Meno credito: ciò che le banche centrali NON riescono a impedire, e perché
Negli Stati Uniti, dove a differenza che da noi non comanda l’ABI, da un paio di giorni media e bloggers si interrogano a centinaia su questa chart. Si riferiva a questo, Pietro Monsurrò nel suo post di questa mattina. A produrla e commentarla, sono stati economisti come Tim Congdon del FMI e David Rosenberg di Gluksin Shelf. La massa degli impieghi continua a diminuire negli USA a un tasso dell’1% al mese, per ogni mese da 11 mesi a questa parte. La deflazione del credito si aggiunge a quella dei prezzi, dei salari, degli asset immobiliari. Non male, se si pensa che tutti intonano la canzone “siamo fuori dalla crisi”. Tra i tanti commenti, mi limito a segnalarne alcuni, come quello di Ambrose Evans-Pritchard sul Telegraph, quello di Tyler Durden su Zerohedge, quello di Mr Practical su Minyanville. Si potrebbe pensare che questi dati interessano solo gli americani. È sbagliato: perché la restrizione di credito, con molta più opacità sui dati, è in corso anche da noi. Di conseguenza, ne de derivano tre importanti constatazioni.
La prima è: la liquidità oceanica pompata sui mercati dalle banche centrali non è in grado di evitare sinora la deflazione del credito.
La seconda: ciò avviene perché, sino a ora, gli operatori del mercato – le banche, essenzialmente – scontano a maggior velocità la svalutazione di collaterali e garanzie degli impieghi, di quanto invece le banche centrali tentino di monetizzare i debiti attraverso le nuove iniezioni di liquidità, pur attraverso tutta la nuova panoplia di strumenti a tal fine posti in essere dall’autunno 2008 a oggi.
La terza: se come sembra le banche centrali non sono ancora affatto in c0ntrollo del moltiplicatore monetario, delle due l’una. Potete pensare che, per quanto modesti e poco energiche siano state le spinte coattive riservate dai regolatori alle banche, comunque la crescente pressione nei loro confronti a ricapitalizzarsi e ad attuare il deleveraging abbia sortito un effetto esattamente opposto a quello di ricreare fiducia. Non è la mia opinione. Oppure penserete, se avete abbastanza coraggio, che è il sistema attuale come lo conosciamo delle banche centrali a fare inesorabilmente acqua, e che occorre cambiarlo dalle fondamenta. Abolirle, direbbe Ron Paul, pensando a Thomas Jefferson e Andrew Jackson contro Alexander Hamilton. Oppure – come pensa John Taylor – adottare un nuovo sistema monetario e obiettivi di inflation targeting ormai planetari, in grado di commisurarsi al mercato aperto mondiale della moneta, per contenere l’effetto erosivo sempre più potente che carry trading e impieghi di liquidità massicci su asset mobiliari prevalgano rispetto alla trasmissione degli impulsi all’economia reale.
Caro il mio Direttore,
Che il boom, degli ultimi anni, fosse indotto da un’espenzione creditizia mi sembra abbastanza condivisibile. Per cui auguriamoci che le misure monetarie falliscano e che allo stato attuale la crisi continui facendo chiarezza.
Perchè se così non fosse, entrando nuovamente in bolla, indurremmo al debito anche coloro i quali ora i debiti non hanno o ne hanno pochi. Per cui è meglio suonare ora il fischietto di fine partita intanto che qualche giocatore è ancor in piedi.
Io tifo assolutamente per una deflazione poderosa e duratura.
Bruno.
Ha ragione Ron Paul; non solo: io sarei per mettere dentro Greenspan (altro che FED al di sopra della legge) e i suoi sodali. E ovviamente bisognerebbe fare repulisti anche da noi, via la BCE.
Garantiamo i depositi, niente Tremonti bond alle banche, piuttosto finanziamo direttamente le imprese, niente TBTF (è finita l’estate, e le cicale della finanza è giusto che patiscano i rigori invernali).
E, soprattutto, giù le tasse. Subito.
Ha ragione Ron Paul, unico grande eroe spietatamente sincero in quel di DC. No FED, si gold standard.
Bello dare ragione a qualcuno senza spiegare perchè.
E’ vero ha ragione Ron Paul, ma solo in parte…