Master in Economic Policy :-)
Ieri stavo cercando un Master in Economics da qualche parte, tanto per approfondire i miei hobby intellettualoidi. Avendone trovato uno in Economic Policy nella stessa Università che mi ha conferito un titoletto undergraduate in Economics, ho letto il programma. Era una roba da Keynesiani convinti.
Non soddisfatto di quello che leggevo, ho cominciato a immaginare un corso di Economic Policy di tipo neoclassico, e poi uno di tipo austriaco. In entrambe i casi, anzi, in tutti e tre (infatti i 5000€ del corso me li terrò in conto corrente), non valeva la pena studiare un tale argomento, anche se per motivi diversi.
Una mia carissima amica che ha un PhD in Economics mi ha detto che, viste le mie idee, credo sia teoriche che politiche, un master di quel tipo mi sarebbe sembrano noioso e inutile. Questa cosa non è una novità: molti fanno notare come degli ultimi 30 anni di teoria economica quasi nulla sia passato nei programmi e nelle discussioni di policy. Per quante Lucas critique si possano fare, alla fine quasi tutti partono dall’IS/LM, e spesso si fermano lì.
Vediamo come sarebbe un programma semiserio di Economic Policy alla Lucas/Prescott:
- Monetary policy: potete saltare il capitolo, tanto è irrilevante.
- Fiscal policy: potete saltare il capitolo, tanto è irrilevante.
- Financial structure: potete saltare il capitolo, tanto è irrilevante.
- International economics: potete saltare il capitolo, tanto è irrilevante.
A parte gli scherzi, un master in Economic Policy “neoclassico” equivale a studiare per fare una cosa che si sa essere del tutto superflua. Nessuna persona sana di mente investirebbe risorse per cercare un lavoro che sa essere inutile.
Il programma semiserio di Economic Policy alla Mises/Hayek non sarebbe poi molto più eccitante:
- Monetary policy: come distruggere il mondo in una mossa.
- Fiscal policy: se il mondo è sopravvissuto alla politiche precedente, aggiungete quest’ultima.
- Financial structure: non ho idea di cosa sia, la finanza non mi interessa*.
- International economics: le nazioni non esistono, commerciare tra vicini di casa e con i cinesi è la stessa cosa.
Insomma, il programma di Economic Policy austriaco equivale a studiare come far danno, per andare a fare lavori dannosi. Nessuno sano di mente farebbe una cosa del genere: un corso del genere attirerebbe solo sociopatici alla Hannibal Lecter. Sarebbe interessante studiare cosa fece Boehm-Bawerk quando era Ministro delle Finanze dell’Impero Austro-Ungarico…
Il risultato finale è che i corsi di Economic Policy sono fatti da Keynesiani per i Keynesiani, e che quindi le politiche economiche finiscono nelle mani dei Keynesiani: i risultati sono sotto gli occhi di tutti, ma lo schema di incentivi perversi sopra delineato, anche se un po’ umoristicamente, non credo sia facile da eliminare. I pianificatori e gli ingegneri sociali non possono essere né “neoclassici” né “austriaci”: per i primi è tutto una perdita di tempo, per i secondi è addirittura pericoloso.
La recente crisi finanziaria è molto più facilmente spiegabile con gli strumenti dei secondi (i.e., la politica monetaria è tutto fuorché irrilevante), ma la dicotomia di sopra non vale in senso stretto e credo che in futuro argomenti dal sapore austriaco (come ad esempio già fatto da John Taylor nel suo recente libro edito da IBL Libri) saranno più frequenti nella difesa del libero mercato che non l’equivalenza ricardiana o il teorema di Modigliani Miller. Peccato che la debolezza intellettuale della Scuola austriaca (non del tutto immeritata) abbia lasciato il fronte scoperto.
* A parte un libro di Machlup degli anni ’30, un paio di paper di Lachmann degli anni ’50, e alcuni paper recenti di Garrison, O’Driscoll e Mueller, praticamente non esiste nulla in campo finanziario di ispirazione austriaca, perlomeno non una visione di insieme di un campo di indagine specifico altrove noto come “Economia Finanziaria”. Il mondo ha bisogno di un Mises, ma non ve ne sono.
E’ capitato anche a me ed immagino anche ai più di coloro che, avidi di nuova conocscenza, si approcciano ai limiti del sapere a oggi pubblicamente noto o reperibile.
La tentazione era quella di riscrivere il suo articolo sostituendo, a titolo di esempio, un’altra disciplina con la struttura di dettaglio cosi come l’ha pensata lei, ma con argomenti coerenti con quelli della disciplina d’esempio.
Mi sono fermato perchè non voglio essere paternalista.
Quando ci si avvicina all’ignoto all’incomprensibile alla nostra ignoranza la reazione più spontanea è quella dello scoramento della frustrazione.
Lei io e molti altri saremmo anche disposti a pagare cifre importanti per trovare qualche via breve. Ma per fortuna siamo dotati della esperienza, della prudenza necessaria.
L’incontro di un limite non è cosa di poco conto e viverlo come fallimento personale non ha senso perchè i nostri fini sono contraddittori. Il fine di sapere di più si scontra con il fine di comprare qualche cosa che non stà sul mercato.
Il vantaggio che io vedo è che, con molta umiltà, giunti al limite si può solo concorrere ad estenderlo. Quando ci capiterà un altra occasione per essere arrivati al punto di poter apportare il proprio granello di sabbia alla spiagga.
Dopo aver letto questo commento, riderrbbe il keinesiano e riderebbe anche monetarista. Mises no.
O almeno lo spero.
Se non avete riso sapete cosa fare indipendentemente dalla scuola di pensiero.
Cordialità.
mario fuoricasa