Qua nessuno è superfisso!
I pericoli di un modello che disabitua alla gestione del rischio
“È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro.”
Questa frase è stata attribuita al fisico danese Niels Bohr, premio Nobel nel 1922 nonché padre fondatore della meccanica quantistica. Molto probabilmente, però, non fu lui il primo a utilizzare l’espressione: alcuni la attribuiscono al poeta Piet Hein o al fumettista Storm P (anche loro danesi), mentre invece per altri sarebbe stata pronunciata dal ricevitore dei New York Yankees Yogi Berra. Potremmo dire, facendo eco: è difficile attribuire correttamente le citazioni, soprattutto nel passato.
La frase mi è tornata in mente riscoprendo, grazie al consiglio di un amico, questo articolo di Sandro Brusco a proposito del “modello superfisso”: uno schema concettuale insidioso, alla base di molti ragionamenti errati in economia. Anche se scritto diversi anni fa, l’articolo è ancora attualissimo.
Lo schema descritto da Brusco prende l’avvio da una rozza interpretazione del modello input-output di Sraffa e Leontief. L’idea di base è che il mondo rimanga sempre uguale: sia i bisogni che i fattori di produzioni sono fissi, dunque i beni vengono prodotti allo stesso modo e consumati nelle stesse quantità anno dopo anno. Il progresso tecnologico esiste, ma essendo uniforme non provoca fluttuazioni nella produzione e nell’impiego dei fattori di produzione. Il suo effetto è simile a quello di un’alta marea che solleva tutte le barche, osserva Brusco: trasla tutto nella stessa proporzione e dunque non cambia nulla.
Insomma: il domani è (sostanzialmente) uguale all’oggi. Di questa visione del mondo è impregnata la gestione della pandemia, così come pure quella del cambiamento climatico: se il futuro è conoscibile, allora la società, le sue abitudini e i suoi consumi sono ingegnerizzabili in direzione top-down. Le forme di auto-organizzazione, quei sentieri di montagna di cui parlava Friedrich von Hayek [1], sembrano inefficienti perché risultato di un meccanismo acefalo: i provvedimenti rigidi dell’istituzione sarebbero, dunque, più adatti a gestire il rischio.
Il modello superfisso ha il pregio di offrire certezza e conforto, ma cela al proprio interno un grande pericolo, epistemologico ed etico, nell’ordine che preferite. (O anche: in nessun ordine particolare, se siete spinoziani e vi stare domandando perplessi: “perché, che differenza c’è tra le due cose?”)
Da sempre, infatti, il domani si è divertito a scovare i modi più creativi per essere diverso dall’oggi. Diversità bizzarra, controintuitiva, difficile da prevedere o anticipare: proprio da ciò nasce l’esigenza di gestire il rischio, prendendo in mano le redini del proprio destino.
Se, come diceva Aristotele, l’uomo è animale razionale, allora quella di affrontare l’incertezza del domani con l’aiuto della ragione è, in un certo senso, la sua prerogativa. Secoli dopo, Thomas Hobbes riprende quest’idea, definendo l’uomo come “famelico anche della fame futura” (etiam fame futura famelicus): e dunque diverso in modo fondamentale da lupi, orsi e serpenti che tendono a soddisfare solo il loro bisogno immediato [2].
La padronanza del linguaggio, o del logos, fa sì che l’uomo pensi continuamente al domani. Poiché questo è per sua natura aleatorio, ecco che addomesticare il rischio vuole dire in sostanza progettare e rapportarsi ad un futuro imprevedibile.
Di solito, non siamo consapevoli di usare il modello superfisso: infatti un sistema statico è di gran lunga meno complesso di uno dinamico, e questo rende il modello una comoda scorciatoia mentale. Ma quand’anche ci avvediamo di aver “imboccato” tale strada e ci scontriamo con i suoi limiti, tendiamo a dare la colpa a fattori esterni anziché al modello. Sul podio dei capri espiatori ci sono la scienza, la tecnica e il capitalismo: colpevoli di averci abituati, con la loro hybris prometeica, ad un futuro senza più segreti; a un domani e un dopodomani conoscibili già oggi.
Eppure le cose non stanno affatto così. Alla base dei valori illuministi e scientifici sta proprio la consapevolezza (conquistata a fatica e con disappunto) di quanto la conoscenza sia limitata, spesso da rimaneggiare a valle delle nuove, imprevedibili evidenze:
Vi dico: lasciate ogni speranza, o voi che vi accingete a osservare! Sì, rimetteremo tutto, tutto in dubbio. […] E quello che troviamo oggi, domani lo cancelleremo dalla lavagna e non lo riscriveremo mai più, a meno che posdomani lo ritroviamo un’altra volta.
Bertold Brecht – Vita di Galileo [3]
È di somma utilità al marinaio di conoscere la lunghezza della sua fune, anche se con essa non può scandagliare tutte le profondità dell’oceano. È bene che egli sappia che è abbastanza lunga per raggiungere il fondo in quei luoghi che sono necessari per dirigere il suo viaggio e per avvisarlo delle secche che potrebbero rovinarlo.
John Locke – Saggio sull’intelletto umano [4]
Insomma, per dirla con le parole di Karl Popper o Richard P. Feynman: nella scienza non si può mai dimostrare una volta per tutte di avere ragione. Si può al più avere torto ex post, il concetto di falsificabilità.
In questo senso, potremmo dire che il modello superfisso si configura come pseudo-scienza. Infatti esso non è regolato, manca dei meccanismi di retroazione o di feedback che lo tengano al passo con l’evoluzione, per esempio, della tecnologia: è un modello “disadattato”. Un problema sia epistemologico che etico: infatti, se mancano i meccanismi di feedback, tendiamo a non notare quando il costo o il rischio di nostre scelte viene esternalizzato o spalmato su altri.
Se teniamo a mente questo aspetto, è facile capire cosa accade nel modello superfisso al sistema di feedback per eccellenza: i prezzi. Come spiega bene Sandro Brusco, essi finiscono per non avere alcun ruolo allocativo (nelle decisioni di consumo, come in quelle di produzione) ma solo redistributivo. Il mercato non promuove efficienza, al contrario: è quasi ininfluente. Uno degli esempi più efficaci presentati da Brusco nel suo articolo è la liberalizzazione delle licenze di taxi: se pensiamo che le persone prendano il taxi sempre e comunque per x corse all’anno, indipendentemente dal costo (il modello superfisso), allora aprire il settore alla concorrenza e far scendere i prezzi delle corse non porta ad un maggiore numero di utenti.
I prezzi sono simili ad un kanban nella produzione Just In Time, o alla segnaletica stradale per rimanere in tema con l’esempio dei taxi: un sistema di trasmissione dell’informazione volto proprio a indicarci quando le cose cambiano. Anzi: tanto maggiore è il numero di modi diversi in cui possono cambiare, tanto più grande è la quantità d’informazione trasmessa [5].
In una strada a senso unico che prosegue sempre dritta, senza alcuna curva o svolta, non serve segnaletica.
Invece, della segnaletica avremmo bisogno eccome: incentivi, profitto e mercato (= prezzi) sono gli strumenti che permettono di seguire al meglio il cambiamento, accordando al meglio i fattori della produzione. Le sfide che abbiamo davanti, dalla pandemia di COVID-19 al cambiamento climatico, non possono essere affrontate in modo efficace con piani quinquennali energetici o sanitari: è solo per mezzo della libertà economica e della creazione di ricchezza che essa produce che possiamo sperare di non rimanere fissi ed evolvere.
Riferimenti
[1] Mingardi A. (2020). Contro la tribù. Hayek, la giustizia sociale e i sentieri di montagna. Marsilio
[2] Bobbio N. (2004). Thomas Hobbes. Einaudi
[3] Brecht B. (ed. 2014). Vita di Galileo. Einaudi
[4] Locke J. (ed. 1971). Saggio sull’intelletto umano. UTET
[5] Shannon C. (1948). A Mathematical Theory of Communication. Bell System Technical Journal