Morals and markets al Seminario Mises
Ieri al Seminario Mises, Benjamin Powell e Ed Stringham hanno presentato due paper molto interessanti, rispettivamente intitolati “The Role of Monetary Profits and Cultural Values in Promoting Productive Entrepreneurship” e “Entrepreneurship as Social Value“. Entrambi si inseriscono in un filone di ricerca di crescente importanza, che utilizza diversi strumenti analitici (in molti casi, esperimenti di laboratorio) per ampliare la nostra comprensione delle motivazioni che spingono gli attori economici ad agire.
Jean-Pierre Centi ha sottolineato che questi lavori ci riportano ad una qualche versione del “problema di Adam Smith”: la tensione fra la Teoria dei sentimenti morali e la Ricchezza delle nazioni. Scambi personali e scambi impersonali, piccolo gruppo e grande societa’: in molti hanno letto l’Adam Smith di TMS, che tanta attenzione dedica allo “spettatore imparziale” (una sorta di SuperIo) che censura i nostri comportamenti sulla base di giudizi in realta’ non molto diversi da quelli della (piccola) societa’ in cui tutti viviamo, in contrasto con quello che celebra l’ordine spontaneo dei mercati come un grande “meccanismo” nel quale la “mano invisibile” guida l’armonizzazione degli interessi individuali (non dalla benevolenza del macellaio…). A parte il fatto che su “Das Adam Smith problem” sono state scritte intere biblioteche, e a parte il fatto che in realta’ anche nella Ricchezza delle nazioni si legge la propensione allo scambio come insita nella stessa nostra natura, non e’ curioso che queste ricerche partano tutte, in realta’, da una cosa che potremmo chiamare il “problema dell’imprenditore”. Questi studiosi ci dicono, in buona sostanza, che non basta il motivo del profitto a spiegare la “vocazione imprenditoriale”. Per Schumpeter, gli imprenditori sono sostanzialmente “irrazionali”. E Rothbard, ricorda Stringham, sostiene che l’obiettivo di ogni individuo e’ “not to maximize just monetary income, but to maximize psychic income which is monetary income plus subjective benefits of different endeavors”.
Se le motivazioni degli imprenditori sono le piu’ varie, e’ possibile avere arrangiamenti sociali che “stimolino” l’imprenditorialita’?
Il lavoro di Stringham sottolinea l’importanza di “internal constraints” (lo spettatore imparziale di Smith) per mantenere la cooperazione sociale.
Il paper di Powell, piu’ empirico, e’ l’inizio di una ricerca volta a indagare come l’apprezzamento sociale della figura imprenditoriale possa influenzare al margine la “fertilita’ imprenditoriale” di una societa’.
ci sono molte motivazioni dietro il fare l’imprenditore, la maggior parte sicuramente irrazionali… soldi, potere, status, autorealizzazione nel costruire qualcosa che lo faccia sentire capace, e nei casi migiori il produrre valore anche x gli stakeholders…
ognuno ha la sua scala di bisogni/priorità.. alcuni evoluzionisti dicono che la competizione sessuale modernizzata si basa sul successo sociale xrchè la donna ricerca il maschio forte x mantenere sè stessa e la prole così si sviluppa la specie..
in sintesi ognuno dice la sua.. may be sarà un mix..
in un paese a bassa mobilità come l’Italia molti sono imprenditori non x capacità ma x eredità (proverbio popolare: la prima generazione crea, la secondo mantiene o sviluppa, la terza distrugge)…
nei luoghi anglosassoni i managers mediamente più capaci degli ereditieri si sganciano dalla proprietà diffusa ed inconsapevole. così si hanno troppi abusi da mancato controllo di capi auto-referenziali che massimizzano il breve/medio periodo a danno della durabilità (vedi polemiche sui superbonus a mio parere sottovalutate da questo sito.. non sono LA causa del crack.. ma neppure un fattore così secondario come si dice)… concludo: ricette magiche x me nessuno ne ha..