Manovra Monti: liberalizzazione del commercio
Le reazioni alla manovra Monti, comprese quelle manifestate nella serie di post in questo blog, hanno sostanzialmente sottolineato il dato che nel decreto legge ci sono molti sacrifici, ma poche prospettive di crescita e sviluppo.Si salva da questo giu dizio un articolo che riguarda una questione solo apparentemente marginale e che, nel chicago-blog, è stata spesso affrontata: la liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali.
A partire dal 1998, il commercio al dettaglio è stato oggetto di una graduale riforma, a corrente alternata, verso una maggiore libertà di scelta dell’esercente circa gli orari di apertura e chiusura dei negozi.
In particolare, il decreto legislativo n. 114/1998 ha consentito una maggiore flessibilità nella scelta, da parte dell’esercente, degli orari di apertura e di chiusura al pubblico, imponendo al tempo stesso una serie di limiti, per cui l’arco temporale di apertura e chiusura doveva comunque rispettare la fascia oraria dalle ore sette alle ore ventidue, non poteva estendersi per più di tredici ore giornaliere e doveva comunque essere fissato nel rispetto della chiusura domenicale e festiva dell’esercizio e, nei casi stabiliti dai comuni, della mezza giornata di chiusura infrasettimanale. Di diritto i negozi potevano restati aperti i giorni festivi di dicembre e otto domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell’anno, mentre ogni altra deroga alla chiusura doveva essere concordata tra le organizzazioni di categoria e il comune. Solo i comuni ad economia prevalentemente turistica, le città d’arte o le zone del territorio dei medesimi potevano godere di una maggiore libertà determinazione degli orari di apertura e di chiusura, ma sulla base di scelte lasciate alla discrezionalità degli enti territoriali di riferimento.
Tale flessibilizzazione, con la quale il legislatore statale ha affidato un ruolo di primo piano alle regioni e agli enti locali nella modulazione degli orari, se rispettosa della competenza regionale in materia di commercio, si è tuttavia dimostrata poco coraggiosa, alla luce soprattutto di una tendenza da parte dei livelli territoriali di governo di limitare le possibilità di liberalizzazione offerte dal decreto legislativo.
Rispetto, dunque, a una certa rigidità dimostrata dalle regioni e dai comuni, il legislatore statale ha recentemente liberalizzato gli orari commerciali come misura per lo sviluppo economica, intervenendo tuttavia in via sperimentale e solo per le località inserite negli elenchi regionali dei luoghi a vocazione turistica e le città d’arte (art. 35, comma 6, decreto legge n. 98 del 6 luglio 2011, recante Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e convertito con modificazioni dalla legge n. 11 del 15 luglio 2011).
La manovra Monti completa questa prima tappa di definitiva liberalizzazione degli orari, estendendo e consolidando nel tempo la misura a tutti gli esercizi commerciali, a prescindere dalla loro ubicazione, come peraltro l’Istituto Bruno Leoni ha auspicato questa estate. Si tratta di una semplice riforma dalle grandi potenzialità, capace di dare un segnale di scossa all’economia,, ancorché piccolo, e di rispondere alle esigenze di vita dei consumatori.
Difatti, il costo delle rigidità italiane nella distribuzione commerciale è pari a 930 euro all’anno per famiglia. Complessivamente, il permanere di una struttura antiquata pesa per 23 miliardi di euro, pari al 2,5 per cento dei consumi totali delle famiglie (fonte: Cermes-Bocconi, Le aperture domenicali e festive della distribuzione moderna: quali benefici per i consumatori e il sistema economico?, maggio 2006). Inoltre, un recente sondaggio di IPSOS su un campione di 1000 persone (margine di errore compreso fra +/- 0,6% e +/- 3,1) ha rivelato che 8 italiani su 10 sono favorevoli all’estensione della liberalizzazione del commercio a tutti i comuni, non solo per favorire il commercio, ma, in maniera più determinante, per migliorare la qualità della vita dei cittadini, che hanno sempre meno tempo, specie nelle città più grandi, da dedicare a queste attività quotidiane spesso necessarie.
Ben venga, dunque, questa riforma a costo zero contenuta nella manovra, pur sapendo che forse dovrà affrontare la reazione delle regioni, in genere sospettose verso una piena liberalizzazione del commercio, nei termini soprattutto di un ricorso alla Corte costituzionale per menomazione della loro competenza in materia di commercio.
Oltre alla liberalizzazione in materia di orari, la manovra interviene anche a ribadire che la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi natura (esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente e dei beni culturali) costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale e chiede pertanto alle regioni, in virtù delle loro competenze, di adeguare la propria legislazione a tale principio. Si tratta di un passaggio fondamentale per la completa liberalizzazione del commercio, sul cui successo tuttavia è lecito nutrire qualche dubbio, data la prassi delle regioni di reintrodurre limiti e vincoli al commercio proprio attraverso la gestione del territorio e le politiche urbanistiche.
…perfetto,ora,potrò tenere aperto il mio negozio 20 ore al giorno…peccato che manchi la materia prima….I CLIENTI!!!
Inutile tentativo,fatto a fine corsa!La festa è finita.
“il costo delle rigidità italiane nella distribuzione commerciale è pari a 930 euro all’anno per famiglia. Complessivamente, il permanere di una struttura antiquata pesa per 23 miliardi di euro, pari al 2,5 per cento dei consumi totali delle famiglie (fonte: Cermes-Bocconi, Le aperture domenicali e festive della distribuzione moderna: quali benefici per i consumatori e il sistema economico?, maggio 2006)”
Riforma a costo zero in un contesto di “soldi zero” per le ulteriori tassazioni, nel contesto attuale tenere aperto di più è più un costo che un guadagno, l’analisi del 2006 io la vorrei quindi rivedere nel contesto attuale e in previsione futura nel breve e medio periodo.
Certo, serve comunque una diversificazione dell’orario, ma stiamo attenti anche ai costi sociali, conosco tante famiglie che non riescono a stare con i figli nel weekend, provate in queste condizioni a stare con i figli quando fanno qualche gara sportiva.
Non è compito dello Stato limitare la possibilità di lavorare, faccio il commerciante in un contesto in cui la concorrenza è a tutto campo e lo trovo stimolante, l’unica cosa che non sopporto sono i “costi impropri” dovuti alla rigidità nel mercato del lavoro e delle professioni.
Io sono contro il fatto di far diventare (con le aperture nei giorni festivi) la domenica come un giorno qualsiasi , perché credo che ci siano dei capisaldi della nostra cultura che vanno tutelati: è si necessario fare spazio al nuovo ma bisogna trovare un modo perché questo non avvenga a scapito di importanti valori sociali e per chi crede anche religiosi.
Sono anche buone tradizioni che fanno parte della nostra identità e che credo debbano essere salvaguardate dall’invasione di una mentalità consumistica.
Una comunità vera si difende anche con l’affermazione di principi condivisi.
Nelle domeniche e nelle feste si devono “consumare” soprattutto i beni relazionali tra le persone, prima ancora che acquistare quelli materiali.
l’unico commento possibile : era ora!
Io ho una paninoteca al centro di roma
Se posso stare aperto la notte incasso di
Più!!viva monti!!i vigili mi hanno
Ammazzato per farmi chiudere la notte!
E come campo!!se io voglio lavorare e
Dare lavoro xke nn poterlo fare????per
Due bicentenarie miliardarie che se ne
Sbattono della crisi che mi abitano
Sopra e chiamano la polizia perche sentono
Rumore??!!!che spendessero due lire per mettersi
Vetri doppi!!
a tutto vantaggio delle grandi catene di distribuzione, che sfruttando il precariato con contratti da fame, ed orari a dir poco scellerati, (qualcuno di voi sà che tipo di contratto hanno?) possono restare aperti 24 ore al giorno su 7 giorni settimanali.
In questi commenti hanno tutti ragione, ha ragione claudio quando dice che “non è compito dello stato limitare la possibilità di lavorare”, ha ragione Pastore Sardo riguardo i “costi sociali”, sfido a mantenere un’attivita commerciale familiare aperta 24h/24, impossibile, ed infine Alessandro: aperti 20 ore al giorno per quanti euro di incasso? credo che il tentativo di liberalizzazione “selvaggia” sia quanto di più sbagliato ci possa essere.
attenzione signori.
ma cos’altro c’è da liberalizzare nel commercio? ormai tutti possono vendere tutto, aprire lo stesso negozio a 10 metri da un altro,gli ipermercati e la gdo vende ogni genere di prodotti dalla pasta all’elettrodomestico all’ abbigliamento ai chiodi!! Nelle città esistono solo catene , i negozi aprono e chiudono nell’arco di pochi mesi che senso ha liberalizzare gli orari se non ci sono clienti, le liberalizzazioni portano soldi solo ai più forti creando monopoli invincibili e riducendo al lastrico piccoli commercianti con tutte le loro famiglie ..E’ UNA VERGOGNA IN QUESTO PAESE L’ATTENZIONE E’ SOLO PER IL CONSUMATORE O MEGLIO PER SPINGERE IL CONSUMATORE A COMPRARE ( NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE LOGICAMENTE) MA PER CHI LAVORA , PER CHI HA UN’IMPRESA COMMERCIALE E CON QUELLA DEVE MANTENERE UNA FAMIGLIA NON ESISTE NESSUN INTERESSE , se i commercianti chiudono i negozi chi compra ?? solo i dipendenti statali gli unici che non sono mai sfiorati!
Ma non fate ridere per favore; presentare un dato del 2006 (2 crisi sistemiche fa) relativo a “23 miliardi di euro” di costo per le chiusure domenicali è assolutamente insignificante AD OGGI.
Sarebbe interessante sapere poi tra gli 8 italiani su 10 che sono favorevoli alle aperture (ci credo…a loro non cambia nulla!) quanti in realtà non sono riusciti a comprarsi qualcosa perchè hanno trovato i negozi chiusi.
Intanto la grande distribuzione si frega le mani…con i contratti domenicali per gli studenti/cassieri.
Da lavoratrice del settore commercio faccio sinceramente fatica a comprendere quali sono le motivazioni sociali, ideologiche, politiche ed etiche che guidano le deroghe di apertura domenicale dei negozi. Mi riferiscono sopratutto alle selvagge aperture domenicali dei centri commerciali sulle quali si susseguono allarmanti voci di aumento.
Negozi ormai intesi come servizio di essenziale utilità, alla stregua di un pronto soccorso.
Pronto soccorso di questo consumismo che permea le giornate festive delle famiglie che si trascinano in mausolei di plastica per trascorrere la domenica occupando il tempo dei lavoratori del commercio che in famiglia ci vorrebbero stare.
La domenica dovrebbe essere dedicata alla famiglia per chi durante la settimana lavorativa non ha la possibilità di starci sufficientemente.
Più richiami sono venuti in questa direzione anche da istituzioni religiose.
So benissimo che vi sono settori lavorativi ,come quello medico, dove le domeniche sono giorni come altri, ma li vi sono delle effetive e riconosciute necessità sociali primarie.
Ma che valore sociale ha tenere aperto un negozio di Calzini o di profumi alla Domenica?
In paesi come la Germania, L’Austria, la Svizzera la stessa Francia la maggioranza dei paesi scandinavi le domeniche i negozi sono chiusi e le economie di certo non ne risentono, i tedeschi non muoiono certo di fame se il supermercato è chiuso e l’economia non se la passa di certo peggio che la nostra.
Cordiali saluti.
D’accordo per la liberalizzazione, non per l’apertura indiscriminata. Per i piccoli e medi commercianti chi sopporterà il costo derivante dal prolungarsi dell’orario di apertura??
io che lavoro in un centro commerciale, cosa faccio?? non vivo più… con la crisi, hanno ridotto il personale e di conseguenza i pochi rimasti devono coprire i turni; vorrebbe dire non avere più tempo libero per la mia vita e per la mia famiglia!
Ma se noi che lavoriamo nel commercio DOBBIAMO dare un servizio a 360 gradi, mi chiedo……..perche’ NON sono a tenuti a dare lo stesso servizio le poste, le banche,gli uffici di comuni, province e regioni, le farmacie comunali ???????? perche’ SOLO noi DOBBIAMO rinunciare a stare con la nostra famiglia e i nostri figli ????? per pochi euro in piu’ ????? i sindacati sono vergognosi nessuno ha mosso un dito contro questa decisione scellerata che portera’ l’apertura selvaggia, a discapito dei piccoli commercianti che non riusciranno a stare a ruota dei centri commerciali e quest’ultimi faranno fare turni allucinanti per coprire i vari turni (come del resto gia’ succede) turni di 9 ore senza pausa (ti dicono o cosi’……………altri non possiamo assumere, straordinari non pagati e non fatti recuperare) figuriamoci dopo.GRAZIE ministro Monti forse sarebbe meglio lei continui a fare il professore e non sicuramente a € 1000 al mese.
Per quanto riguarda la liberalizzazione degli orari dei negozi sono d’accordo, anche per i taxi che non dovrebbero essere un lusso visto la carenza di parcheggi, il traffico ecc.
Trovo assurdo che siano state pagate licenze così alte, ma chi le ha pagate dovrebbe essere a mio avviso in qualche modo indennizzato, liberalizzando invece i nuovi entrati. Per quanto riguarda le professioni deve invece esservi un grosso equivoco.Le agenzie di rating e i mercati si sbagliano tutti quanti. Grecia Spagna e Italia sono in realtà all’avanguardia perchè hanno un numero di avvocati e medici circa doppio se non di più di Gran Bretagna Germania e Francia. Sarà proprio così? Non sarebbe meglio invece toglierci da questa compagnia ?
L’articolo fà riferimento a dati vecchi e non attinenti all’attuale realtà. L’italia è in recessione con diminuzione del Pil – 0,4%, come sono in calo i consumi delle famiglie (fonte ISTAT 15/02/2012). In questo quadro a cosa serve una maggiore liberalizzazione degli orari? il commercio necessita regole certe, che rispettino sì, le esigenze dei cittadini consumatori, ma anche i diritti dei dipendenti, e dei proprietari di piccoli negozi , che si trovano ad
affrontare forti difficoltà a trovare tempi e modi per conciliare concretamente vita privata e lavoro. La liberalizzazione del commercio, oltre ad essere incostituzionale, in quanto invade prerogative delle regione, è un regalo alla grande distribuzione, che attraverso contratti precari, non avranno problemi ad effettuare anche aperture 24 ore su 24. I problemi maggiori sono per i piccoli negozi, che non potendo competere con i grandi, saranno costretti alla chiusura. Io ho un negozio in un centro commerciale che ha deciso l’apertura di 365 giorni, e come risultato abbiamo avuto solo un’incremento dei costi di gestione, mentre rileviamo un calo di presenze ed incassi. presto molti di questi negozi chiuderanno…pensate poi che i clienti abbiano avuto un beneficio da queste aperture? No perchè i maggiori costi vengono scaricati sulla merce, e quindi non si ottengono risparmi per i clienti.
Vedo che questo argomento è stato beatamente fatto cadere nel dimenticatoio. Utilità pratica prossima allo zero (come la liberalizzazione dei taxi del resto).
Sarei curioso di sapere se il punto di vista della Dott.sa Sileoni sia cambiato.