14
Dic
2010

Metamorfosi televisive

Dal bruco alla farfalla

Riceviamo da Stefano Quintarelli e volentieri pubblichiamo. L’autore è un carissimo amico, oltre che uno dei maggiori esperti italiani di tlc e digitale, provare per credere il  suo Quinta’s weblog

Cos’è la televisione ? sembra una domanda banale perché tutti abbiamo in mente come riferimento cosa ERA la televisione: un servizio in cui un broadcaster emittente trasmette via etere i programmi televisivi (di cui ha acquisito i “diritti” per il suo paese) che, ricevuti da una antenna, vengono guardati su un televisore (un oggetto costituito da un sintonizzatore, uno schermo, degli altoparlanti).

Emittenti che, è bene ricordare, hanno degli obblighi di legge tra cui quelli riguardanti la par condicio, le fasce orarie di protezione dei minori, l’affollamento pubblicitario, la promozione di opere europee, le televendite, l’informazione sportiva, ecc.[1]

Oggi lo scenario tecnologico è un po’ meno netto, il televisore non è più quello di una volta: con l’home theatre l’audio è uscito dal televisore e con il satellite o con il digitale terrestre, il sintonizzatore (una volta interno al televisore) è diventato un decoder esterno. In compenso il video si sta arricchendo di prese di rete o wifi per collegarlo ad internet con la capacità di prelevare contenuti da un server o eseguire piccoli programmi chiamati widget.

A ben vedere l’oggetto “televisore” assomiglia sempre più ad un computer e sempre meno ad un “televisore”, sia con possibilità native di collegamento ad internet, sia mediante dei ricevitori esterni: i “set-top-box”.

Appaiono così servizi online che erogano contenuti audiovisivi mettendoli a disposizione sia come flusso di contenuti (come tradizionali programmi televisivi) sia, e sempre di più, ottenibili su richiesta dell’utente.

L’erogazione di flussi viene chiamata “TV lineare”, la messa a disposizione di contenuti viene chiamata “TV non lineare”. In Italia la TV lineare via internet (IPTV) conta circa 600.000 abbonati ripartiti tra 4 operatori (Telecom, Fastweb, Wind, TiscalI); i servizi TV non lineari sono offerti da un vasto numero di soggetti, anche dall’estero, tra cui la svizzera Acetrax e la statunitense Apple.

La trasmigrazione e mutazione dall’etere al cavo mette a dura prova le certezze su cui si è costruita la TV di ieri, basti pensare alle potenziali conseguenze di quanto descritto sopra: l’annichilamento del palinsesto a favore della selezione dell’utente (eventualmente con raccomandazioni del suo network sociale anziché della scelta dell’editore), la delocalizzazione geografica e globalizzazione delle sorgenti di contenuti, la frammentazione degli operatori non più limitati in numero dalla limitata costrizione delle frequenze “televisive”, e via dicendo.

In questa metamorfosi della televisione si innestano grandi questioni. Se prima era sufficiente mettere un recinto per limitare il bruco, come fare ora con la farfalla ? quali norme applicabili ? quelle svizzere ? quelle italiane ? quelle USA ? come si rispettano le fasce orarie di protezione dei minori con fonti che possono stare agli antipodi ? se è l’utente a scegliere cosa guardare come assicurare la par condicio ? cosa significa “affollamento pubblicitario” ? Youtube è una televisione ? e la Rai online ?

E’ bene che mettiamo da parte gli schemi di riferimento precedenti: lo sviluppo della tecnologia dissolve le strutture cui siamo abituati.

Il nuovo ordine europeo

Nel 1989 la Commissione Europea, ritenendo che una reale integrazione dell’Unione non potesse avvenire senza regole televisive, ha introdotto la direttiva “TV senza frontiere”, successivamente modificata nel 1997,  per armonizzare le normative presenti in Europa. Sono stati così fissati alcuni dei vincoli richiamati sopra: la tutela dei minori, la promozione della produzione audiovisiva europea, l’affollamento pubblicitario.

Anticipando i cambiamenti che stiamo affrontando oggi, nel 2003 la Commissione Europea, ha avviato una consultazione pubblica circa la regolamentazione della futura TV; sono stati fatti dei focus group con esperti e nel 2005 è stata realizzata una nuova consultazione. Nel dicembre 2007 è stata emanata la Direttiva 2007/65/CE che modificava il testo precedentemente in vigore e nel marzo 2010 è stata emanata la versione codificata. La direttiva “Audiovisual Media Services” ha così sostituito la precedente direttiva “TV senza frontiere”.

La direttiva si basa su una nuova definizione dei servizi media audiovisivi, svincolata dalle tecniche di trasmissione; definisce il concetto di “servizi media audiovisivi” compiendo una distinzione tra servizi lineari, che designano i servizi di televisione tradizionale che i telespettatori ricevono passivamente; e servizi non lineari, cioè i servizi di televisione a richiesta che i telespettatori scelgono di vedere (servizi di video on demand, ad esempio).

Si stabilisce anche il principio del paese d’origine e gli operatori saranno pertanto tenuti a rispettare esclusivamente le disposizioni giuridiche in vigore nel loro paese di stabilimento. In caso di differente severità delle norme tra vari stati europei è comunque prevista una facoltà di intervento dello stato di destinazione in caso sia necessario tutelare ordine pubblico, consumatori, investitori, ecc.

La direttiva stabilisce limiti di affollamento pubblicitari e include nuove forme di pubblicità, come la pubblicità a schermo diviso (split screen), la pubblicità virtuale, la pubblicità interattiva oltre a regolamentare l’uso esplicito di prodotti di una determinata marca nell’ambito di un programma (“product placement”).

Molti degli interrogativi iniziali, determinati dallo sviluppo tecnologico, trovano risposta nei paragrafi precedenti. Resta un tema importante: la convergenza (o forse sarebbe meglio dire collisione) tra la TV di ieri e Internet: Youtube è una Tv e quindi soggetta alle regole televisive ? e un videoblog ? e la webcam sulla piazza del duomo ? e la Rai online ?

Intanto osserviamo che non ha senso chiedersi se siano una “televisione” bensì se siano un “servizio media”. La “televisione” è solo una sottocategoria, limitata alla particolare fattispecie dei servizi di media audiovisivi forniti per la visione simultanea di programmi sulla base di un palinsesto.

La direttiva definisce “fornitore di servizi media” chi assume la responsabilità editoriale della scelta del contenuto audiovisivo e ne determina le modalità di organizzazione, sia esso erogato linearmente o messo a disposizione a catalogo (non linearmente). La “responsabilità editoriale” è l’esercizio di un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi sia sulla loro organizzazione in un palinsesto (lineare) o in un catalogo (non lineare). Viene invece effettuato un esplicito richiamo alla direttiva “eCommerce” che esenta da ogni obbligo quegli  intermediari che non esercitano responsabilità editoriale (ad esempio gli operatori di rete o di hosting).

Nella direttiva si specifica che la definizione di servizi di media audiovisivi dovrebbe comprendere solo i servizi che sono mezzi di comunicazione di massa. Il suo ambito di applicazione non dovrebbe comprendere le attività “precipuamente non economiche” e che “non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva”, quali i siti Internet privati e i servizi di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interessi.

Viene altresì esclusa ogni forma di corrispondenza privata (inviata a un numero limitato di destinatari) e tutti i servizi nei quali il contenuto audiovisivo è meramente incidentale e non ne costituisce la finalità principale come siti Internet che contengono elementi audiovisivi a titolo puramente accessorio, quali elementi grafici animati, brevi spot pubblicitari o informazioni relative a un prodotto o a un servizio non audiovisivo.

Per la direttiva, quindi, video blog, siti aziendali con contenuti video, webcam su piazza del duomo, non sono  servizi media mentre lo è la Rai online.

Per Youtube la cosa è più complicata. Non fa parte delle eccezioni esplicitamente previste: è certamente di massa, è una attività economica, non è una comunità di interesse, non è a diffusione limitata, contiene video in modo non accessorio, contiene video non generato da utenti privati.

Il nocciolo della questione è quindi se Youtube eserciti un controllo effettivo sulla selezione dei contenuti o sulla loro organizzazione nel catalogo. Certamente Youtube non lo fa per il suo uso più frequente, ovvero i video caricati dagli utenti  ma lo fa invece per alcuni contenuti classificati in categorie particolari quali i film (youtube.com/movies ) e gli show televisivi (youtube.com/shows). Youtube opera in Europa dall’Irlanda e pertanto vale il principio del paese di origine, ovvero è applicabile la direttiva per come è stata recepita in Irlanda.

La legge recepita in italia

Il recepimento in Italia il 29/3/2010 della direttiva, noto come “legge Romani”, ha generato notevoli discussioni, come era ovvio dato che tocca il core business del Presidente del Consiglio.

Non entro nel merito del recepimento della direttiva per quanto attiene i servizi media lineari (TV tradizionale) che va oltre gli obiettivi di questo articolo. Mi limito ad esaminare il recepimento per quanto attiene le nuove forme di servizi media.

La direttiva esclude che vengano imposti nuovi obblighi di licenze o autorizzazioni per l’erogazione di servizi; il recepimento italiano prevede una dichiarazione di inizio attività da presentarsi all’ AGCOM (l’Autorità delle comunicazioni) che produrre un regolamento che individui tra l’altro i criteri dei soggetti da ritenersi fornitori di servizi media. Non è certo una licenza, come vietato dalla direttiva, ma si introduce un registro non previsto dalla direttiva.

La direttiva, come detto, fa esplicitamente riferimento all’esclusione di responsabilità degli intermediari che non hanno responsabilità editoriali (direttiva 2000/31/CE). Questa esenzione di responsabilità è assente nel testo italiano, lasciando un residuo di rischio in capo ai semplici intermediari tecnici che si limitano ad erogare contenuti la cui responsabilità editoriale incombe a terzi.

Anzi, la cosa si aggrava se si considera la previsione, non presente nella direttiva ma inclusa nella legge italiana, che concede all’AGCOM di disporre l’interruzione della ricezione in Italia di contenuti o cataloghi che violino le norme sul diritto d’autore, ordinandolo anche all’operatore di rete attraverso il quale detti contenuti sono ricevuti, con una sanzione per lo stesso fino a 150.000 euro. Altro che esenzione di responsabilità.[2]

La memoria non può non correre a Youtube, soggetta al recepimento irlandese, ma che ospita come noto molto materiale che viola norme sul diritto d’autore, materiale ricevibile in Italia…

Il regolamento dell’AGCOM

Non è finita. Siamo arrivati al regolamento dell’AGCOM chiamato a definire, questi aspetti molto delicati: i criteri per cui un soggetto diventa fornitore di servizi media e le norme attuative per interrompere la ricezione in italia di programmi o cataloghi che violino norme sul diritto d’autore.

La cosa è, in tutta evidenza, molto delicata. Il Commissario AGCOM Nicola D’Angelo si è dimesso da relatore del provvedimento, l’approvazione da parte del consiglio dell’AGCOM è slittata a seguito del clamore sviluppatosi attorno alle bozze che sono trapelate.

Il Presidente dell’AGCOM, Calabrò ha dichiarato “Applicheremo la legge Romani semplificandola al massimo, sburocratizzandola. E’ profondamente sbagliato regolamentare questo fenomeno con mentalità ottocentesca. Certo bisogna reprimere la pirateria e tutelare il diritto d’autore con mezzi moderni”.

Le prime indiscrezioni riportavano che, per essere “in concorrenza con la radiodiffusione televisiva” (come previsto dalla normativa) fosse sufficiente una soglia ridicolamente bassa, ovvero un giro di affari annuo di 100.000 euro in presenza di un catalogo di video fruibili on demand e/o di 24 ore settimanali di erogazione lineare.

Le indiscrezioni raccontavano anche di sanzioni per gli utenti sospetti violatori di copyright che portino ad una “cessazione immediata delle violazioni, senza lungaggini” in assenza di un giudice terzo ed imparziale; misure nei confronti di siti sospetti con verifiche “eventualmente” necessarie, interruzione di comunicazioni con determinati protocolli a prescindere dal loro contenuto, obbligo per gli operatori di oscuramento per siti che fanno riferimento a indici di contenuti protetti da copyright (Google, per definizione è un indice di contenuti protetti da copyright!, secondo la definizione di tali siti, in Italia sarebbero centinaia di migliaia), ecc.

Non stupisce che l’approvazione del provvedimento AGCOM sia slittata e che nulla trapeli delle nuove bozze.

Sotto l’albero di Natale, con la testa impegnata tra cenoni e regali, speriamo di non trovarci una sorpresa amara.


[1] Il Corecom Puglia elenca nella normativa di riferimento 59 diverse norme: http://is.gd/iBhrS

[2] Il recepimento italiano stabilisce che chi fa scelte editoriali, sia un fornitore di servizi media e conseguentemente abbia responsabilità, tra cui quelle indicate. Dice anche che se un soggetto non fa scelte editoriali, non è un fornitore di servizi media, ma non afferma, come invece fa la direttiva, che chi non fa scelte editoriali non abbia responsabilità.

2 Responses

  1. Mauro

    L’italia non solo è un paese illiberale, ma inoltre è gestita da cretini che vogliono inserire in una camicia di forza tecnologie anarchiche, ma senza avere il coraggio di proclamare la tirannia. L’europa si mantiene su un livello meno invasivo apparentemente, ma solo perchè non ci si riesce a mettere d’accordo.
    70 anni di diritto d’autore dopo la morte dello stesso, non dopo la creazione dell’opera! E questo dovrebbe incoraggiare i nuovi talenti? Neanche i brevetti farmaceutici, un momentino più importanti di una canzone, sono così protetti.

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