L’uomo nuovo
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Carlos Di Bonifacio
Tra le diverse idee e aspirazioni ideologiche elaborate nel secolo scorso dai teorici di corrente marxista leninista poche hanno avuto una ripercussione così vasta e importante su tante vite umane come la credenza nella costruzione di un uomo nuovo. I rivoluzionari, i quali pensavano che la società capitalista si basasse su valori e principi totalmente sbagliati, concentrarono i loro sforzi fisici e intellettuali nel tentativo di trasformare, attraverso la violenza e la propaganda, la società da capitalista e borghese in una società senza distinzioni di classe.
Parte essenziale di questa trasformazione sociale era per loro la creazione di quello che veniva chiamato l’uomo nuovo. Cioè la soppressione attraverso mezzi coercitivi fisici e mentali di quella parte della natura umana propensa allo scambio, all’individualità e all’esercizio della libertà, per poi essere sostituita da un’altra “natura” umana, di carattere collettivo e artificiale, basata non più su valori capitalisti e borghesi ma su valori e orientamenti considerati, dalla dottrina rivoluzionaria e dai suoi promotori, come necessari per creare e mantenere una società comunista.
Scriveva un famoso filosofo italiano che mentre un religioso vuole modificare la società attraverso l’uomo, il rivoluzionario vuole rifare l’uomo attraverso la società. Più che la società, il rivoluzionario vede nello Stato il suo strumento per creare un nuovo uomo. Uno Stato che, attraverso tutti gli strumenti che la modernità permette, si intromette in maniera totalizzante in tutti gli aspetti della vita privata per controllarla e modellarla: sia nel mondo fisico e tangibile (la vita economica e in società) sia nel mondo mentale ed emozionale (rispetto alle nostre idee) facendo diventare l’individuo non più un creatore di cose prodotte dalle proprie capacità ma un semplice servo di una volontà superiore.
In questi tentativi, diverse volte verificatisi nella storia, all’uomo era strappata la sua capacità di pensare e agire. Il vuoto mentale veniva così riempito da un insieme di dogmi, slogan e formule. In questo modo, l’uomo perdeva, come avrebbe detto Kant, il coraggio di servirsi della sua propria intelligenza.
I nordcoreani, per esempio, credono nella sacralità e divinità di un uomo piccolo e paffuto. I cubani vivono oggi tra la fame e la miseria, senza mai interrogarsi sulla bontà e la generosità della loro Revolucion, mentre i cinesi assicurano, convintamente, che vivono sotto un regime di libertà e democrazia. Sembra che la vecchia frase della distopia orwelliana (La guerra è pace, la libertà è schiavitù e la ignoranza è forza) non abbia mai perso la sua attualità.
Ma, anche se sono stati portati avanti innumerevoli tentativi di costruire questa astrazione utopica usando come scusa quella sedicente unica e vera scienza della società, l’uomo nuovo non è mai riuscito a dare niente di più che pene e delusioni. L’uomo nuovo, a cui è stata tolta la sua essenza, la sua libertà, la sua ambizione e la sua intraprendenza non poteva essere altro che terreno fertile per la costruzione di società decadente, arretrata e miserevole. Nel passato un pensatore come Wilhelm Von Humboldt aveva già avvertito sui pericoli insiti nel sopprimere l’individualità: una società senza la dialettica tra individui e senza il costante rapporto tra di essi, dominata da una uniformità e uguaglianza assolute non sarà altro che una società condannata a seppellire qualsiasi barlume di progresso.