22
Set
2009

Mercato del lavoro: l’unica gabbia è il sindacato

Pochi giorni fa, secondo quanto riportato da un comunicato ANSA del 19 settembre, Raffaele Bonanni avrebbe detto a proposito di gabbie salariali: “Non delegheremo mai a nessuno di stabilire il salario per i lavoratori, che è frutto di accordi tra noi e gli imprenditori”.
L’affermazione sembra quanto meno avvilente e indicativa di un analfabetismo delle libertà economiche individuali di cui gli italiani restano ancora preda.

Quando andiamo a comprare un bene, siamo liberi di scegliere se accettare il prezzo offerto dall’acquirente e rivolgerci eventualmente ad un altro, o dobbiamo affidarci a categorie solo astrattamente rappresentative dei nostri interessi per comprarlo?

Quello del lavoro non è forse un mercato come gli altri, in cui il bene di cui si contratta il prezzo è la prestazione del lavoratore? E allora perché altri all’infuori dell’alienante (lavoratore) e dell’acquirente (datore) dovrebbero imporne il “giusto” prezzo? Perché mai il mercato del lavoro non dovrebbe funzionare secondo la regola basilare del mercato, secondo cui il prezzo è determinato dall’incontro fra chi compra e chi acquista (e non da chi pretende di esserne rappresentante)? “Padrone” e “operaio” non sono forse entrambi nella posizione di vantare una pretesa, l’uno di prestazione del lavoro dietro compenso, l’altro, in maniera speculare, di ottenimento del lavoro previa prestazione?

Si dirà, comprensibilmente, che datore e lavoratore non vantano una pretesa identica e contraria, se non altro perché, mentre un imprenditore può sopravvivere per lo più anche senza impegnare la prestazione di un operaio, quest’ultimo non può sopravvivere a lungo nello stato di disoccupazione. Tuttavia, se il mercato non è perfetto, non sono certo gli interventi governativi e sindacali a renderlo tale. Anzi, essi producono un effetto distorcente delle condizioni di domanda e offerta. In particolare, se viene meno l’autonomo e individuale confronto tra datore e lavoratore, si possono originare aspre contrapposizioni di categoria, si creano costi aggiuntivi destinati a gravare più sul lavoratore che sul datore, si rischia di sclerotizzare il libero scambio del bene-lavoro, finendo per cristallizzarne il costo su parametri esterni alla volontà delle parti, e quindi anche in contrasto con l’interesse specifico del lavoratore.

Ancora una volta, non è il geloso mantenimento delle posizioni sindacali a garantire il lavoratore (dati gli effetti alteranti che la contrattazione e le rivendicazioni sindacali sono in grado di produrre), ma potrebbe essere lo stesso spontaneo agire dei lavoratori a poter compensare le diverse preferenze temporali tra datore e lavoratori.

Si obietterà che queste sono riflessioni meramente astratte rispetto alla dura realtà. 
Facciamo tre esempi per dimostrare il contrario, che liberamente traiamo e attualizziamo dalla Sesta serata delle Serate di Rue Saint Lazare di Gustave de Molinari, ora riproposte dalla Liberilibri con prefazione di Nicola Iannello e postfazione di Carlo Lottieri (una presentazione più esaustiva del problema  si può leggere qui).

In primo luogo, in caso di offerta di lavoro in eccesso, sono più convincenti coalizioni spontanee e private di lavoratori, maggiormente in grado di garantire adeguate forme di sostegno a disoccupati e inoccupati, in luogo di quelli che lo stesso De Molinari chiama, con una punta di ossimorica ironia, “sistemi di carità legale”. Diversamente da quanto può sembrare prima facie, questa non sembra una proposta tanto astrusa, se è vero che gli iscritti agli ordini professionali in Italia hanno sistemi di previdenza e assistenza alternativi rispetto a quelli statali, che costituiscono delle casseforti molto più stabili e garantite. E la storia, con le Società di Mutuo Soccorso, ci incoraggia a credere in questa soluzione spontanea di ammortizzatori solidaristici.

Si obietterà: «Perché mai i lavoratori dovrebbero finanziare questi ammortizzatori “privati” per i loro colleghi disoccupati? Solo l’intervento statale, che ha a cuore l’interesse pubblico, può sanare un fallimento di mercato». Tuttavia, basta un semplice calcolo matematico (che De Molinari fa pallottoliere alla mano) per evidenziare come sia nell’interesse individuale dei lavoratori occupati sostenere una fetta di disoccupati che si estromette dal mercato in cambio di un sostegno privato, eliminando così quell’eccesso di offerta di lavoro che porta ad abbassare il valore del lavoro, e dunque il salario.

In secondo luogo, De Molinari invita a una maggiore flessibilità nella ricerca “spaziale” del posto di lavoro.

Anche qui si replicherà, con Adam Smith: «L’esperienza sembra mostrarci che un uomo è, tra tutti i bagagli, il più difficile da trasportare».

Tuttavia, a ben vedere, la maggior parte dei costi che l’uomo deve sopportare per spostarsi è data dalla regolamentazione (e dunque di nuovo dallo Stato) sulla circolazione: permessi di soggiorno, passaporti, licenze abitative, oneri per i passaggi di proprietà, etc. Certo, si tratta di una regolazione che risponde ad altre esigenze (come quelle di sicurezza, ad esempio) ma una semplificazione di queste restrizioni legali alla libertà di movimento, come Schengen ha dimostrato, è un sicuro volano dell’economia, soprattutto oggi, quando le condizioni e i tempi di viaggio sono certamente migliori rispetto al Settecento di Adam Smith e il sacrificio affettivo dell’allontanamento dai propri cari diviene quindi più facilmente superabile.

In terzo luogo, anche quelle che possono essere considerate un ulteriore fallimento del mercato, ovvero le asimmetrie informative, possono indubbiamente essere rimosse attraverso un ordine spontaneo, che a sua volta produce occupazione, come l’introduzione delle agenzie di collocamento in competizione tra loro ha dimostrato anche in Italia.

Quella testarda convinzione per cui, in condizioni di libero mercato, alle prestazioni del lavoratore non corrisponderebbe un riconoscimento economico adeguato, a causa di una sorta di tirannia dell’imprenditore-capitalista, sembra davvero un retaggio di cui liberarsi, per il bene dei lavoratori stessi.

La corretta retribuzione del lavoro non è una questione né di contratto nazionale, né di contratto integrativo aziendale, né tantomeno di gabbie salariali, ma di spontaneo incontro tra la domanda e l’offerta.

Questa vorremmo che fosse la semplice considerazione da cui partire per ogni dibattito sul mercato del lavoro.

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9 Responses

  1. Condivido in pieno. C’è un bellissimo passo in “Mercati sotto assedio” di Richard Epstein che dice: “… non è plausibile pensare che tutti i lavoratori non siano in grado di capire quali sono i propri interessi ed entrino in transazioni che li lasciano in condizioni peggiori di quelle precedenti, o che non riflettano il valore della loro produzione per l’azienda. Qui, come in molti altri settori, il libero accesso al mercato fornisce la difesa più potente e più solida …”.

  2. andrea mensa

    chissa se Serena Sileoni ha immaginato la contrattazione tra un cipputi qualsiasi e marchionne ! chi crede che imporrà le condizioni ?
    l’unica possibilità per una moltitudine di contrattare con chi ha in mano il potere economico è l’organizzazione. una moltitudine di isolati non vale nulla, una moltitudine organizzata vale eccome.
    che poi questi sindacati siano una burla, o dei venduti, non cambia il principio.
    ovvio che è la classe operaia che deve fare pulizia nei propri rappresentanti, ma per cosa riguarda l’organizzazione, il sindacato è ancora l’unica chance.

  3. Piero

    La corretta retribuzione del lavoro non è una questione né di contratto nazionale, né di contratto integrativo aziendale, né tantomeno di gabbie salariali, ma di spontaneo incontro tra la domanda e l’offerta.

    che i Sindacati in Italia ed altri paesi esagerino è fuor di dubbio..
    che se il prezzo del lavoro fosse libero allora calerebbe (e calerebbero standard di vita e consumi) ma aumenterebbe l’occupazione (spesso di bassa qualità) e la produttività è altrettanto ovvio…
    ma postulare l’eliminazione totale dei sindacati è una follia simile alla dittatura del proletariato marxista alla rovescia 🙂

    “far finta” (xrchè di questo si tratta) di non vedere l’enorme differenziale di potere tra i soggetti non è cecità : è malafede..
    “far finta” (xrchè di questo si tratta) di non vedere che le imprese abbastanza frequentemente sono indotte allo sfruttamento ed al ricatto (x es. nessuna altra impresa vuole + riassumere gli operai sopravissuti al rogo di quello stabilimento dove documenti alla mano i manager avevano risparmiato illegalmente sulla sicurezza) : è malafede..
    “far finta” (xrchè di questo si tratta) di non capire che il venditore (il lavoratore) è da sempre in eccesso strutturale rispetto alla domanda (l’impresa) ed il prezzo che paga non è un in-venduto qualsiasi ma la propria persona (e talvolta la propria vita: vedi suicidi alla France Telecom) : è malafede…
    “far finta” (xrchè di questo si tratta) di non sapere che tutti i gruppi si organizzano in rappresentanze industriali/professionali (è di pochi giorni fa che la lobby degli avvocati è riuscita a strappare in parlamento leggi a loro favore ed a danno del consumatore) come i lavoratori dipendenti e con ben altri risultati : è malafede..

    certo che però esite un gigantesco problema: le tigri asiatiche senza tutelene x i lavoratori ne x i cittadini grazie alla concorrenza globale eroderanno inevitabilmente e sempre più velocemente la qualità della vita del ceto medio occidentale… quella perdita di potere delle rappresentanze dei lavoratori che tu auspichi probabilmente non avverrà su base volontaria ma su base forzata.. i Liberisti Radicali (ma non quelli con buon senso) magari gioiranno.. la maggior parte della gente man mani che toccherà con mano le teorie in pratica non credo proprio.. ai posteri la facile sentenza..

    la via di mezzo è la meno peggio diceva il Budda.. ma così non sarà..

  4. Daniele

    Gentile Piero, ti è possibile esprimere le tue idee in maniera più gradevole, senza orribili abbreviazioni e miscugli tra minuscole e maiuscole? Credo di interpretare un sentimento diffuso. Il rischio è di apparire dei troll estremamente saccenti ed inopportuni. Cordialmente, Daniele

  5. Ermes

    Caro Piero, gli Stati Uniti sono un ottimo esempio, pochi sindacati tranne nelle case automobilistiche di Detroit….il risultato lo abbiamo visto. Non mi sembra la Sileoni abbia ipotizzato il divieto di raggrupparsi in organizzazioni ma invece ha privilegiato l’idea di non creare associazioni sindacali riconosciute come interlocutori di governo ed imprenditori che si sostituiscano in toto al lavoratore (con quale diritto?)

  6. Pietro M.

    Piero: invece di offendere argomenta, su. Facci una bella analisi di labour law and economics e vediamo che quanto ci stupisci con la tua sapienza.

    Tu difendi un sistema che crea disoccupati a milioni, in gran parte di lungo termine, danneggia la competitività, e quindi la crescita e quindi i salari futuri, e si può reggere in piedi solo cacciando dal mercato del lavoro i lavoratori poveri (come dici dell’Estremo Oriente che ruba il lavoro).

    Se vuoi puoi difendere un tale sistema, ma siccome tutti sanno che è disfunzionale, abbi almeno la decenza di non essere così inutilmente arrogante.

    Magari su qualche punto hai ragione. Ad esempio Pietro Ichino ha scritto un libro sui possibili “market failure” del libero mercato che secondo l’autore giustifica un minimo di interventi. Forse una base per cominciare a ragionare c’è.

  7. Serena Sileoni

    Mi pare che chi non condivida l’articolo (che non è un articolo CONTRO i sindacati, ma un articolo PER i lavoratori) condivide però con me il fallimento del sistema sindacale. Dice Andrea Mensa: “che poi questi sindacati siano una burla, o dei venduti, non cambia il principio.” Invece lo cambia eccome. Nessuno, in via di principio, potrebbe dire che gli ideali comunisti siano moralmente negativi, ma nessuno, in via di fatto, può giustificare ciò che quegli ideali hanno comportato. Se si elimina la differenza che corre tra principio e realtà, facendo finta che essendo il principio buono i suoi fallimenti pratici siano giustificabili, non si dà alcun contributo ad una vita migliore.
    Al commento di Pietro, che mi accusa di malafede, rispondo semplicemente che essere in malafede vorrebbe dire che le mie riflessioni hanno un doppio fine. Mi piacerebbe sapere quale doppio fine immagina… Né ritengo queste posizioni di difesa dell’autonomia individuale (pur in forma di associazionismo spontaneo) astratte o meramente teoriche, come è stato detto.
    Al contrario, se si legge bene l’articolo, esso è concentrato su tre esempi pratici e soprattutto PRATICATI di alternative al sistema OBBLIGATORIO DI FATTO di sindacati che sindacano solo i propri interessi.

  8. Piero

    @Serena Sileoni

    ciao Serena.. rispondo prima a te.. mi sembra più corretto..
    con Malafede (Intelletuale) intendo dire che la realtà è Complessa, che ci sono gravi disfunzioni non solo dal lato delle organizzazioni sindacali dei Lavoratori (cosa su cui anche se in modi diversi non si può non concordare).. ma anche dal lato delle Imprese
    e delle loro Organizzazioni.. così come dal lato delle Associazioni Professionali (quello
    che stà succedendo con gli Avvocati è solo un piccolo recentissimo esempio)..
    un articolo argomentato avrebbe, a mio modo di vedere, analizzare e mettere a confronto tutti i pro&contro dai diversi lati, per poi trovare una sintesi…
    invece ho qui riscontrato un senso unico simile (a parti rovesciate) a quello
    che avrei potuto leggere su un giornale sindacale.

    A chi mi dice di argomentare.. francamente di cose ne ho dette.. mi sarebbe piaciuto leggere sue contro-opinioni sui punti precisi.. invece mi sembra si sia risposto subito con generalizzazioni.. con lo stesso metro potrei volare alto e dire che oggi il tasso Usa è più alto dell’Italia/Europa.. potrei dire che la Ditribuzione dei redditi Usa è semplicemente scandalosa.. potrei chiedere come mai la Teoria economica evidenzia le disfunzioni del mercato quando su uno dei 2 lati domanda/offerta vi sono forti assimetrie (dimensioni, informazioni, potere) ma poi quando si và sulla merce-lavoro (che brutto termine) queste stesse disfunzioni vengono incoerentemente dimenticate.

    Allo stile di scrittura posso cortesemente ringraziare x la segnalazione ma credo vi possa essere la Libertà di scegliersi la propria via.
    A chi mi accusa di offendere dico di guardare anche un pò dentro di sè 🙂

    Cmq ciao a TUTTI e ricordate.. se qui venisse solo gente allineata ve la suonereste e ve la cantereste da soli.. non credo sarebbe utile.. siamo x ora in una società aperta..
    Piero

  9. Piero

    scusa se ritorno Serena.. ho lasciato un commento sulla Contro-Riforma degli Avvocati che potrebbe completare il mio pensiero.. riciao..Piero

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