Modesta proposta liberale: ecco i 6 miliardi chiesti a Enti Locali, senza tagli di servizi né aumenti di tasse
Chi ha ragione e chi ha torto nella prima grande battaglia accesasi sulla legge di stabilità, quella tra le regioni e il premier Renzi? Come sempre, dipende da qual è il punto di vista dal quale si guarda la questione. C’è un piano formale, quello delle regole, in Italia ispirate al più puro stile bizantino. C’è poi un piano sostanziale, quello dei numeri. Poiché la legge di stabilità è appena ai suoi inizi, chiarire alcuni punti può servire a trovare una soluzione migliore, fatti alla mano.
Sul piano formale, la protesta delle Regioni ha delle frecce al suo arco. Fermiamoci a due esempi. Sulla sanità, è vero per esempio che tre anni fa dopo lunghe trattative fu alla fine formulato un accordo di compromesso su come considerare i cosiddetti costi standard, con il decreto legislativo 68 del 2011. Mentre tutti continuano a fare l’esempio classico della siringa che costa tre e fino a quattro volte di più in questa regione piuttosto che in un’altra, l’accordo avvenne in modo da evitare due criteri, che le regioni avversarono. Primo, i costi standard non dovevano essere individuati con criteri microeconomici, in cu ricade l’esempio della siringa, ma macroeconomici, cioè per valutazione di spesa in grandi aggregati rispetto ai livelli di assistenza e servizi da garantire. Secondo, bisognava individuare un campione di riferimento che non fosse squilibrato a favore delle regioni “troppo” efficienti – Lombardia, veneto, Emilia-Romagna, Toscana – ma equilibrato con diverse Regioni “medie”. Poiché nel frattempo scoppiava il caos del rientro coatto per la sanità in 8 regioni di cui 5 commissariate, prevalse la prudenza. Il paradosso è che fu la Lega al governo, ad accontentarsi di questo “finto” costo standard, che fa sopravvivere in buona parte la vecchia logica dei costi storici, cioè del premio a chi spendeva più e peggio. Ma la regola formale è quella, ed è in base a quel criterio che avviene il riparto tra Regioni della parte variabile del fondo sanitario nazionale.
Secondo esempio, questa volta proprio sul fondo sanitario nazionale. Dai governi Monti e Letta gli interventi finanziari sulla sanità avvennero con l’impegno a rinviare il riequilibrio al successivo patto per la salute, contrattato con le Regioni. Il governo Renzi si è trovato ad officiarne la parte conclusiva, e a luglio l’accordo è stato concluso: riprendendo a far crescere la spesa sanitaria, dai 109 miliardi pattuiti per il fondo nel 2014 fino a oltre 115 miliardi nel 2016. Con in più un impegno esplicito, in caso di risparmi virtuosi in questi tre anni, a tenerli rigorosamente reinvestiti entro il perimetro della sanità e senza cederli alla diminuzione del deficit pubblico. Secondo me è stato un errore, firmare quell’accordo, ma tant’è.
Certo, il governo Renzi non ha contrattato lui le regole del “finto” costo standard, e ha ereditato l’impegno a rialzare la spesa sanitaria, che pure però ha firmato, con la ministra Lorenzin. Ecco perché formalmente le Regioni non hanno torto, nel protestare che il governo non può di punto in bianco chiedere 4 miliardi a loro e altri 2 a Comuni e province. Perché le Regioni – e in primis quelle sottoposte a rientro coatto – a questo punto lo schema di rientro graduale del deficit per l’anno prossimo l’hanno già impostato. E a questo punto non toccherebbero certo organici e spese fisse, ma taglierebbero i servizi sanitari e quelli di trasporto pubblico locale (la regioni finanziano a catena province e comuni nel TPL). E, soprattutto, alzerebbero le tasse locali, visto che oltretutto già devono affrontare il venir meno della quota parte dovuta all’abbattimento dell’IRAP previsto nella legge di stabilità per la componente occupati nelle imprese.
Sin qui la forma. Ma la sostanza, cioè i numeri, che cosa ci dicono? Cose molto diverse da quelle scritte negli accordi formali. Ci dicono ad esempio che, di 581 partecipate locali di primo livello detenute dalle Regioni nel 2012, ne risultavano in perdita 217, per 234,7 milioni di euro. Ci dicono che delle 4944 partecipate locali di primo livello dai Comuni, ben 1325 erano in perdita per complessivi 1,55 miliardi di euro. Che delle 1965 partecipate locali di primo livello nelle mani delle province, 636 erano in perdita per 349 milioni. Sono tutte cifre ricavate dai diversi rapporti elaborati dall’ormai ex commissario alla spending review Cottarelli: e in quei rapporti sono indicate fin da aprile decine di misure concretissime per passare da circa 10 mila partecipate locali di primo livello a 1000 in 3 anni – parole pronunciate da Renzi il 18 aprile scorso – con incentivi e sanzioni a Regioni e Comuni per ottenere a seconda dei casi chiusure, liquidazioni, dismissioni e accorpamenti. Tre miliardi di euro l’anno per tre anni, era la stima dei risparmi di spesa. Metà della cifra chiesta agli Enti Locali per il 2015, come si vede, si può benissimo ricavare da norme già pronte. Se lo si vuole; senza toccare i servizi offerti, e senza aggravi di tasse locali.
E l’altra metà? C’è solo l’imbarazzo della scelta. Sempre evitando i tagli lineari. Guardiamo all’universo dei 132 miliardi di euro di spesa pubblica in acquisti e forniture da parte della pubblica amministrazione. Questa volta, i dati 2012 sono quelli elaborati dalla Consip, sempre per l’inascoltato Cottarelli. Dei 132 miliardi complessivi, ben 39 sono operati dagli Enti Locali, e altrettanti ricadono nel recinto della sanità. Come si vede, quasi i due terzi della spesa in forniture è “locale”. Ma dei 39 miliardi in capo alla sanità, e cioè di pertinenza regionale come controllo e coordinamento delle singole aziende sanitarie e ospedaliere, solo 15 miliardi sono operati con procedure digitali trasparenti e centralizzate. E dei 39 miliardi di acquisti in capo a regioni, comuni e province, solo 13 miliardi sono presidiati da procedure digitali trasparenti. In totale, dunque, ci sono la bellezza di 50 miliardi di euro annui di acquisti pubblici da recuperare a una gestione trasparente.
L’esperienza storica accumulata dal modello Consip ha portato a risparmi sull’unghia pari al 12% della spesa praticata fuori da procedure standard e ottimizzate. Il 12% di 50 miliardi sono 6 miliardi. Diciamo per realismo che recuperiamo a procedure unificate di acquisto i 50 miliardi in due anni e non in uno solo? Benissimo, ecco nel 2015 un risparmio di 3 miliardi. Sommati ai 3 miliardi ricavabili dalle partecipate locali, siamo esattamente ai 6 miliardi che chiede il governo. Con la differenza che la Regioni non potrebbero parlare di regole violate, né di servizi da tagliare, né di tasse da alzare. E noi così speriamo che finisca, visto che governo e regioni si devono incontrare. Attacchino in profondità e d’accordo tra loro il perimetro delle inefficienze, perché una cosa è sicura. Quando Renzi dice che di miliardi buttati ce ne sono tanti e troppi, ha ragione. E sono i soldi nostri, di noi che imprechiamo sapendo benissimo che costitutivamente un burocrate non può essere un innovatore: per definizione.
e infatti, in questa ridda di cifre, cosa vuoi sperare nelle riforme di uno statalista come Renzi?…
http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2014/10/04/renzi-le-riforme-e-i-consigli-per-gli-acquisti-del-prof-francesco-forte/
Se voleva risparmiare davvero, una buona mossa era dare il buono-scuola alle famiglie… Fondazione Agnelli, a suo tempo, certificò che la scuola di Stato costa un 25% in più della scuola paritaria. Per non parlare della libertà effettiva di educazione, legata al buono-scuola. Ma ci sarebbe stata la rivoluzione degli oligarchi statalisti, che avrebbero mandato gli antagonisti nelle strade, con le bombe molotov. A parte che Renzi, da buon cattocomunista, il buono-scuola lo vede come il fumo negli occhi… senno’ poi, gli rimane più difficile fare il “gender”.
Ma, infine, di che stiam parlando?… la miseria di 6 miliardi di euro. Roba da poveri, quando si pensa ai 2300 miliardi di debito pubblico. Sui quali corre una rata di interessi annua di minimo 100 (dicesi CENTO) miliardi di euro. Come pensano di fare, a pagarla?
E Renzi vuol fare ancora deficit. Ma non lo vedete che siamo già falliti?!?… Chi può, prepari orto e galline, signori.
Se ne è anche in parte discusso in tv e, comunque, a ministri di alta reputazione tecnica, consulenti economici con pretese competenze, vertici della pubblica amministrazione e della burocrazia ministeriale, non dovrebbe essere rivelazione di trascendentali intuizioni. Alla pari, del resto, con ogni altra ragionevole e praticabile ipotesi di recupero di sprechi inconsulti di denaro a livello centrale e locale. Se non per scienza e conoscenza diretta, almeno per presa d’atto del coordinato lavoro di analisi e articolate proposte svolto da Cottarelli. E, pare assurdo doverlo ricordare, finalizzato esclusivamente a prospettare soluzioni in materia.
Ebbene. Premesso che la cosiddetta legge di stabilità è già stata partorita dal Governo e la previsione di consistenti modifiche (migliorative!) è verosimilmente compromessa. E supposto realisticamente il marginale livello di disponibilità ad accedere a indicazioni correttive da parte di chi ha ritenuto di privilegiare in assoluto le proprie scelte soggettive. Escluso, altresì, che in Parlamento possano coagularsi valutazioni condivise e capacità di sottrarre il (desueto) potere legislativo alla acquiescente sudditanza al Governo – invelenita dalla brutale minaccia di dispotiche mozioni di fiducia finalizzate a sterilizzare tentazioni emendative di rilievo – ed a contingenti convenienze elettoralistiche, ne consegue una semplice conclusione. Le proposte ed i suggerimenti oggettivamente utili a migliorare la materia non troveranno il becco d’una qualsiasi responsabile attenzione. Veti incrociati nella maggioranza, insofferenza di Renzi per tutto ciò che esclude la propria taumaturgica impronta nelle basilari scelte politiche e legislative. sordità pregiudiziale delle parti in commedia resteranno l’unica concreta certezza. Concordemente coincidenti nel negare valore – o ignorare – a qualsiasi utile proposta. Nella tradizione e nello stile ampiamente collaudati al vertice delle istituzioni italiane.
SORRY
Giannino:
parafrasando un notissimo motto che, immagino, le sarà familiare: “there is no such thing as …a standard cost”. I costi standard sono una categoria storica – variano da regione a regione, da impresa a impresa, da luogo a luogo, da tempo a tempo, riflettono situazioni particolari (tecniche, economiche, finanziare, “ambientali”).Non sono dunque una categoria economica, ovvero una costante.
La vera operazione sensata sarebbe far ritornare la sanità sotto il controllo dello stato centrale.
Discorso estremamente complesso. Purtroppo credo che generalizzare, come fatto qui nei commenti sopra, è inutile. Il problema sono, effettivamente, gli sprechi. Faccio un esempio, ci sono regioni dove una siringa si paga 4 volte di più (citando un esempio fatto nell’articolo) ma poi non si hanno i soldi per acquistare la carta igienica o per fornire alcuni servizi fondamentali ai cittadini. Ora se proviamo a moltiplicare lo spreco dell’esempio della siringa per il numero di siringhe acquistate in quella regione, per il numero di tuttigli altri servizi e/o prodotti acquistati in tutte le regioni d’Italia viene fuori un qualcosa che fa paura. E non venitemi a dire che bisogna considerare gli aspetti ambientali o altre stupidaggini… una siringa è una siringa, una stampante è una stampante, un rotolo di carta è un rotolo di carta… in Lombardia come in Campania, in Puglia come in Toscana… viviamo in un mondo digitale dove io posso vendere qualsiasi prodotto in tutta europa allo stesso costo di quanto potrei venderlo sotto casa. E su!
suvvia Oscar, scusa per il tu che sto per usare, ma mi sembri distratto
come vuoi che un arrogante presuntuoso che all’annuncio di una prossima dipartita di una delle collaborazioni più serie che abbiamo avuto negli ultimi decenni risponde “ce ne faremo una ragione” adesso si mandi giù la soluzione del problema riconoscendo la propria nullità umana e professionale?
Se pensi che io sia razzista beh lo sono alla Montaigne
Renzi non ha ragione,per definizione.Il resto va bene ma fra le partecipate inutili ne è stata dimenticata una,la regione.Le maggiori spese nell’allegra brigata riguardano stipendi,vitalizi ed appendici retributive varie che le trasformano in centri di spesa funzionali a sè stessi e basta.Quello che fanno può essere affidato tranquillamente ai comuni risparmiando tutto ciò che è legato all’esercito di politici collegati.Le regioni andrebbero abolite.Certo se lo si fa come le province o il senato meglio lasciar perdere e tornare a discutere dell’uovo e della gallina.
A mio avviso i “costi standard”, essendo come tutte le cose economiche vincolate al tempo e ad un luogo, sono come sempre un altro vessillo dietro cui si cela come sempre la malagestio del pubblico danaro e l’incapacità del pubblico non solo all’agire concretamente ma prima ancora a concepire la concretezza. Se i costi della famigerata siringa, ma potremmo parlare della scerpa orotpedica, del materiale sanitario di consumo e di 10000 altre voci di spesa delle ammnistazioni sanitarie, oscillano tra estremi distanziati da percentuali a 3 cifre..non è certo per colpa grave di assenza dei suddetti costi standard. Esempio: anni fa nella mia provincia venne istituita, pochi giorni prima della scadenza canonica di una tassa sugli immobili..una tassa locale sugli immobili, che la locale amministrazione pubblica chiamo “tassa di scopo”..cioè il solito obolo una tantum che i cittadini avrebbero dovuto versare per realizzare una strttura sanitaria per bambini..lo scopo appunto. La ammnistrazione raccolse qualche milione di euro..indisse gare d’appalto, pogetto, realizzo e ovviamente inauguro in pompa magna la struttura. Dopo nemmeno 400 giorni dalla inaugurazione apparvero difetti, vizi, infiltrazioni, crepe e tutta una serie di problmi che resero quasi inservibile la struttura e che comunque ne rileveo il reale valore in termini di qualità costruttiva; dopo nemmeno un anno periti ingaggiati dal locale tribunale sentenziarono che si era di fronte ad una struttura, dopo 1 solo anno di vita, già malandata come una struttra di almeno 20 anni.
Tutto questo direte voi cosa c’entra coi costi standard: c’entra moltissimo Se qualunque ispettore avesse analizzato solo le carte di tutta questa opera avrebbe sicuramente trovato il rispetto delle norme, la valutazione di offerte fatte rispettando prezzi di mercato o costi standrd appunto. Ma la realizzazione pratica poi non ha avuto niente a che fare con quanto riportato in quelle carte. Questo cosa significa e che lezione dovremmo imparare. Semplice che no nserve a niente imporre con delle “carte” alle ammnistrazioni e municipializzate varie di fare altre carte pensando con questo di risolvere. Quello che deve fare il Governo è controllare la spesa pubblica con ispettori e tencii qualificati alla stessa stregua e con la stessa ostinazione e direi a volte “gusto” della persecuzione con cui controlla il settore privato. E quando si trova di fronte a costi standard rispettati..ma a siringhe fasulle, insomma a denaro sprecato deve agire di conseguenza, rimuovendo vertici e chiedendo danni, con risaricmento diretto..e senza aspettare che la Legge faccia il suo corso..perche nessuna azienda privata che trova un amministratore di una lontana filiale locale con le mani nella marmellata si affida in prima istanza ad un tribunale per controllare i propri amministratori e risolvere il problema.