15
Set
2020

Meno circolari ministeriali e più flessibilità: una strategia per portarci fuori dalla crisi

di Javier Fernández-Lasquetty

Quando professionisti e uomini d’affari sono usciti dal lockdown e hanno riattivato le loro imprese, molti si sono accorti che alcuni dei loro clienti, o magari tutti, non c’erano più. È successa la stessa cosa quando hanno provato a contattare i loro fornitori: parecchi non erano più disponibili attraverso i soliti canali. Alcuni sono scomparsi, ma molti, fortunatamente, esistono ancora. Il punto è che non possono più fare le cose come prima, e non possono più rimanere nello stesso posto dato che i canali della produzione, della distribuzione e quelli per trovare i clienti sono molto diversi tra di loro. Ma come fai a trovarli se la regolamentazione te lo impedisce?

Tantissime aziende stanno pagando a caro prezzo le conseguenze della pandemia: come possiamo mai aspettarci che riescano a tirarsi fuori dalla fossa con le loro forze sotto il peso di tonnellate di note e circolari del governo che gli impongono come produrre e come offrire i loro prodotti ai consumatori?

La crisi provocata dal Covid-19 – e dalle decisioni politiche sbagliate del governo nazionale – è la più profonda che abbiamo mai conosciuto, e la Spagna, con la sua coalizione di governo tra socialisti e comunisti, ha un tristissimo doppio primato: il tasso di mortalità più alto e il crollo economico più rilevante nell’intera area OCSE.

I governi stanno spendendo di più, ed era necessario che lo facessero dati gli alti costi della risposta sanitaria alla pandemia. Anche proteggere il diritto all’istruzione con un piano per il ritorno a scuola come quello implementato nella Comunità Autonoma della Regione di Madrid necessita di risorse, come pure la necessità di proteggere meglio gli anziani nelle case di riposo. Il governo regionale di Isabel Díaz Ayuso sta mobilitando tutte le risorse a sua disposizione per distribuire mascherine e dispositivi di protezione individuale, per sostenere i lavoratori autonomi, per fornire liquidità alle aziende e per qualsiasi altra cosa si dimostri necessaria. Secondo i nostri calcoli, per il solo 2020 ciò determinerà un aggravio di bilancio di oltre 3.400 milioni di euro, in cui è compreso il crollo del gettito fiscale.

Tuttavia non è vero, come invece sostiene il governo socialista, che col debito si possa porre rimedio a tutto. Poco importa che l’inutilità del keynesismo nel tirarci fuori da qualsiasi crisi del XX° secolo sia stata provata e comprovata innumerevoli volte: si troverà sempre qualcuno pronto a proporcelo come fosse una cura miracolosa. Tutto il debito che faremo adesso significherà aver attualizzato le risorse produttive dei prossimi anni, quindi, anziché creare nuovi prodotti e generare più lavoro, noi contribuenti ci troveremo a dover riallocare i nostri soldi per coprire il debito pubblico prodotto dal governo.

Dunque come possiamo fare per tirarci fuori da questa crisi il prima possibile? Abbiamo bisogno di tanta, tantissima flessibilità, di alleggerire il fardello della regolamentazione di modo che le imprese si trovino in condizione di poter sperimentare in maniera reattiva e rapida, di poter applicare nuove idee ed essere così in grado di generare ancora una volta valore, quindi di crescere e creare lavoro. Meno circolari ministeriali di pagine su pagine e più flessibilità è quindi la strategia per poter uscire presto da questa crisi, e per poterci sobbarcare le spese che stiamo affrontando per la sanità, per la scuola o per l’assistenza sociale. Questa è la tesi di un gruppo di giovani professori australiani del Royal Melbourne Institute of Technology, che hanno avuto il talento di scrivere un libro brillante dal titolo Unfreeze. How to Create a High Growth Economy After the Pandemic (D. Allen, C. Berg, S. Davidson, A. Lane, and J. Potts. Edited by the American Institute for Economic Research, Maggio 2020. Disponibile su Amazon).

Mi associo completamente a questa tesi, e credo come loro che i paesi che saranno in grado di rendere più flessibile il proprio apparato di regole saranno quelli che vinceranno questa crisi e ne usciranno prima, mentre vi sprofonderanno ancora di più e ne usciranno perdenti i paesi che insisteranno nel voler mantenere in vigore pagine su pagine di circolari e note ministeriali che stanno ostacolando gli agenti economici nel fare ciò che mai come ora è necessario che facciano: innovare, scoprire, adattarsi, alcuni di essi facendo ricerca e sviluppo, e molti altri trovando nuovi modi di fornire alle persone i prodotti ed i servizi di cui hanno ancora bisogno al prezzo più basso possibile.

Per definizione, la regolamentazione riduce lo scopo di cosa può essere fatto e, sempre per definizione, questa è sempre legata ad una conoscenza che è di fatto obsoleta, cioè alla conoscenza di ciò che esisteva nel momento in cui è stata elaborata, e non di ciò che sta emergendo. Inoltre, la regolamentazione tende inesorabilmente ad allargarsi e stratificarsi, ed è un fenomeno che noi in Spagna, purtroppo, conosciamo molto bene. Il Foro Regulación Inteligente, un think tank madrileno specializzato nello studio della smart regulation, ha aperto molti spiragli di discussione che meritano di essere approfonditi, a partire dalle enormi cifre che ha voluto sottolineare: tra il 1976 ed il 2016, sono state promulgate in Spagna più di 35.000 leggi nazionali; le gazzette ufficiali delle regioni autonome contano dalle 700.000 alle 800.000 pagine all’anno; a causa dell’eccesso di regolamentazione, la Spagna è al 97esimo posto nella classifica che misura la facilità con cui si può avviare un’impresa, stilata annualmente dalla World Bank. Non ci conviene proseguire su questa strada. Dobbiamo invece prendere la direzione opposta, cioè quella dell’umiltà del regolatore.

Abbiamo una montagna di regole che hanno oramai perso molto del valore che possono aver avuto in passato; l’hanno perso perché sono nate dal mondo pre-Covid, e se c’è una sola cosa chiara su questa pandemia è che questa ha scatenato cambiamenti strutturali nel modo in cui viviamo, nel modo in si chiedono beni e servizi, nel modo in cui si producono, e nel modo in cui li si rende disponibili per l’acquisto. L’obsolescenza della regolamentazione era diventata palpabile già dalla primissima settimana della diffusione del virus. C’è forse qualcosa di più miserabile di un paese dove la gente sta morendo perché non ha dispositivi di protezione, ed in cui allo stesso tempo alla gente non è permesso di produrre mascherine e gel igienizzanti perché non sono a norma rispetto alla regolamentazione vigente o perché non si hanno gli inevitabili permessi e licenze per farlo?

Come spiegano i professori australiani nel libro che ho citato pocanzi, il problema che aziende e consumatori si trovano adesso a dover fronteggiare è lo stesso che il premio Nobel Friedrich Hayek descriveva come il problema della conoscenza. Non è che la domanda o l’offerta siano sparite, è che devono scoprire nuovamente dove incontrarsi, attraverso quale canale e a quale prezzo, e non esiste regolamentazione al mondo capace di risolvere un simile problema. Questa conoscenza è disponibile solo ad ogni individuo e rispetto ai suoi particolari bisogni e possibilità, e la trama degli scambi tra le persone si ritesserà nuovamente finché questi potranno esplorare e innovare. Se la regolamentazione lo impedisce, ci ritroveremo ad avere delle aziende fantasma che vagano senza meta e dei consumatori con bisogni insoddisfatti, oltre che con tanta, tanta disoccupazione e tanto, tantissimo debito. Non mi pare un futuro roseo.

La strategia che meglio può guidarci è essere aperti al cambiamento e all’innovazione, senza il dogmatismo dei burocrati, senza il mercantilismo degli inciuci e delle cricche, senza proibizionismi, essendo liberi di offrire e responsabili per ciò che offriamo agli altri. Si tratta certamente di una politica liberale classica, ma che non deve essere per forza contraria ad altre visioni della società. Qualcuno potrebbe anche rimanere sorpreso dal sentir indicare la deregolamentazione come asse centrale di una proposta liberale classica, eppure ricordo molto bene quando anche sentir parlare José María Aznar di taglio delle tasse in Spagna sembrava una stravaganza da attribuire al fatto che all’epoca fosse a capo dell’opposizione sotto il governo González. Quando però Aznar è salito al governo ed ha abbassato le tasse, tutti si sono resi conto del fatto che una bassa pressione fiscale è condizione necessaria per crescere, e più di tutti la Regione di Madrid, che per sedici anni di fila non ha aumentato alcuna tassa ma le ha invece tutte diminuite o direttamente abolite, e che per questo mandato continuerà ad essere la regione con le tasse più basse del paese, come promesso da Isabel Díaz Ayuso.

Nella Regione di Madrid abbiamo fatto grandi progressi in merito a deregolamentazione e flessibilità da quando Esperanza Aguirre mise in atto politiche che per l’epoca senza precedenti, come ad esempio la liberalizzazione degli orari d’apertura dei negozi o la possibilità per i cittadini di scegliere liberamente il medico o le scuole del sistema pubblico, e la stessa coalizione tra il Partito Popolare e Ciudadanos che governa la Regione ha adesso messo in campo un Piano per la Ripartenza che muove in una direzione quanto più possibile lontana da quel keynesismo che, sfortunatamente, va tanto di moda.

Qui nella Regione di Madrid stiamo abolendo le concessioni edilizie per molte operazioni immobiliari, che saranno adesso rimpiazzate da una dichiarazione di responsabilità. Stiamo proseguendo sulla via della smart regulation nel settore immobiliare perché vogliamo facilitare il cambiamento nella destinazione d’uso dei terreni senza che vi sia bisogno di imbarcarsi in procedure costose sia in termini economici che di tempo.

Vogliamo che le persone abbiano la possibilità di indicare quali sono le leggi che impediscono loro di innovare o di offrire un bene o un servizio ad un prezzo più competitivo, e per questo stesso motivo stiamo istituendo una Open Line contro l’iper-regolamentazione, con la quale ci impegniamo a vagliare tutti gli ostacoli burocratici che i cittadini ci vorranno sottoporre.

Sappiamo bene che ci sono ancora troppe trafile che dilatano i tempi e i costi delle richieste, e perciò vogliamo rivedere tutte quelle lungaggini burocratiche che alle volte diventano un ostacolo insormontabile per coloro che vogliono mantenere la propria azienda o aprirne una nuova. La più grande trasformazione urbanistica che avrà luogo in Europa nei prossimi anni, il progetto “Madrid Nuevo Norte”, è già iniziato, e non sarà la burocrazia a fermarlo.

Ciò che vogliamo è che tutti gli imprenditori della regione e del paese sappiano che qui a Madrid troveranno via libera per innovare. Per innovare non bisogna chiedere permesso, e questo è lo spirito su cui si fonda Permissionless Innovation, ideato in seno ad un importante centro studi americano (il Mercatus Center della George Mason University. A. Thierer ha pubblicato moltissimi scritti sul tema nel 2014 e nel 2016), che postula la fiducia nel talento umano, lasciato libero di svilupparsi in un ambiente dove vige la concorrenza senza che venga ostacolato dalla burocrazia, e, aggiungerei io, da un’alta tassazione. È così, con l’inizio dell’economia di mercato, che negli ultimi duecento anni la maggior parte del genere umano si è affrancata dall’estrema fragilità e povertà che lo minacciavano, come spiegano anche Steven Pinker, Matt Ridley o Johan Norberg. La flessibilità chiamerà innovazione, e con essa riusciremo ad uscire prima dalla crisi, ma per farlo ancor più velocemente dobbiamo ridurre il peso delle circolari e delle regole che abbiamo accumulato.

Javier Fernández-Lasquetty y Blanc è Consigliere del Ministero regionale delle Finanze della Regione di Madrid.

L’articolo è stato originariamente pubblicato su El Confidencial il 4 settembre 2020. Traduzione di Veronica Cancelliere

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