9
Giu
2009

Monti per e diviso Tre

Sul Sole 24 Ore di oggi, due anticipazioni dal prossimo Aspenia: Giulio Tremonti e Mario Monti, un tempo avversari ora sostanzialmente sulle stesse latitudini. Quale dei due sia finito per convergere sulle posizioni dell’altro, è ovvio e cosa non imprevedibile per chi li guardi con attenzione, anche se di lontano. Già Commissario a Bruxelles, per il Presidente della Bocconi l’europeismo è un valore irrinunciabile. Ciò a cui invece si può tranquillamente rinunciare è l’Europa. L’Europa intesa non come macchina burocratica, ma come esperienza storica fondata sul pluralismo, sul gusto della libertà nella sperimentazione istituzionale, sui principi del mercato. Fra l’Europa di Adam Smith e l’Europa di Colbert, Monti ha una preferenza costante: gli sta bene l’Europa che ha più probabilità di vincere, in un particolare momento nel tempo. “Mercato quando possibile, Stato quando necessario” è slogan tre-montiano montianamente adattabile in pluralismo quando possibile, armonizzazione quando necessario, libertà quando possibile, schiavitù quando necessario, eccetera, in un’orgia di atteggiamenti pseudo-pragmatici che trovano in quella che ci viene ancora dipinta come l’illusione generosa della generazione post-bellica: l’europeismo, un’utile foglia di fico. Non si riesce in altro modo a commentare affermazioni come la seguente:

L’Unione è stata costruita come soggetto d’integrazione fondato su uno zoccolo duro, che è appunto l’integrazione di mercato. Oggi, però, l’economia di mercato versa in una grave crisi, una crisi di sistema e globale. Allora ci si deve porre una domanda: potrà andare avanti la costruzione europea, visto che è fondata su un sistema in crisi?

Detto altrimenti, franza o spagna purché se magna, mercato o Stato purché Europeo. La quadratura del cerchio sarebbe quella “economia sociale di mercato” che avrà tanti difetti, ma che – difendiamo i “cugini che sbagliano” Roepke etc – non era mica la schifezza di cui parla Monti. Per il quale “economia sociale di mercato” è semplicemente sinonimo di social-democrazia. Una social-democrazia per giunta rafforzata da un controllo “fiscale” internazionale, che sgomini i paradisi fiscali. Perché? L’ex Commissario alla concorrenza dimostra una volta di più quello che da queste parti si è sempre sospettato. Cioè di credere nelle virtù della concorrenza talmente poco, da voler sottrarre alla concorrenza la produzione di beni pubblici in capo agli Stati, e il momento in cui per quei “beni pubblici” si è costretti volenti o nolenti a pagare: il prelievo fiscale.

Avere affrontato il tema dei paradisi fiscali in sede di G-20 è stata certamente un’opera meritoria e importante. Ma iniziative utili per combattere l’evasione fiscale sono insufficienti per contrstare l’elusione legale. La realtà, infatti, è che ciascuno dei paesi dell’Unione Europea, o del G-20, funziona per certi versi da paradiso fiscale per i residenti degli altri.

Poche righe più in là Monti chiarisce da dove gli venga il sogno sotteso a frasi terrificanti come queste, che auspicano di fatto la fine della concorrenza istituzionale in Europa, che poi significherebbe l’eclissi della parte più positiva del processo di unificazione, quella legata alle libertà di movimento: che senso ha potersi muovere, se ovunque vado il panorama è sempre quello? Il sogno di questa orwelliana piallatura delle differenze gli viene dal fatto che negli anni scorsi le “economie sociali di mercato” hanno dovuto – purtroppo! – “avvicinarsi alle economie anglosassoni” (dove Monti è bizzarramente convinto che lo Stato sociale non esista, ignorando che, ahinoi, si potrebbe semmai sostenere che proprio nelle economie anglosassoni è stato inventato…), più parche nei prelievi e generalmente per questo capaci di attrarre capitali e fare crescere più rigogliose le proprie imprese. Insomma, la concorrenza istituzionale fa male perché ci obbligherebbe ad abbandonare il nostro “modello sociale”. Tesi che avete già letta nel libro del Monti moltiplicato per tre. Il quale se non altro è intellettualmente abbastanza sincero e schietto da non voler contrabbandare la rivolta contro la concorrenza fra ordinamenti (perché che la concorrenza fra ordinamenti si combatta coi dazi o con un coordinamento fiscale o normativo internazionale, è questione di mezzi ma non di fini, che sono identici) come una “difesa” del mercato unico europeo. Difesa da che? Dai principi sui quali esso stesso è stato fondato?

Consiglio vivamente la lettura di tutto l’articolo di Monti. A suo modo, è esemplare. Raramente infatti si hanno esiti più deludenti di quando un intellettuale scalpita per fare il politico, o di quando un politico gioca a fare l’intellettuale. Monti unisce le inadeguatezze dell’intellettuale che ambisce a fare politica, cosa che originariamente era, a quelle del politico che scalpita per darsi un tono da intellettuale, cosa che ora è.  Coerentemente con un profilo molto diffuso nelle nostri classi dirigenti. Il centauro con le gambe d’uomo e la testa del cavallo.

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4 Responses

  1. Uffa…e io che leggevo il Monti come fosse un “profeta”…Me lo avete massacrato. Cosa volete che vi dica: da buon liberale, (almeno credo), qualche dubbio in più non guasta.

  2. Andrea

    Mettiamolo alla prova, peggio di berlusconi sul lato del liberalismo non può certamente fare e comunque dovrà applicare i dettami della lettera UE che sono quanto di più vicino ad un programma liberale mai applicato in europa. La rivoluzione liberale potrebbe avere compimento con un governo tecnico sotto minaccia dell’europa.

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