Luca Ricolfi, l’università e l’impossibile “meritocrazia di Stato”
In Illusione italiche (edito da Mondadori) l’ottimo Luca Ricolfi ha pubblicato in volume i suoi micro-saggi già apparsi su Panorama nella rubrica “Fatti & credenze”. Si tratta di analisi che mostrano come esista una sociologia a base empirica che è in grado di offrire utili spunti di riflessione, spaziando dalla criminalità alle imposte, dall’immigrazione al federalismo, dal Mezzogiorno all’istruzione, e via dicendo.
In uno di tali “esercizi di disincanto”, come l’autore li chiama, viene presa in esame la difficile situazione degli atenei italiani. Il pezzo era stato scritto a commento del decreto-legge 180 dei 10 novembre 2008, con cui si iniziava a introdurre qualche elemento meritocratico nell’assegnazione dei fondi per le università. L’idea dell’autore è che “i fondi dovrebbero essere distribuiti premiando gli atenei ‘virtuosi’ e punendo quelli ‘viziosi’” e che per definire questa distinzione tra buoni e cattivi atenei si debba tenere in considerazione sia l’efficienza nella gestione (i conti in ordine) che la qualità dei servizi (didattica e ricerca).
Fin qui tutto bene, se non fosse che l’Italia è l’Italia. Utilizzando informazioni e studi di notevole affidabilità, infatti, Ricolfi giunge alla conclusione che – grosso modo – possiamo dividere le nostre università in quattro gruppi: un primo gruppo (prevalente in Lombardia) è caratterizzato da qualità e alta efficienza; un secondo gruppo (prevalente nel resto del Nord) unisce qualità e media efficienza; un terzo gruppo (tipico delle regioni “rosse”) unisce qualità e bassa efficienza; e, infine, un’ultima categoria (le università del Mezzogiorno) è caratterizzata da poca qualità e media efficienza.
Stante così le cose, adottare un sistema meritocratico vorrebbe dire in buona sostanza premiare le università settentrionali a scapito di quelle del Centro e del Sud. Ma è possibile? Nel senso: è politicamente possibile questo trasferimento di risorse a favore delle aree più ricche e già ora con i servizi universitari migliori? Non mi pare sia così.
Considerato nel suo insieme, l’intervento pubblico è sempre redistributivo e anche se segue le logiche più strane, nel suo insieme si giustifica (o prova a giustificarsi) sulla base di logiche solidali. I flussi del Welfare State sono i più contorti, ma non possono palesemente adottare lo stile di un Robin Hood alla rovescia. Nei fatti, accade di continuo, ma non può avvenire per decisione aperta e consapevole. Si fa, ma non si dice. Soprattutto quando si deve fare i conti, come in questo caso, con aree territoriali ben delimitate e con quelle tensioni molto forti che la retorica delle celebrazioni dei 150 anni d’Unità non è certo in grado di cancellare.
La mia impressione è che in Italia un finanziamento statale meritocratico delle università, oltre a incontrare tantissimi scogli (a partire dalla difficoltà a definire la qualità, ad esempio, della ricerca), sbatta fatalmente anche contro questa perenne controversie sulle molte Italie e, in particolare, sull’opposizione Nord – Sud. Forse converrebbe immaginare, seguendo la proposta formulata nel 1988 da Franco Romani (“Un po’ di anarchia nel cuore dell’Accademia”), un finanziamento pubblico semplicemente legato al numero degli iscritti, oltre che – aggiungo io – un aumento delle rette versate dalle famiglie (che apra spazi a soggetti privati, specie stranieri) e un incremento delle borse di studio e dei prestiti d’onore.
Bisogna insomma dirigersi verso il mercato, lasciando che sia esso a favorire la concorrenza e il merito. Altre direzioni appaiono difficilmente percorribili.
In effetti Ricolfi è uno con i piedi per terra. Non credo “ciecamente” a quanto dice: ne seguo i ragionamenti, sempre piuttosto chiari, e in genere concordo con quanto ottiene.
Per quanto riguarda l’università italiota temo che non ci sia molto da fare, a parte forse l’abolizione del valore legale delle lauree, cosa che provocherebbe uno svuotamento delle università che preparano meno.
Il problema, personalmente, lo risolverò, se possibile, mandando i miei figli a studiare all’estero.
A proposito di meritocrazia, visto che siamo in tema e non ho trovato modo di esporre questo mio dubbio in una vetrina più adatta: ma a chi è venuto in mente di proporre nel CHICAGOsondaggio Montezemolo come sostituto di Scajola? Perché proprio lui, solo perché parla di meritocrazia? Si fosse chiamato Cacace sarebbe dov’è?
Forse per la sua competenza dimostrata come manager “pubblico”: vedere ad esempio l’organizzazione dei Mondiali di calcio del 1990.
O gli ottimi risultati raggiunti con la sua gestione della Juventus.
Ho letto anche che era anche nel consiglio di Citibank prima della crisi, sbaglio?
E non tiratemi fuori la Ferrari, che non vince più da quando Todt e Schumacher se ne sono iti.
Gentilmente, e detto senza ironia, ditemi cosa ha fatto di buono per giustificare lo stipendio che ha incassato.
E per quale motivo oscuro potrebbe essere utile al nostro Paese.
Non mi sembra che come presidente di Confindustria abbia ottenuto risultati se non per sè stesso.
Sbaglierò ma quando si toglierà gentilmente di torno (andando in pensione intendo) sarà sempre troppo tardi.
“ma a chi è venuto in mente di proporre nel CHICAGOsondaggio Montezemolo come sostituto di Scajola?”
Perché è un sondaggio, se ci fosse una sola opzione staremmo in Bulgaria. 🙂
Io no bulgàro! Io capito!
Semplicemente, non c’erano altri nomi?
Perché proprio LUI, che dice che in politica ci entrerà in un’altra vita (e in realtà non vede l’ora di avere onori, possibilmente senza oneri).
Dal canto mio esprimevo una disistima che non credo sia poco diffusa.
Ripeto, in concreto e senza ironia: cosa ha fatto nella sua vita che possa garantire che sia all’altezza di un incarico così importante?
Non ne penso male solo per il fatto che sono juventino, ma proprio perché lo ritengo un paraculato di primo grado, uno di quelli del salotto buono che non ne vengono estromessi nemmeno se fanno più danni delle sette piaghe d’Egitto. Ed è in buona compagnia, se è per quello.
Magari sarò irrazionale, ma mi sta proprio sul “gozzo”. Scusa.
@Carlo Lottieri:
> a partire dalla difficoltà a definire la qualità, ad esempio, della ricerca
Ma in realta’ non e’ poi cosi’ difficile: basterebbe fare come negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Ci sono dei parametri, come l’ “impact factor”, che sono fissati a livello internazionale e servono a fissare la qualita’ d’una pubblicazione.
In questo modo, chi fa tante pubblicazioni e/o su riviste molto prestigiose, e’ considerato come ricercatore di Serie A. Chi ha una pubblicazione ogni 5 anni, su riviste del piffero, viene considerato di Serie C2.
In mezzo vanno definiti gli altri livelli…
Ad ogni modo, sul tema invito tutti a leggere il bel libro “L’universita’ truccata” di Roberto Perotti:
http://bit.ly/aFK9gj
@ dave
Continuo a restare molto scettico per due ordini di motivi.
Il primo è di ordine generale, e cioè che in questi sistemi di valutazione è la “scienza normale” (usando la terminologia di Kuhn) a giudicare la “scienza rivoluzionaria”. Spesso gli innovatori sono isolati e non del tutto compresi. Nei Paesi anglosassoni questo si vede molto bene in talune discipline, e spesso si mescola con considerazioni di ordine ideologico. Un giovane economista brillante di 25 anni che si scopra interessato alle tematiche “austriache”, ad esempio” è di fronte a un bivio: o coltiva queste idee in maniera “esoterica” (per i fatti suoi), dandosi un profilo mainstream che gli permetta di accedere alle riviste più “prestigiose” e alle migliori università; oppure si automarginalizza.
C’è poi una seconda questione tutta italiana, perché già abbiamo esperienze di “valutazioni oggettive” all’interno della realtà italiana: ad esempio per i progetti di ricerca. E fanno ridere. Gli italiani hanno sempre amici, compari, fratelli di loggia, correligionari, parenti, alleati di baronia, ecc.
Mi creda: meglio il mercato.
Invece è vero che l’Università è *in parte* come un ente territoriale, tipo la Regione. Cosa facciamo, finanziamo di meno la Regione Puglia rispetto al Veneto perchè in Puglia non hanno prodotto abbastanza leggi, o litigano per le escort?
L’istruzione superiore non è assimilabile in toto, nè è assimilata, ad un servizio in regime di mercato anche perchè è fortemente collegata, e serve, un territorio e non solo degli studenti (che peraltro gli aforismi bocconiani vorrebbero mobili almeno quanto gli alfieri del gioco degli scacchi, mentre non è così).
@Carlo Lottieri
Si’ ma vede l’ipotesi del mercato non passera’ mai in Italia, almeno nei prossimi 50 anni: m’immagino gia’ milioni di studenti ultratrentenni al decimo anno fuori corso al corso di laurea in Scienze della Pace che invadono le piazze e le istituzioni contro la “mercificazione” dell’istruzione…
E figuriamoci se i politicanti decidessero di eliminare qualche corso di laurea o qualche universita’: perderebbero troppi voti.
Bisogna essere realisti.
Non so come funziona negli studi economici, ma per quanto concerne gli studi scientifici, ci sono criteri abbastanza chiari sul prestigio e l’importanza d’una pubblicazione. Chi pubblica su Nature o su Science probabilmente non ha fatto un brutto lavoro. Si potrebbe dare a costoro un punteggio 100 su 100, per poi pensare a valutazioni infeririori per qualsiasi altra pubblicazione.
Concordo con @Dave: per le materie tecnico-scientifiche (ma anche quelle umanistiche serie) non sarebbe difficile definire criteri/parametri sufficentemente affidabili.
Uno Stato “liberale” potrebbe poi aprire/creare una via (con sgravi fiscali etc.) al parziale finanziamento privato degli istituti di ricerca (come negli USA. Anche i questo modo si potrebbe promuovere un po’ di meritocrazia.
Ma il problema vero – irrisolvibile – rimane quello causato dall’espansione sabaudo-garibaldina di 150 anni fa – madre di quell’ipoteca storica insanabile che qualcuno continua a voler celebrare.
@ dave
Ridicolo dare i punteggi alle pubblicazioni e farci sopra delle classifiche ufficiali. Queste cose se le fanno i singoli, e chi vuole privatamente costruirsi le sue valutazioni personali.
Sui corsi di laurea: se in Gran Bretagna o negli Stati Uniti provi a dare ordini alle singole istituzioni per chiudere dei corsi, questi ti fanno fare un fugatone che devi scappare piu’ veloce di Bolt, altroche’.
La meritocrazia produce efficienza e l’uguaglianza fannulloni. Ma non sempre e non solo. La meritocrazia può aumentare l’ingiustizia sociale. Credo che la migliore filosofia politica sia una Neo-anarchia con gerarchie di meritocrazia, etica, giustizia e interesse sociale.