Markets in everything
Ci permettiamo di rubare il titolo ad una famosa rubrica di Marginal Revolution, il seguitissimo blog di Tyler Cowen. Il fatto è questo: contrariamente a quanto si potesse pensare Il Foglio e il suo direttore non hanno appoggiato in pieno la protesta della Conferenza Episcopale Italiana sulla nota vicenda dell’ora di religione a scuola, che è inutile riprendere in questa sede (testo sentenza da federalismi.it: PDF). Nell’intervista al teologo milanese Giuseppe Angelini si legge fra le righe: “Sarebbe prezioso un rilancio da parte dei cattolici, senza accontentarsi di fragili rendite di posizione nel contesto multiculturale e multiconfessionale”. Oggi Ferrara rilancia:
“Il Papa restituisce allo stato le sue prerogative concordatarie in materia di insegnamento religioso, o almeno quelle che suonano come rendite di posizione anacronistiche, e lo stato spezza il monopolio culturale antiliberale costituito dalla scuola unica pubblica e dal suo mito”.
Già, “rendite di posizione” e “prerogative”, ecco i termini interessanti per i Chicagoans. Questi termini richiamano frizioni (barriere) all’ingresso che non permettono ad altri competitors di “succhiare” le quasi-rendite di quel mercato. Come mi ha fatto notare Massimiliano Vatiero (di ritorno da Chicago-Kent) i chicagoans spiegherebbero che la questione non è il monopolio in sé – che potrebbe essere pure efficiente in assenza di barriere all’ingresso – ma è la contendibilità de jurede facto di quel mercato.
Lo aveva già spiegato Gary Becker:
“To me the overriding case why the State should not make any law respecting the establishment of religion is the case for competition against monopoly (…) Through history, religions have tried to use the state to give them a privileged and protected position, and in this regard have been no different than telephone companies and airlines that have used government power to keep out competition”.
In questa prospettiva cosa è il Concordato se non un monopolio legalmente sostenuto (come I brevetti, per intenderci) su certe attività?
Nulla di nuovo. In un dimenticato articolo pubblicato anni fa da Ideazione Kishore Jayabalan, direttore dell’Acton Institute di Roma e intellettuale vicino a Giovanni Paolo II, si schierava favore dell’abolizione del Concordato guardando alla libertà concessa ai gruppi religiosi nell’ambiente americano. E che le dinamiche di mercato c’entrino anche in questo contesto ce lo ricordano anche John Micklethwait (attuale direttore dell’Economist) e Adrian Wooldrige. Nel loro ultimo libro God is Back (Londra, 2009) analizzano il ritorno del religioso sulla scena politica. Particolare attenzione è però dedicata al sistema europeo di relazioni fra stato e gruppi religiosi, spesso basato sul sussidio di stato (tramite legislazione favorevole o prebende economiche) e il sistema americano inteso come sistema di mercato che garantisce la competizione fra i gruppi religiosi.
Il tutto sintetizzato in una frase che si rifà ad Adam Smith:
“Nonestablished clergy, who rely on the collection plate, show greater zeal in proselytizing the inferior ranks of people than established clerical salarymen, who are more interested in sucking up to their patrons (Europe has been a textbook illustration of this) (pag. 21)”.
In sostanza, come già spiegava Iannaccone la competizione gioverebbe anche alle confessioni religiose.
Così, in un giorno d’agosto, scopriamo che i liberi mercati potrebbero funzionare con Mammona, ma anche con Dio. E forse con la scuola.