerazione delle regole in essere ex ante crescono.
Fino a pochi anni fa, saremmo stati inclini a pensare che i seguenti passi di Mises, si attanagliassero bene a descrivere fenomeni di colonialismo economico a scapito del terzo mondo.
“I prestiti intergovernativi non sono un sostituto di efficiente mercato internazionale dei capitali. Se sono erogati a condizioni di mercato, essi presuppongono al pari dei prestiti privati il completo riconoscimento dei diritti di proprietà. Se concessi, come di solito avviene, al pari di sussidi virtuali senza alcuna considerazione [economica] circa il rimborso del capitale e degli interessi, impongono restrizioni sulla sovranità della nazione debitrice.” (Human Action, 1949, Ch. XVIII “Action in the Passing of Time”, pag. 502).
Oggi non possiamo non riconoscere come tale prassi sia diventata ampiamente diffusa anche all’interno dell’Unione Europea.
Ogni giorno scorgiamo crescenti, spesso insormontabili, difficoltà che gli interessi costituiti riescono ad opporre al dinamismo economico. In Occidente le strutture politiche e normative, ma anche gli atteggiamenti morali prevalenti, creano un background complessivo all’interno del quale la spinta propulsiva per antonomasia del capitalismo, ovvero la sua capacità di scavalcare e non riconoscere nessun interesse o diritto acquisito, viene via via meno. Al tempo stesso aumenta la tendenza a rifugiarsi sotto l’ombrello dell’autorità, del potere del lobbismo, delle regolamentazioni finalizzate a tagliare le gambe ai potenziali concorrenti. Il tutto sempre nel nome di valori politicamente corretti (sociali, ambientali, etc.). Forse è presto o improprio parlare di tendenze neofeudali. Ma sicuramente non siamo in ritardo se affermiamo che, salvo cambiamenti di rotta, abbiamo intrapreso la giusta strada per una “decrescita infelice”.
* Cogliamo l’occasione per ringraziare il prof. Biagio Muscatello per la proficua assistenza che ci fornisce nella lettura e nella comprensione del pensiero di Hayek.
“Quando delle alterazioni “spot” diventano un sistematico strumento di policy i diritti di proprietà entrano in un regime di incertezza”
Se creo una università questo lo incido all’entrata