Nel mondo, un’Era d’Oro e 9 ninja. E noi?
Abbiamo eliminato Osama e le commodities da aprile scendono di prezzo, dopo mesi di segno contrario. Negli Usa l’economia cresce meno del 2%, poco per riassorbire i disoccupati. L’Europa continua a interrogarsi sull’eurodebito da ristrutturare e sul ruolo delle banche che scommettono sui CDS e così alzano gli spreads dei titoli pubblici. Nel mondo avanzato, le opinioni pubbliche continuano a rispondere con pessimismo ai sondaggi: non ritengono finita la crisi. Molti continuano a incolpare la globalizzazione. Ecco perché è salutare, che studiosi seri con metodica analisi sgombrino molti dei fumi che aleggiano. Nel mondo, non solo non c’è crisi ma si afferma un’Epoca d’Oro. Durerà decenni. Non ne siamo noi i protagonisti, ma impegnandoci ne saremo beneficiari eccome.
E’ il merito dell’ultima ricerca sui global growth generators nei prossimi decenni di Willem Buiter, il brillante olandese che, dopo anni di insegnamento alla London School, Cambridge Uk e a Yale, e uno dei più noti blogger di economia quando non era di moda, l’anno scorso è inopinatamente diventato capo del servizio studi di Citigroup, dopo un 2009 passato a dire tutto il male possibile delle grandi banche generatrici impunite della crisi. Lo studio di Buiter è elaborato con criteri rigorosi, sulla base di un data set di 58 Paesi che oggi realizzano l’85% del GDP mondiale. In base a sei classi di maggiori elementi da considerare per la crescita – investimenti fissi lordi, risparmio lordo, capitale umano e demografia, qualità delle istituzioni, apertura al commercio, reddito procapite di partenza – Buiter individua 9 Paesi come 3G, grandi generatori di crescita.
Sono, in ordine alfabetico: Bangladesh, Cina, Egitto, Filippine, India, Indonesia, Iraq, Mongolia, Nigeria, Sri Lanka e Vietnam. Tutti avranno di qui al 2040 tassi di crescita media di Pil procapite superiori al 5% annuo (le cifre sono elaborate a PPP, depurandole dal fattore cambio). Per la spallata di lungo periodo di questi 9 Paesi, la crescita mondiale annuale sarà del 4,6% di qui al 2030, e di un 3,8% nel ventennio successivo. Il GDP globale, dai 78 trilioni di dollari del 2010, salirà a 180 nel 2030, a 380 nel 2050.
Tutte le 9 locomotive sono in Asia. Si sommano Russia e Brasile ma con un contributo minore dovuto a minor capacità di formazione di capitale interno, al fatto che hanno già alzato di parecchio in questi anni il reddito procapite, e a una peggiore stima di miglioramento delle proprie istituzioni e mercato. Dei 9 ninja, 4 sono ricchi di materie prime e oggi molto poveri – Nigeria. Indonesia, Mongolia e Iraq – per questo hanno spettacolari possibilità di migliorare. Ma in realtà tutti e 9 sono poveri, oggi, visto che è la Cina ad avere il reddito procapite più elevato. Tutti hanno una demografia futura favorevole, tranne la Cina la cui popolazione in età di lavoro dopo il picco attuale comincia a scendere dal 2030: la Cina sarà prima vecchia che ricca. Se il suo Gdp supererà quello USA nel 2020 (col criterio PPP depurato del tasso di cambio, a tassi di mercato serviranno 8 o 9 anni in più ma il dato è fuorviante ai fini della capacità d’acquisto di beni analoghi). Anche dopo 40 anni di crescita molto sostenuta il prodotto procapite cinese sarà nel 2050 a malapena il 50% di quello medio americano. C’è una categoria aggiuntiva di “sorprese possibili”, che potrebbero venire da Paesi che hanno enormi possibilità di crescita partendo da livelli bassissimi di reddito, se solo le loro politiche avessero discontinuità forti e aperture al mercato: dalla Corea del Nord a Cuba, dall’Iran a Myanmar (ma anche Venezuela e Argentina).
Naturalmente, le previsioni sono corredate di una serie lunga di caveat: a cominciare dall’intensità energetica che non può essere quella del mondo avanzato attuale, serve un’economia più verde; continuando coi prezzi delle derrate agricole; e coi rischi che si verifichino crisi di sostenibilità finanziaria estera e sbilanci eccessivi nelle partire correnti, come avvenne nel 97-2000 per alcuni Paesi asiatici e Russia. Ma la tendenza di fondo è chiara. Una bella serie di Paesi oggi poveri e giovani, aperti al commercio e agli invesvtimenti mondiali, con una ragionevole stabilità e almeno un approssimativo libero mercato, a forte boom di risparmio e d’investimenti, con un capitale umano in forte miglioramento e buona capacità di generare infrastrutture, se non sono toccati dal cigno nero garantiscono al mondo una crescita più lunga e e incredibilmente maggiore di quella dei Paesi avanzati tra il 1953 e il 1975. Scusate se è poco. Cifre che danno torto ai nemici della globalizzazione. Cifre che danno ragion a chi pensa che o noi europei e italiani siamo capaci di correre, oppure è chiaro chi ci farà assaggiare la polvere.
Prendo spunto dall’articolo di Giannino, nei cui confronti nutro una stima che sfiora livelli di fanatismo, per esprimere qualche considerazione. Il minimo comune denominatore dei paesi che avranno forte sviluppo nei prossimi anni è una massa poderosa di giovani, in età lavorativa e con una istruzione di base non molto elevata. Checché ne dicano i soloni del liberalismo, che predicano la terziarizzazione coatta anche in Italia come formula per uscire dalla crisi e garantire una crescita sostenuta, il benessere e la crescita – anche del terziario, cfr. l’articolo di Fortis sul Sole 24 Ore – trovano radici durature laddove si sviluppa una sana industria manifatturiera.
noi occidentali abbiamo una crisi generazionale da debito pubblico&privato…
gli studiosi dicono che le stagnazioni/recessioni di lungo periodo durano dai 17 ai 22 anni… oggi 2011 noi siamo al 12 anno.. pare.. vorrebbe dire… altri 5 o 10 anni di vacche magre x direrire l’indigestione da debiti e l’invecchiamento della popolazione che x ovvie ragioni (in parte giuste in parte no) vive di rendita (welfare insostenibile)…
la crescita “globale” continuerà.. ma sarà altrove.. fuori dell’occidente..
la globalizzazione è il passaggio di testimone di un trend pluri-secolare..
cmq non si può crescere all’infinito… migliorare sì.. crescere sempre no..
non è nè possibile nè utile..
ma sopra questo quadro (x me) abbastanza chiaro c’è un il Grande Dubbio…
l’energia razionata ed i consumi insostenibili su scala mondiale..
o la TECNICA trova un’alternativa sostenibile (il fotovoltaico ci è costato 90 miliardi di euro e produce poco… il nucleare è pericolosissimo non solo x le centrali ma pure x le scorie radioattive x 30.000 anni senza contare che pure l’uranio non è poi così infinito… gli idrocarburi con domanda crescente finiranno nel giro di qualche decennio)…
oppure il futuro temo sarà guerra armata x l’energia (& commodity non rinnovabili)…
Leggo (e ascolto) con piacere Giannino per il suo anticonformismo (che si estende, se posso scherzare, anche all’aspetto, avendo fatto crescere i peli nell’emisfero sbagliato) ma in questo caso non sono d’accordo con la sua visione neomarxista, come se gli elementi demografici e produttivi dovessero determinare meccanicamente il futuro di una nazione, sottovalutando gli elementi sovrastrutturali. Un popolo ignorante, diviso da odi religiosi e tribali, senza una dimensione civile consistente come la Nigeria, nazione posticcia di terribili periferie senza storia da dove, potendo, intere masse umane scapperebbero non può costituire la futura locomotiva del mondo, se non in epoche future non oggi ipotizzabili. La Germania era distrutta (e anche l’Italia e il Giappone) dopo l’ultima guerra ma avevano risorse umane e di civiltà imparagonabili alla maggioranza delle nazioni citate dall’articolo. E’ il fattore culturale e umano a fare la differenza, nonostante quello che pensano i materialisti storici.
Grazie per la segnalazione!
Caro, carissimo Signor Chiari, condivido ciò che lei dice. Non che pensi nemmeno lontanamente che il ns. amatissimo Giannino sia un neomarxista, ma il rischio che si corre ad affidarsi, a volte meccanicisticamente, ad analisi troppo economocentriche è proprio questo. Lei ha fatto bene a nominare la Nigeria: forse l’inferno sulla faccia della terra. Un paese che è lo stesso inferno da sempre, da quando gli inglesi se ne sono andati. Che dire poi di paesi come India o Filippine? Hanno avuto tutto il tempo per migliorare i loro standard di vita ma sembra sempre che il meglio di se’, i loro abitanti, riescano a darlo solo quando escono da casa loro ed emigrano in un paese occidentale. Che dire poi dell’Indonesia, 200 milioni di abitanti da sempre, anche loro, piu’ o meno nelle stesse condizioni. Un tempo la loro Pertamina era molto piu’ potente ed avanzata di Petronas; guardiamo adesso.
Ma guardiamoci anche noi, in casa nostra, in Europa. I nostri sistemi scolastici sono sempre piu’ simili a quelli di questi paesi: la scuola “delle competenze”, tanto per capirci. Quando, dopo la guerra, hanno dovuto costruirsi le scuole, si sono affidati tutti ai sistemi piu’ “avanzati”, quelli dove, di recente, abbiamo attinto anche noi, credendo che il nostro fosse obsoleto. Il risultato mostra chiaramente che, a tutt’oggi, sono totalmente incapaci di costruirsi una classe dirigente. Che è un po’ quel che sta accadendo a noi se è vero, come è vero, che sempre piu’ spesso si teorizza della nostra presunta incapacità a “gestire progetti complessi”. Si’, pensare che il Bangladesh possa diventare il motore di una qualsiasi economia che non sia quella (un po’ truffaldina, sembra) di Yunus, mi pare francamente scarsamente credibile.
Anni fa, durante un corso di studi internazionali, mi spiegarono la teoria del ritardo nello sviluppo economico, secondo la quale i paesi arretrati e con Pil minimi rispetto a quelli più avanzati sono “naturalmente” predisposti ad avere crescite proporzionali superiori, rispetto ai paesi che già hanno raggiunto il top (tecnicamente si chiama “frontiera della produzione”) e che hanno, per questo motivo, margini di crescita limitati. Detto questo, quindi, non mi impressionano i numeri sulla crescita del Pil dei Bric o di altri emergenti nel pianeta, quando poi so che il potere di acquisto pro-capite dei loro abitanti rimane di gran lunga inferiore ai nostri (recentemente ho sentito che il cinese più ricco dispone di un potere d’acquisto pari a un terzo di un italiano del sud…). Se poi si aggiungono le risorse mondiali sempre più scarse e il fatto che l’Occidente conserva, comunque, una leadership tecnologica e di know-how insuperabile, non capisco proprio di cosa dovrei preoccuparmi. Pertanto, l’Italia e l’Europa, a mio avviso, dovrebbero puntare ad avere economie solide, che permettano lavoro diffuso, redditi adeguati capaci di sostenere la domanda interna e di alimentare un buon livello di risparmio nazionale. In questo modo, credo che la macchina economica capitalistica e di libero mercato possa funzionare…
Beh, su Giannino era evidente che scherzavo. Però ho ascoltato con sorprese nell’ottima rubrica su Cina e India di Radio radicale che il passaggio per la Cina da una economia degli investimenti a una dei consumi (he mi immaginavo facile e naturale) è in realtà assai perigliosa e complicata. Ci sarebbe addirittura il rischio di un default da eccesso di investimenti e di sviluppo. Insomma, con questi economisti non si sta mai tranquilli. Ci consola il detto che la scienza economica ha avuto un risultato certo: ha rivalutato l’astrologia.
Non dovrebbe causare stupore il fatto che le prospettive migliori di crescita economica siano concentrate in paesi con una struttura sociale arretrata. Tralasciando le ovvie conseguenze delle teorie macroeconomiche della crescita, possiamo semplicemente ricordare come in termini di GDP e produzione industriale uno dei maggiori periodi di prosperità lo ritroviamo sotto il pugno dei piani quinquennali di Stalin, ovvero sotto una dittatura. Inoltre non mi soffermerei a stime -sicuramente fallaci- di studiosi riguardante la presunta durata delle stagnazioni/recessioni, sono inutili e prive di senso nel nostro contesto. Piuttosto che considerare l’economia una semplice ma oscura macchina ciclica preferisco avere la presunzione di incolpare l’insolente pigrizia ed ipocrisia tipiche nelle società occidentali, due faccie della stessa medaglia al valore guadagnata col raggiungimento della sicurezza economica. Per fare un qualche esempio posso citare un’enorme massa di neolaureati in corsi di laurea improbabili che si lamentano di non trovare un lavoro o con l’aspettativa che usciti da “General Management” possano trovare un posto da General Manager, o la CGIL che assume i suoi dipendenti con contratti trimestrali per poi cambiarli ad ogni giro. Questo giusto per dare il sapore di quella che è la nostra posizione competitiva all’inizio di questo secolo, non ho certo intenzione di dilungarmi in lamentele già ampiamente dibattute. Piuttosto son convinto che le dinamiche economico-sociali ci porteranno a tirarci su le maniche fino alle ascelle per fronteggiare una necessaria ristrutturazione sociale. Per quanto riguarda la visione di Giannino non mi pare tanto che sia neomarxista, piuttosto mi chiedo quanto il lavoro di Buiter tenga in considerazione la stretta causalità che lega lo sviluppo economico con un cambiamento nelle strutture sociali dei paesi in questione, e quanto queste ultime incidano a loro volta sulla crescita economica. E’certamente vero che [cit.A.Chiari] la Nigeria ha un popolo ignorante, diviso da odi religiosi e tribali (appellativi che comunque calzerebbero abbastanza bene dalle mie parti..), ma l’esempio della Germania, Italia e Giappone mi sembra il migliore per mostrare esattamente il contrario di ciò che dice Chiari: cos’eravamo nel periodo esattamente precedente l’ultima guerra? Rispettivamente nazisti, fascisti e kamikaze, non certamente questo prosperare di attitudini sociali propositive. L’unica cosa che ci differenziava era il livello d’istruzione e tecnologico, il quale tuttavia ci ha permesso di spararci meglio e di avere gli aerei sul quale farci esplodere meglio. Eppure è stato proprio il capitale tecnologico e umano, ciò che arriverà in fretta anche in Nigeria se il mercato la troverà appetibile, a risollevarci. Magari non sarà la locomotiva del mondo, ma se parliamo di 2050 dovremmo aspettarci di tutto piuttosto che crogiolarci nella sicurezza di un occidente economicamente dominante da secoli.
E’ il fattore umano a fare la differenza, e proprio questo fattore farà sviluppare sempre di più i 9 ninja, come descritti nell’articolo, mentre per l’europa e gli USA la stagnazione continuerà.
Finchà avranno manodopera a costo bassissimo chi fermerà le aziende dall’investire in questi paesi? Si fermeranno solo quando i costi, del lavoro, ambientali ecc. saranno allo stesso livello tra mondo oggi sviluppato e mondo in via di sviluppo.
A mio avviso per i prossimi 30-40 anni il trend designato dall’articolo è il più plausibile.
Mi fa molto piacere leggere il suo pensiero caro Dott. Giannino. Finalmente da qualche parte si legge qualcosa interessante e positiva. Ovviamente sono daccordo con lei. L’economia mondiale migliorerà ci sono tanti motivi per cui essa avvenga: 1) Eterogeneità in termini di dotazioni fattoriali, tecnologie e preferenze diverse. 2) La possibilita di conseguire economie di scala nella produzione. Ovviamente come lei cita nello scritto i 9 ninga a lungo andare visto che hanno un costo-opportunità minore dai altri paesi possono specializzarsi nella produzione di alcuni beni. Allora il commercio internazionale sarà molto vantaggioso per tutti i paesi insomma il vantaggio comparato garantito. Il commercio influenza molto il benessere degli stati. ( scusate per l’italiano)
Federico scazza. Cosa c’entra se Italia, Germania e Giappone hanno avuto delle dittature di 10-20 anni nella loro storia secolare di civiltà? Forse che sotto il fascismo non c’erano imprese, università, ricerca? Del resto la democrazia è un esito recente di vicende storiche secolari. Io non ho menzionato questo aspetto contingente. Ho solo detto che in Germania e in Italia c’era un retroterra culturale e imprenditoriale che ha permesso il grande sviluppo (in democrazia, se vogliamo mettere i puntini) di queste nazioni dopo i disastri della guarra. Anche sulla Cina ho fiducia (facile previsione) in uno svilippo economico, che non sempre e non necessariamente si sposa alla democrazia. Però deve sposarsi a una civiltà, a una storia. In Nigeria (nell’Africa in generale, in Afganistan, nei paesi arabi se non ci fosse il petrolio) c’è un deserto di cultura e di società civile. Sono le nostre sterminate periferie, miserabili agglomerati governati da ladri panzoni con le mogli che strascinano le ciabatte in via Condotti con i soldi rapinati ai sudditi che cercano di scappare da questi inferni. Come si può ipotizzare uno sviluppo di queste miserande cleptocrazie in base ad aridi parametri economicistici?
@Andrea Chiari
Il mio commento riferito al tuo post era misurato su una dimensione di “fattore culturale e umano” [cit. da te], d’altronde se non fossi capace di riconoscere una differenza tra Italia e Nigeria in termini di capitale umano, tecnologico etc. probabilmente non saprei neanche scrivere qui. E’banale che stiam parlando di una zona nella quale se porti una ciotola di riso te la vendono per comprarci pallottole, ma è su questo frangente che ti volevo far riflettere: 70 anni fa non avevamo inclinazioni molto differenti. Che poi tu mi venga a dire che in Nigeria non c’è capitale, non c’è una cultura…mi sembra ovvio, son cose che vanno di pari passo e comunque altrimenti non staremmo parlando di paesi poveri. Una volta che il mercato decide che da qui a 50 anni la Nigeria sarà molto più ricca, arriveranno capitali e -speriamo- di conseguenza arriverà la pseudo-democrazia e cultura che ora non hanno.
Citando te stesso: “Un popolo ignorante, diviso da odi religiosi e tribali, senza una dimensione civile consistente come la Nigeria, nazione posticcia di terribili periferie senza storia da dove, potendo, intere masse umane scapperebbero”. L’italia era un popolo ignorante, tralasciamo la questione religiosa in italia che potrebbe divenire faziosa, la dimensione civile manca tutt’ora come tutt’ora è una nazione posticcia (vedi nord-sud, indipendentisti etc) -ci salviamo per la storia- ma l’emigrazione ha fatto parte della nostra evoluzione e per quanto riguarda le giovani teste è anche piuttosto attuale.
Spero tu abbia capito ora di cosa ho scritto nel mio post precedente, se ho frainteso le tue parole chiedo venia.
Va bene, vorrei sbagliarmi sulla Nigeria ma temo che per loro valga la
terribile legge dell’Africa, più ci sono risorse nel sottosuolo, più ci sono
teoriche opportunità di sviluppo, più quella gente campa male. Non c’è un
sostrato capace di attivare una società civile e di resistere alle pressioni
degli speculatori e dei neocolonialisti.
Io credo che la confusione regni sovrana in molti discorsi e pensieri riguardanti il futuro dell’economia internazionale. E faccio fatica a capire se si tratta di errori dovuti a una scorretta interpretazione di determinati concetti o se, invece, ci sia della malizia nel fare l’errore…
I Bric (ad esclusione, forse, solo del Brasile) sono alcuni dei paesi, popoli e civiltà più antichi del mondo. La Cina esisteva già 5000 anni fa e produceva, già allora, beni che venivano scambiati con l’Occidente (romano, germanico, europeo,…) ed è sempre stato un caposaldo, il punto di riferimento, della civiltà asiatica orientale. Non sono paesi “new comers” come, ad esempio, la tanto citata Nigeria. Alla fine del XIX secolo, Cina e India possedeva un potere d’acquisto pro-capite di gran lunga superiore alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti: non a caso, furono bombardati e costretti ad aprire i mercati interni alle merci e ai mercanti occidentali. Una cosa simile fu tentato anche con il Giappone, ma finì col blitz di Pearl Harbor… La Russia, invece, prese la tangente verso il sistema sovietico durato fino a metà degli anni ’70 con efficenza e capacità competitiva riconosciuta, rispetto al modello anglosassone di libero mercato. Altrimenti non si capisce perchè gli Usa lo avviano considerato un rivale così pericoloso.
Quindi, stiamo parlando di grandi paesi, civiltà storiche che, nei secoli, hanno saputo costruire quei famosi “tessuti” sociali ed economici che hanno permesso di sopravvivere e mantenere la leadership regionale e internazionale. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, anche a causa degli ingenti danni di guerra e dell’incredibile balzo in avanti dell’industria tecnologica americana, si è assistito al netto divario fra le economie del blocco occidentale (sostenute dal Piano Marshall) e quelle orientali (assoggettate e prosciugate dal regime comunista russo). Quindi, penso proprio che la base culturale, le regole comuni, la capacità di preservare le strutture sociali ed economiche di base, l’abilità politica necessaria a reperire le risorse primarie essenziali, etc. siano molto più importanti dei “numeri” della demografia e della contabilità nazionale.