13
Apr
2020

Luciano Pellicani, il sociologo che difendeva la società aperta

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Nicola Iannello

Luciano Pellicani è stato un protagonista discreto della cultura italiana degli ultimi cinquant’anni. Tenutosi lontano dai riflettori, ha sempre preferito riversare la sua personalità in libri, convegni, presentazioni e incontri, in cui teneva banco con la sua cultura sterminata e le sue doti di affabulatore. Sociologo di formazione, il suo sapere spaziava in tutte le discipline delle scienze umane, grazie a una capacità di lettura e di memorizzazione fuori dal comune. I suoi interessi sono stati molteplici, ma hanno sempre ruotato intorno alle ragioni del socialismo: Pellicani ha fatto parte di quella generazione di intellettuali che hanno vissuto all’ombra del marxismo, o da simpatizzanti o da avversari. Una vicenda che lo colloca al fianco di Domenico Settembrini, con il quale ha condiviso la battaglia contro il marxismo in anni in cui non era comodo prendere questa posizione.

Andato in cattedra a Napoli, Pellicani ha legato poi il suo insegnamento alla Luiss ‘Guido Carli’ di Roma, dove ha anche diretto la Scuola di giornalismo. Dopo il pensionamento – amici, colleghi e allievi gli hanno dedicato un Festschrift –, ha continuato a insegnare nell’ateneo di cui è diventato professore emerito.

Pellicani ha avuto il merito di frequentare autori poco conosciuti in Italia. Uno dei suoi primi studi si è incentrato sull’opera di José Ortega y Gasset. Negli anni della casa editrice SugarCo, il sociologo pugliese ha contribuito alla riscoperta di un italiano negletto come Guglielmo Ferrero. Ma al nome di Pellicani è legata la più importante operazione di cultura politica della storia repubblicana. Nel 1978, un famoso articolo su “L’Espresso” a firma di Bettino Craxi – da due anni segretario del Psi – invitava la sinistra a rivedere il proprio pantheon, preferendo il riferimento al socialismo libertario e federalista di Pierre-Joseph Proudon al comunismo ortodosso di Marx. L’autore di quell’articolo era Pellicani. Si trattava di un tentativo di modernizzare la sinistra italiana, in quegli anni ancora succube di idee sopravvissute a se stesse; da un punto di vista più concretamente politico, l’intento era quello di riequilibrare i rapporti di forza tra Pci e Psi, operazione legata al nome di Craxi e che forse del craxismo rappresenta il fallimento più lampante, anche se da lì a poco più di un decennio il Pci sarebbe scomparso. Pellicani si è tenuto lontano dagli aspetti più folkloristici e meno encomiabili di quell’Italia “da bere”, limitandosi alla direzione di “MondOperaio”, rivista allora attivissima.

E proprio nel tentativo di sottrarre il socialismo alle sirene del marxismo teorico e realizzato si sostanzia il contributo di Pellicani al dibattito culturale. Miseria del marxismo si intitola un suo volume del 1984, il cui titolo trasparentemente esempla il duello intellettuale tra Proudhon (Filosofia della miseria, del 1846) e Marx (Miseria della filosofia, del 1847); il sottotitolo Da Marx al Gulag fa comprendere come Pellicani ritenesse che il frutto del totalitarismo fosse già in germe nel pensiero del filosofo tedesco. Proprio l’analisi delle radici religiose e messianiche del marxismo è stato il terreno di elezione degli studi di Pellicani, che all’importanza della secolarizzazione ha costantemente richiamato l’attenzione degli studiosi.

La più importante opera sociologica dell’intellettuale pugliese è il Saggio sulla genesi del capitalismo, del 1988, ripubblicato poi in versione accresciuta nel 2013 come La genesi del capitalismo e le origini della modernità. La tesi di Pellicani – in polemica con quella economicistica di Marx e quella di stampo culturale-religioso di Max Weber – consiste nel dare rilievo alla frammentazione politica dell’Europa come condizione favorevole allo sviluppo dell’economia capitalistica; una tesi che si inserisce nel solco tracciato da Adam Smith con la sua idea di “anarchia feudale” e da Jean Baechler nel prezioso e agile Les origines du capitalisme del 1971, meritoriamente riproposto in nuova traduzione dall’Istituto Bruno Leoni nel 2015. La genesi del capitalismo spiegata in virtù delle istituzioni che rendono possibile lo sviluppo economico autopropulsivo.

Moltissime le pubblicazioni di Pellicani, tante tradotte nelle maggiori lingue di cultura. Tra le sue opere più note Dinamica delle rivoluzioni, Le sorgenti della vita. Modi di produzione e forme di dominio, Dalla società chiusa alla società aperta, Anatomia dell’anticapitalismo, La società dei giusti. Parabola storica dello gnosticismo rivoluzionario, L’Occidente e i suoi nemici, Jihad: le radici.

Chi lo ha conosciuto ricorderà il fascino della sua erudizione misto al gusto del racconto di aneddoti e barzellette, oltre alla grande passione per il Milan, di cui conosceva a memoria tutte le formazioni storiche.

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