6
Dic
2011

Manovra Monti: Una scure sulle Province? – di Serena Sileoni e Silvio Boccalatte

Le Province verranno trasformate in una sorta di enti di secondo livello e il presidente del Consiglio ha peraltro dichiarato in conferenza stampa che il Governo darà il suo sostegno ad ogni progetto di legge costituzionale finalizzato alla loro soppressione. La notizia va accolta con un certo favore, ma cerchiamo innanzitutto di capire bene la portata dell’intervento governativo.
Attualmente il consiglio provinciale è eletto direttamente dal popolo, così come il Presidente della Provincia che poi nomina i membri della Giunta, cioè gli assessori; il decreto-legge Monti prevede, innanzitutto, che gli organi provinciali siano solo il Consiglio e il presidente: ne consegue automaticamente, quindi, la soppressione della Giunta. Purtroppo l’efficacia della norma non è immediata, ma decorre dallo stesso momento delle altre modifiche istituzionali: su questo punto torneremo tra pochissimo.
Resta, invece, il Consiglio provinciale, ma con due modifiche essenziali:

  1. il numero dei consiglieri provinciali è fissato in non più di dieci;
  2. i membri del Consiglio saranno eletti “dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia”: le modalità di elezione saranno poi stabilite dalle singole Regioni entro il 30 aprile 2012, e, in caso di mancata adozione del relativo provvedimento regionale, interverrà lo Stato

Questo assetto avvicina le Province ad una sorta di ente locale di secondo livello: può definirsi ente “di secondo livello” l’ente i cui membri non sono diretta espressione del corpo elettorale, ma sono a loro volta eletti o nominati da altri soggetti che traggono invece legittimazione popolare diretta. Il modello delineato dal decreto Monti non specifica:

  1. se il provvedimento regionale di attuazione debba essere una legge o meno;
  2. se i membri dei futuri consigli provinciali debbano essere a loro volta titolari di cariche elettive o amministrative nei Comuni del circondario;
  3. le norme sulla elezione.

Con questa impostazione si può sostanzialmente concordare, perché permette una prima regionalizzazione delle province, precisando, però, che sarebbe stato sommamente opportuno capire se tra gli “organi elettivi dei Comuni” possano essere comprese anche le Giunte o meno: si propende per la soluzione negativa, perché, a stretto rigore, le Giunte comunali non sono organi elettivi.
Il Presidente della Provincia, a sua volta, non viene più eletto direttamente dal popolo, ma solo dal ristrettissimo Consiglio provinciale.
Bene: le Province vengono ridimensionate e non potranno più difendersi con l’esilarante e ipocrita affermazione secondo la quale sarebbero “un patrimonio di democrazia”. Ma restano per far che cosa? E’ evidente che il Governo si sia dovuto fermare un attimo prima della loro secca abolizione, mossa che, purtroppo, richiede una legge costituzionale, e, di conseguenza, abbia dovuto disperatamente cercare di lasciar loro una qualche competenza.
In questo senso restano alle Province “esclusivamente le funzioni di indirizzo politico e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”. In altri termini: visto che l’Unione delle Province Italiane continua a ripetere che le Province sono essenziali organi di raccordo tra le Regioni e i Comuni, viene lasciata loro sostanzialmente solo quella competenza. Tutte le altre funzioni, invece, sono trasferite dalle Regioni ai Comuni (salva la loro riallocazione alle Regioni stesse in forza dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza). Le risorse umane, finanziarie e strumentali seguiranno le relative funzioni.
E allora le Province cosa restano a fare?
Ecco, su questo il decreto avrebbe proprio dovuto essere un poco più preciso: è ben nota, infatti, la vaghezza con cui la dottrina individua la nozione di “indirizzo politico” mentre cosa sia una funzione di “coordinamento” è un elemento su cui dottrina e giurisprudenza si accapiglieranno non poco. Tanto per capirci: noi stessi sottoscritti autori del post non concordiamo tra di noi sulla riconducibilità o meno della gestione delle strade e dell’edilizia scolastica superiore all’indirizzo politico e/o alla funzione di coordinamento!
Resta comunque una valutazione complessivamente positiva di questa riforma per aver davvero messo mano alla organizzazione e alle funzioni dell’ente provinciale evitando tuttavia la trappola di una loro soppressione: dati i tempi di vita di questo governo più brevi, probabilmente, dei tempi necessari per una riforma costituzionale che abolisca le provincie, un loro taglio netto avrebbe voluto dire un sicuro insabbiamento della riforma. Al di là dei tempi stretti, una riforma costituzionale significherebbe una serie di passaggi in parlamento in cui sarebbe molto più facile negoziarla, dando possibilità alle Province di far sentire il loro disaccordo in maniera molto più incisiva di quanto non potranno fare in sede di conversione del decreto legge. Del tutto positive, quindi, le disposizioni che scandiscono in maniera perentoria la tempistica della mutazione istituzionale delle province: gli organi attualmente operanti decadono al momento dell’adozionedelle leggi regionali di trasferimento delle funzioni, e, in ogni caso (quindi anche se una Regione restasse colposamente inerte) entro il 30 novembre 2012. C’è solo da augurarsi che, in parlamento, il governo non conceda la stralcio di questo termine perentorio.
Resta anche positivo il giudizio circa la rimodulazione degli organi provinciali non più espressione di democrazia rappresentativa, ma – come richiedeva l’idea originaria – snodi di coordinamento dell’attività comunale.

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17 Responses

  1. Roberto

    Le Provincie vanno eliminate senza se e senza ma, perché sono inutili, sono fattore di inefficienza e spreco e quindi vanno cancellate in toto! non era necessario un altro decreto per stabilire la loro inutilità! non si fa altro che allungare i tempi e dare la possibilità ai Partiti di sistemare qualche loro pedina “inutile”. Sono solo dei postifici! e lo stesso vale per la Sanità… è mai possibile che in diverse Regioni del Sud, il rapporto cittadini/dipendenti sia mostruosamente superiore alla maggior parte delle Regioni del nord Italia? con inefficienze altrettanto mostruose? Perché io cittadino, devo pagare tutto questo!? qui non si tratta di dare una mano a chi ha bisogno, ma di continuare a perpetuare inefficienze e sprechi causati principalmente dai nostri politici mascalzoni ed inefficienti!

  2. Fernando Fedele

    Per me “” il problema province “” deve essere affrontato nel GRANDE CALDERONE DELLA RIDUZIONE DELLA SPESA PUBBLICA !! FACENDO UNA RISTRUTTURAZIONE DELLO STATO !! RENDENDOLO PIÙ SNELLO E PIÙ EFFICIENTE !!

  3. mauro marabini

    la abolizione delle province é una mossa popolare e va aiutata stimolando l’opinione pubblica affinche si impedisca che le cose restino come sono. La cosa migliore sarebbe sfidare il parlamento affinchè con legge costituzionali vengano abolite del tutto: sarebbe un fatto veramente rivoluzionario ed un segno evidente di volontà di cambiare e colpire le partitocrazia. Avranno il coraggio?

  4. G. leonarduzzi

    Mi sembra che il gioco del “dagli al politico” seppur leggittimo, nasconda in realtà il vero cancro di questo paese. IL pubblico impiego. Presto detto: se si aboliscono, in parte, le provincie, si risparmiano circa 180milioni di euri l’anno. IN virtù dell’elaborata abolizione, con 10 consiglieri ecc. , i dipindenti attuali finirebbero nel calderone dei dipendenti regionali con un indennità di gran lunga superiore a quella attuale. Il risultato sarebbe di ca. 880milioni di euri all’anno in più- Qual’eè il vantaggio? Monti è mancato clamorosamente sul pubblico impiego. Sul dipendente statalizzato a 36 ore la settimana in pensione con 15 mensilità e con 5 gradi di giudizio se uno volesse licenzialrlo. Riduzione del 38% dello stipendio per che ha un contratto a tempo indeterminato nella PA. A presto. Leonard

  5. Francesco P

    @mauro marabini

    Lei ha perfettamente ragione. Non ha senso duplicare l’organizzazione delle prefetture sul territorio con organi elettivi ed amministrazioni piene di personale che esegue funzioni superflue.

    Però, se si vuole ridurre l’inefficienza della macchina pubblica (e anche le occasioni per sprechi e corruzione), servono altri passi di riforma delle istituzioni:

    1) pareggio di bilancio;
    2) riduzione del numero dei parlamentari (meno della metà basta e avanza);
    3) differenziazione delle funzioni di Camera e Senato;
    4) incompatibilità delle cariche di governo con quelle parlamentari (chi fa il ministro deve cedere il posto in parlamento), con estensione della immunità parlamentari anche ai ministri;
    5) accorpamento delle Regioni (10 bastano e avanzano);
    6) accorpamento dei Comuni (10.000 abitanti sono un limite ragionevole da inserire in Costituzione) e Città metropolitane;

    La riduzione degli enti pubblici con soppressione di quelli inutili si può effettuare con legge ordinaria.
    Così pure si può prevedere la Cassa integrazione per quelle diverse centinaia di migliaia di dipendenti pubblici in eccesso per via della semplificazione (sì, con la drastica riduzione dei costi potremmo permetterci il lusso di non fare “macelleria sociale”).

    Purtroppo queste cose dovrebbe farle l’attuale Parlamento troppo miope, troppo fazioso e troppo rissoso.

  6. Pastore Sardo

    Avete mai lavorato per gli enti locali?

    Si direbbe di no, altrimenti capireste che le province dovrebbero fare nel loro territorio quello che fanno le regioni e che quest’ultime non sono in grado di fare a seguito delle enormi differenze tra le province del loro territorio e che non sono in grado di gestire.
    Ovvero, togli la sanità e la ridai allo stato e buona parte delle deleghe e dei soldi rimanti alle regioni le dai alle province, al massimo la regione avrà un consiglio composto dai presidenti delle province (quindi sono tutte rappresentate) che elegge il presidente tra un loro membro.

  7. claudio

    Chiaro! Sarebbe bello essere in Svizzera, dove non esistono neanche i politici professionisti (come li intendiamo da noi) e dove lo Stato spende MENO di quello che incassa; ma siamo in Italia… e se va in porto questa quasi-abolizione delle province, allora siamo di fronte ha una delle migliori riforme degli ultimi anni.

  8. giovanni

    Ha ragione pastore sardo! Sarebbe molto più sensato, per un popolo di individualisti-campanilisti quali siamo noi italiani, depotenziare le regioni e basarci sulle province. Corrispondono fra l’altro molto meglio alla taglia dei cantoni svizzeri, il primo e migliore caso di federalismo europeo.

  9. Paolo

    Quello dell’abolizione delle Province è stato il tormentone dell’estate e come tale andava ratificato con provvedimento legislativo. Ormai si va avanti a slogan, senza valutare il reale significato e peso delle cose. Se le province pesano per il 5,5% circa del costo della pubblica amministrazione ed il risparmio stimato per il loro ridimensionamento è di 30 milioni di euro, mentre società varie degli enti locali (s.p.a. ecc.) e relativi consigli di amministrazione costano qualche miliardo di euro, dove sta l’efficacia della manovra in merito alla riduzione dei costi della politica e dei suoi derivati?

  10. claudio

    Solo 30 milioni di euro!? Mediamente sono meno di 300 mila euro a provincia, non l’avrei mai detto
    (vivo nella provincia più piccola d’Italia, ma so che gestisce fondi per milioni di euro e che vi sono impiegate centinaia di persone).

  11. Achab

    Io sono abituato ad andare “contro corrente” e mi tocca farlo anche in questo caso.

    Se l’obiettivo reale è la riduzione della spesa pubblica e la riduzione della burocrazia per favorire la competitività delle imprese, la soppressione delle Province produrrà un ben magro risultato.

    Patendo da una considerazione storica inoppugnabile, si può ricordare che la ricostruzione “post bellica” ed il “miracolo economico” degli anni 60′ è avvenuto quando l’Italia era fatta solo di Comuni e Province ( e non esistevano né le Regioni, nè le Comunità Montane né le Città Metropolitane). In quell’epoca (come può essere facilmente verificato) il rapporto Debito/PIL si collocava intorno al 40% anche se con un trend in crescita. Dopo il 1970 [il 22 maggio 1970 fu ubblicata la Legge 16 maggio 1970 n. 281 “Provvedimento finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario”] si assiste ad un primo balzo che lo porta intorno al 60% e, fino al 1983 circa si è mosso nell’intorno, del 60%. Poi è cominciato a schizzare inesorabilmente verso l’alto. Il 1983 coincide con il primo governo Craxi. Ma, in quegli anni, si era anche consolidato il peso ed il potere delle Regioni i cui organismi, e la capacità di spesa, erano ormai entrati a pieno a règime (sic).

    Nel corso del tempo le Regioni (con leggi Regionali) hanno elargito rilevantissime: indennità, indennità di fine mandato e vitalizi, ai loro Consiglieri. Assegni che, solo ora in tempi di vacche magre, iniziano ridimensionare. Ed è bene ricordare che i Consiglieri Regionali sono circa 1300, molti di più che tutti gli Onorevoli ed i Senatori presi insieme.

    Le Regioni hanno avuto il coraggio , nel tempo, di aprire fino a 178 “sedi diplomatiche” estere con costi a carico dei contribuenti. (vedere al riguardo Sole 24 Ore Nord Ovest – 09/02/2011 “Le regioni tagliano le sedi estere” e Corriere del 23/06/201 “Le Regioni e la «diplomazia fai-da-te» Spese pazze per 178 sedi nel mondo)

    Le Regioni hanno decine di “Società Partecipate” alle quali debbono ripianare “pro quota” i debiti contratti e, nelle quali, si può sempre trovare una “poltrona” per i “trombati” o per gli amici. (Al Riguardo, e per avere una
    idea dei costi, si può vedere l’articolo del 9 settembre 2011 su Repubblica – “Gettoni e stipendi a vuoto le 500 società fantasma gestite da Comuni e Regioni”)

    Le Regioni nel 2010 hanno pesato sulla spesa pubblica per 170 miliardi di € (di cui 114 per la Sanità), le Province per 12 miliardi di €. Il costo diretto per i
    compensi degli Amministratori Regionali è stato, sempre nel 2010, di 907 milioni di €, mentre gli Amministratori Provinciali sono costati 113 milioni di €. Invece i costi di complessivi di funzionamento degli organi politici delle
    Regioni si sono attestati 1.173.447.315 € mentre quelli delle Province a 454.818.007 € .

    Le Regioni hanno un numero di Dirigenti enorme, difficilmente sopportabile da qualsiasi altra struttura pubblica o privata. Al top della classifica troviamo
    la Regione Lazio con il 12,9% di Dirigenti su tutto il personale, ciò vuol dire – in altri termini – che mediamente, prendendo a caso 8 dipendenti, uno di
    questi è un Dirigente. [Vedere : Dipartimento di Studi del Lavoro e del Welfare Università degli Studi di Milano – Regione Lazio. Quattro scelte coraggiose per una svolta].

    Ma i costi “diretti” della “politica decentrata delle Regioni” non sono, a consuntivo, quelli che preoccupano di più e che recano maggiori danni . Infatti le Regioni determinano un terzo livello di produzione normativa, che si stratifica, spesso in modo caotico e disordinato, a quello Europeo ed a quello Nazionale. Le leggi regionali, inoltre, non sono quasi mai coordinate con
    quelle delle Regioni confinanti creando situazioni paradossali nelle zone di confine.

    Le leggi Regionali, nella normalità dei casi, introducono “nuovi ostacoli”, “nuovi vincoli” e “nuovi costi” per la realizzazione di “qualsiasi cosa” in aggiunta a quelli già previsti dai “livelli normativi sovraordinati”. In ultima
    analisi le normative regionali determinano: ulteriori difficoltà, ulteriori costi e dilatamento dei tempi per qualsiasi attività, non solo per per quella imprenditoriale, aumentando in modo esponenziale – quanto perpetuo – i “costi decisionali”.

    Per diminuire la “burocrazia” si potrebbe operare, in modo certamente molto, più incisivo intervenendo direttamente su “chi produce nuove leggi” (spesso diversamente utili) come le Regioni, piuttosto che sulle Province le quali possono solo applicare le norme sovraordinate senza (che per fortuna!) ne possano emanare di proprie. Il numero di leggi regionali prodotte da 20 Regioni, in circa 40 anni di vita, è sterminato ed ogni nuova norma emanata
    ha prodotto – e continuerà a produrre – un apparato burocratico ed un sistema di regole destinato ad appesantire la vita di tutti e, segnatamente, quella delle attività produttive.

    In sintesi le Regioni “costano” molto di più delle Province e sono maggiormente responsabili dell’incremento della spesa pubblica di quanto
    non lo siano mai state le Province. Inoltre la sterminata produzione di leggi regionali determina una incontrollabile proliferazione burocratica la quale, a
    sua volta, determina un enorme incremento dei costi ed un allungamento dei tempi decisionali.

    Se si vogliono veramente ridurre i costi della politica e diminuire l’impatto della burocrazia sulle attività produttive, allora bisogna intervenire sulle Regioni, altro che sulle Province !

    Solo che le Regioni sono reali centri di potere e nessuno, nemmeno il Professor Monti, ha reale interesse ad affrontare seriamente il problema.

  12. pietro27

    prima di parlare dell’abolizione delle province, mi piacerebbe sapere l’impianto generale su come questo stato dovrebbe funzionare. Tagliare senza una cornice di riferimento è solo un arbitrio. Sembra che il nostro voto non vale più. Se questo è sarebbe bello che i partiti in un conato di dignità lo dicessero, no che lo fanno dire al professore. Questo è un discorso grave di quello che può essere chiamata la nostra democrazia e che si sostiene con il nostro voto. Di questo passo, forse sarebbe opportuno che funzionari pubblici facessero i sindaci per assicurare i soli servizi senza essere eletti!!!! togliendo gli stipendi ai presidenti di municipio già siamo su questa strada….
    o forse non sarà più necessario votare tanto ci sono i professori che ne sanno più di tutti!!! quindi perchè tanto spreco di voto!!! Io mi sto già attrezzando non voterò più perchè non ha più nessuna importanza. Io come cittadino italiano di questo stato di cose e di insipienza politica mi sento profondamente offeso.

  13. Serena Sileoni

    @Achab
    è partito il commento…
    dunque: sono d’accordo con lei, ma ciò non toglie che questo sia già un passo avanti

  14. Andreaperin

    Non c’e dubbio che il provvedimento sulle provincie e’ più frutto della pressione popolar/mediatica che frutto di un razionale piano di riduzione e di efficientemente dell’apparato.
    D’altra parte un piano complessivo avrebbe richiesto troppo tempo e comunque da qualche parte bisogna cominciare. E credo giusto cominciare dalle provincie. Poi tocchera’ all’accorpamento dei comuni piccoli. Le attuali regioni credo trovino giustificazione in una ottica federalistain cui accanto alle funzioni devono esercì le risorse.

  15. Paolo

    concordo con le precise osservazioni da Voi fatte, ed aggiungo che, nel calcolo dei risparmi o presunti tali, derivanti dalla soppressione delle Provincie, bisogna considerare che i servizi attualmente erogati non verranno (almeno spero) tolti, ma semplicemente gestiti dalle Regioni o dai Comuni.
    Quindi, a fronte di una riduzione di spesa degli organi politici, la spesa per il personale rimarrà uguale o sarà maggiore in quanto i trattamenti economici del personale provinciale nell’ambito pubblico sono tra i più bassi.
    E tra i servizi che, tra competenze proprie e delegate dalla Regione, le province erogano, posso citare la vigilanza ambientale in materia di fauna (con competenze diverse da quelle della Forestale) e pesca, gestione degli uffici del lavoro, manutenzione dei fabbricati di proprietà delle Province adibiti a scuole secondarie superiori, caserme dei carabinieri, prefetture, servizio provinciale biblioteche, progettazione e manutenzione (in taluni casi gestita da s.p.a.) delle strade provinciali, uffici di informazione turistica, programmazione territoriale con coordinamento dell’attività dei comuni, difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente e prevenzione delle calamità, vigilanza e controllo per le emissioni di industrie, viabilità e trasporti.
    L’ambito territoriale di azione è poi quello risultante da decenni di “assestamento normativo” nelle varie materie di competenza, ne troppo piccolo (Comune), ne troppo grande (Regione o Stato), in modo tale che l’organizzazione concreta delle attività non sia troppo frammentata o troppo centralizzata.
    Ritengo poi che una riforma dell’organizzazione dello Stato, vada fatta in modo organico, trasparente, e con chiare valutazioni dei costi e dei benefici. Procedendo invece senza un progetto preciso e in modo disordinato, come soprattutto in questi ultimi vent’anni, la mia impressione è che si producano più danni che benefici.

  16. Achab

    @Serena Sileoni

    Bisogna osservare , tra l’altro, che esistono deprecabili spinte per la ulteriore “proliferazione” di nuove Regioni, come se non fossero anche troppe quelle già esistenti. In particolare il Salento (Taranto, Brindisi, Lecce) che formerebbero una regione distinta dalla Puglia e la Romagna (Forlì-Cesena, Rimini, Ravenna) che formerebbero una Regione distinta dall’Emilia. Ma non è finita, ci sono spinte per il Molisannio, la Moldaunia, il Sannio-Irpinia-Cilento, la Grande Lucania, la Regione Mediterranea (Reggio Calabria e Messina, regione che, per di più, dovrebbe anche essere anche a Statuto Speciale).

    Io credo che il livello legislativo regionale poteva – forse – avere un senso nell’Italia del dopoguerra prima della costituzione dell’Unione Europea. Oggi non ha più senso avere un livello legislativo regionale, specie con la dimensione e la popolazione che hanno alcune Regioni (cito ad esempio: Valle d’Aosta, Liguria, Molise, Basilicata, Umbria); oggi, semplicemente. non ce lo possiamo più permettere. Io rinuncerei volentieri alla mia Regione (intesa come come istituzione) se potessi andare ancora in pensione con il sistema pensionistico appena cancellato.

    Oggi, forse, può avere ancora un senso mantenere alcune Regioni a Statuto Speciale per motivi : geografici (Sicilia e Sardegna), etnico – linguistici (Valle d’Aosta, Trentino – Alto Adige, Friulli V.G.), di opportunità politica ( Trentino – Alto Adige) ed anche per motivi costituzionali (Sicilia). Ma tutte le altre Regioni a Statuto Ordinario potrebbero benissimo essere soppresse, con grande beneficio per i conti pubblici e, conseguentemente, per il rapporto debito/PIL.

    Al Massimo vedrei 4 Regioni “alla francese” – quindi non dotate di alcun potere legislativo (Nord Ovest – Nord Est – Centro – Sud), che affianchino le 5 regioni a Statuto Speciale, le quali abbiano la funzione di:
    – coordinare i livelli operativi sottoordinati rappresentati dai comuni e dalle province
    – gestire la sanità in un quadro di riferimento normativo nazionale
    – fungere da “catena di trasmissione” e di coordinamento delle istanze della periferia verso il centro.

    E’ ancora opportuno sottolineare che le Province – in quanto più “antiche” delle Regioni – costituiscono il riferimento territoriale per numerose attività e servizi, quali ad esempio : Ispettorato Agrario, Ispettorato del Lavoro, Comitati Provinciali della Croce Rossa, C.A.P.,Comandi Provinciali: dei Carabinieri, dei Vigili del Fuoco, della Forestale, della Guardia di Finanza, i P.R.A., le Capitanerie di Porto, le Agenzie delle Entrate, le Agenzie del Territorio, le Prefetture (sulla cui utilità nutro seri dubbi), le Commissioni Tributarie, le Camere di Commercio, le Questure ecc. ecc. ecc.

    La ripartizione Provinciale, poi, è utilizzate nella classificazione delle strade ( esistono strade provinciali ma non mi risulta che esistano strade regionali), nella documentazione anagrafica (… nato a ….. in provincia di ….. non mi risluta che in nessun documento sia indicata la Regione di nascita). Cosa vogliamo fare ? Cambiare tutti i cartelli stradali che indicano le strade provinciali, le carte stradali , le carte di identità.

    Le ricadute negative nella modifica dell’articolazione dello Stato sarebbero minori se si sopprimessero le Regioni a Statuto Ordinario, piuttosto che le Province.

    Rimango della mia idea: questa “soppressione strisciante” delle Province è negativa e, complessivamente, è destinata a creare molti più problemi di quanti non ne risolva e, inoltre, non produrrà risparmi apprezzabili ma, per lungo tempo, produrrà caos istituzionale.

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