L’Opa francese su Parmalat e la risposta giusta
Tutti i media italiani rimbalzano la notizia dell’OPA lanciata da Lactalis su Parmalat come una “sorpresa”. Francamente, non capisco perché sorprendersi. Oppure si pensa che Lactalis dopo essere giunta al 28,9% del capitale di Parmalat attendesse pianamente e disciplinatamente un qualunque esito comprensibile del confuso assieparsi di soggetti italiani al tavolo Parmalat? E cioè della politica, la CDP e il Fondo strategico annunciato per parte pubblica, per parte privata banche e imprese concorrenti come Granarolo, o altri imprenditori chiamati a raccolta dalle banche in nome dell'”operazione di sistema” e in realtà disinteressati al core business. L’OPA non è affatto una sorpresa. A mio modo di vedere, esiste una sola modalità davvero corretta e utile, al’azienda e ai suoi soci come più estesamente all’Italia, per rispondere a questa francese, che è un’operazione di mercato a tutti gli effetti.
La modalità corretta è che a un’operazione di mercato si risponda con un’altra operazione altrrettanto e solo di mercato. L’ideale sarebbe dunque una contro OPA totalitatria a prezzi più elevati dei 3,35 miliardi complessivi offerti dai francesi: i margini dell’impresa, pur bassi visto ilo settore ma bassi anche per i prezzi della catena di fornitura italiana che tanto si difende malgrado la sua inefficienza da microfrazionamento dei capi di bestiame per azienda media fornitrice, sommati alla cassa per 1,4 miliardi messa insieme in questi anni con revocatorie e risarcitorie alle banche coraggiosamente intraprese da quel galantuomo di Enrico Bondi, giustificherebbero un ritocco del prezzo. Si può anche studiare un’Opa non totalitaria per l’ottenimento del controllo lasciando i francesi liberi di non conferire, ma certo sarebbe più limpida la prima strada.
Temo invece che si metta mano a risposte assai diverse. Cioè a un intervento comunque all’egida della politica, sostenuto da CDP o dal Fondo strategico di cui si è parlato in queste settimane. E’ una strada sbagliata.
Non l’ho scritto solo io su Panorama, settimane fa, che l’avvento di Lactalis nel capitale di Parmalat porta le impronte digitali di una grande banca italiana: l’ha scritto anche l’Espresso, e sul Sole Luigi Zingales. In queste confuse settimane, al capezzale di Parmalat a Banca Intesa si son affiancate la nuova Unicredit – versione Palenzona-Rampl – anch’essa “di sistema” archiviata la diffidenza verso tali accrocchi nutrito da Alessandro Profumo, nonché Mediobanca, che a dire il vero sin dall’inizio, quando i francesi annunciarono di controllare solo il 15% dei tre fondi esteri che avevano messo nel mirino Bondi annunciando una lista in vista dell’assemblea farcita di uomini vicini a Intesa, lavorava a un controblocco di soggetti italiani capaci in assemblea di cosnentire a Bondi di vincere la prova: ma questo, naturalmente, prima che i francesi annunciassero di aver quasi raddoppiato la propria quota. Senonché in queste settimane abbiamo assistito a sviluppi che personalmente – da critico da sempre quale sono della fusione Parmalat-Granarolo caldeggiata da Intesa – non mi hanno neanche loro sorpreso punto. Granlatte, la holding cooperativa che controlla Granarolo, come sappiamo da sempre non ha denari da investire, eppure contava di essere lei ad acquisire Parmalat, attraverso capitali bancari per un verso e con la garanzia degli strumenti pubblici annunciati dall’altra. La ragione della mia diffidenza verso quest’operazione, prima che la contrarietà a interventi pubblici impropri, sta nel fatto che la catena di fornitura di Granarolo è gravata anch’essa da inefficienze comparate di costo dovuto a microfrazionamento. Oltre al fatto che una fusione di questo tipo abbisogna di una nuova eccezione alla legge antitrust, come per Alitalia visto che il segno dell’operazione a chiusura del mercato interno sarebbe del tutto analogo.
Se si ha a cuore la crescita di Parmalat, la sua cassa va utilizzata per una crescita dove il settore è più profittevole, e cioè all’estero, in quei Paesi che sono caratterizzati da carenza di offerta invece che da eccesso – la Cina, per cominciare – e dalla possibiità di acquisire o realizzare per concentrazione farm di vasta produzione concentrata e con più bassi oneri ecoambientali di quanto sia possibile a casa nostra: dagli Stati Uniti al Canada – che non dimentichiamo è il primo mercato per quote nazioali dell’attuale Parmalat, mentre tutti credono che sia l’Italia – fino al Regno UNito che ha conosciuto una forte razionalizzazione del settore, questo tipo di crescita è oggi perseguibile. Tanto che erano queste, alcune delle ipotesi di crescita per acquisizione sul tavolo di Bondi nel recente passato. Ma, anche se lui è troppo riservato e galantuomo per dirlo, la politica lo ha scoraggiato, con l’argomento per il quale le coop, i sindacati, i media e l’opinione pubblica avrebbero preferito un’operazione “italiana”.
Immagino che ora molti – e prestigiosi media nazionali, con loro – diranno che a quella che verrà presentata come “provocazione francese” bisogna comunque rispondere. Che loro hanno salvato Danone grazie all’appiglio della tutela dei casinò di cui Danone era azionista, e che non sui vede perché noi a questo punto dovrenmmmo essere da meno. Che è come dire che siccome lo stile francese in materia è quello di De Funès e degli artifici statalisti da commedia dell’arte, allora è da persone serie rispolverare Totò “ma mi faccia il piacere, parli come badi e lei non sa chi sono io”.
L’Italia ha bisogno di capitali stranieri e non di respingerli, l’Italia ha molto investito in Francia e deve continuare a farlo, come nel resto del mondo perché la chiave per crescere sta nell’internazioalizzazione della nostra impresa che così diventa più competitiva, non nella sua chiusura arroccata nell’asfittica dimensione domestica.
Ma non ho alcuna fiducia che questa mia convinzione sia più che minoritaria o faccia breccia, dopo aver letto sul Corriere della sera ripetutamente che ocorre farla finita una volta per tutte con questo atomismo individualista e con questa visione di concorrenza nel controllo proprietario da finanza anglosassone, che avrebbe preso piede nel nostro Paese per colpa di liberisti lunatici da strapazzo. Quando poi non lo so, evidentemente mi ero addormentato e mi sono perso il bello, visto che continuiamo a essere senza pause un sistema statalista, a bassa concorrenza, e in cui anche i banchieri priovati utilizzana la voglia di revanscismo della politica per sistemare accortamente proprie partite. A mio avviso, naturalmente. Se è l’avviso di un cretino, ditelo voi.
Egregio Dottor Giannino,
Purtroppo non credo ci sia da stupirsi degli interventi dei giornalisti del Corriere quando ben sappiamo che Intesa San Paolo è uno dei maggiori azionisti di RCS.
Magari qualche giornalista del Corriere avesse il coraggio di affrancarsi dalla linea editoriale dettata dagli azionisti per sposare pubblicamente quella che a rigor di logica è la scelta più conveniente !
Non si capisce proprio dove stia lo scandalo se un imprenditore di settore decide di investire 3,3 mld di euro per acquisire un gruppo praticamente risanato dopo un enorme scandalo e rimasto senza azionisti di riferimento.Sarebbe stato sorprendente il contrario. Bondi ha fatto un ottimo lavoro e l’opa Lactalis lo conferma.
Secondo gli analisti ci potrebbe essere spazio per una contropa fino a 2,80 xaz.
Vediamo se ci sono imprenditori disponibili e sufficientemente dotati per provarci : di sicuro non saranno italiani, ma anche qui : dov’e’ la sorpresa ?
Lactalis strutturerà la gestione di Parmalat cercando di ricavarne le massime sinergie possibili con il proprio gruppo ed il proprio interesse. Perfetto.
Forse qualche allevatore leghista con mucche di età media di 80 anni dovrà cercarsi nuovi clienti.
Capita.
E’ il mercato, bellezza.
Caro dr. Giannino,
purtroppo il “provincialismo” è parte integrante del nostro sistema Paese, o meglio del “pensare” in modo arrocato stile no-global!
Condivido le sue osservazioni con un auspicio, ovvero quello di pensare anche alle pmi che tanto concorrono a creare ricchezza, ed ai supporti che ahimè, latitano!
L’unica possibilità corretta è quella che dice lei, caro Giannino. Se qualcuno ritiene di avere le spalle abbastanza grosse e ha la fiducia di ricavare adeguati margini non ha che da fare una contro OPA. Troppo semplice? No, logico e molto più economico (in ogni senso) di qualsiasi altra soluzione, più o meno abborracciata. Aggiungo che qualcosa mi dice che, purtroppo, non accadrà. Temo invece vi sarà un “intervento si sistema” (ma che cavolo vuol dire?), coordinato dal solito banchiere o, peggio ancora, dalla CDP, che avrà il solo risultato di annientare il mercato (anche) dal comparto lattiero caseario. Stendo un velo pietoso sui “giochetti” di bassa politica dirigistica connessi (Tremonti! Tremonti!) e sull’appeal che potrà ancora avere l’Italia per un investitore straniero. Sempre che ve ne fosse bisogno, naturalmente.
Ancora una volta Oscar Giannino usa semplicemente la logica conseguenza delle cose evitando di stupirsi per quanto accaduto oggi. Condivido anche che aprirsi al mercato europeo e mondiale (con le conseguenti alleanze strategiche) sia una delle principali leve che oggi le aziende di casa nostra devono utilizzare per garantire profitto agli azionisti e posti di lavoro. In un recente articolo sul Corriere, il professore Giavazzi sosteneva esattamente questa teoria citando quelle aziende italiane che operando tale scelta ora ne raccolgono i frutti (Delvecchio con Luxottica ad esempio).
Stamattina quando ho sentito la notizia del lancio dell’opa alla radio…scusate, ma ho goduto!!
Ma dopo Telecom e Alitalia, di cosa ci dobbiamo ancora stupire?
Cooncordo sul fatto che l’unica rispposta adeguata è di rilanciare sul prezzo. Chi offre di piu se la porta a casa. Ma sui modi e sui tempi ci sarebbe qualcosa da dire.
Annunciare un’OPA due ore prima dell’incontro Sar-Ber non il massimo della diplomazia, ma forse è stato voluto che andasse proprio cosi.
Per il resto, ad opa conclusa, non mi stupirei se fosse confermato Bondi alla guida.
1- Chi se ne frega di quello che pensano “coop, i sindacati, i media e l’opinione pubblica” e i politici aggiungerei..? Quando rischieranno i LORO soldi, cioè i loro risparmi e non i soldi che rubano impunemente ai contribuenti, allora avranno titolo per parlare e dovranno essere ascoltati, oggi gli unici che devono decidere sono gli azionisti, punto e stop! Anzi visto che normalmente sono contrari a tutto ciò che rende efficiente e competitiva un’impresa, la loro contrarietà è semmai un motivo in più per approvare l’operazione.
2- Nell’articolo si dimentica di dire che Granarolo è una società decotta e Banca Intesa è la sua socia e creditrice. Non mi sembra un particolare irrilevante. A casa mia si chiama come minimo conflitto di interessi se non furto! quando il creditore vuole recuperare i crediti inesigibili rifacendosi sugli attivi di altre società più solide, facendo pagare il conto agli stessi azionisti di Parmalat che ha già truffato in passato vendendo obbligazioni spazzatura e ciliegina sulla torta pretendendo anche di passare per il salvatore dell’italianità.
3- Per quale motivo Lactatis dovrebbe far entrare soci italiani senza soldi e senza idee e commissariati dallo stato, dai sindacati e dalle banche? Per far scena e accontentare i politici? per pagare rendite a qualche imprenditore della cricca che orbita attorno a Berlusconi e Tremonti? per impedire a Lactatis di gestire l’azienda come accidenti vogliono (d’altronde che diritto ne hanno rischiano solo i LORO soldi?)? Per imporre a Lactatis di comprare latte a prezzi elevati dagli allevatori italiani invece di comprarli da chi è più competitivo? Consiglio caldamente a Lactatis di tenere gli italiani fuori o piuttosto si faccia strapagare per uscire rivendendo le sue quote e magari pretendendo qualche assett industriale che gli interessa.
4- Il comportamento del governo in tutta questa faccenda è stato vergognoso (non che mi aspettassi di meglio da gentaglia come Tremonti.. anche se leggendo Giannino sembra il nuovo Adam Smith)! Ha danneggiato i soci, che erano già stati precedentemente danneggiati come obbligazionisti, impedendo alla Parmalat operazioni che ne avrebbero accresciuto il valore prima e impedendo in tutti i modi un opa ora! Danneggia inoltre tutti i consumatori restringendo la concorrenza e aumentando i prezzi proprio in un momento in cui i prezzi degli alimenti stanno crescendo. Il problema è che stavolta non deve vedersela con la piccola Irlanda (“salvataggio” Alitalia contro Ryanair) ma contro la Francia… non credo proprio che gli convenga! Lei Giannino come al solito si è guardato bene dal farlo presente! Se una porcata del genere l’avesse fatta Obama avrebbe gridato allo scandalo!
non c’è dubbio che l’Italia ha bisogno di capitali stranieri…
non c’è dubbio che la Francia è Protezionista in casa sua…
non c’è dubbio che i piccoli azionisti risparmiatori di Parmalat ci guadagneranno..
non c’è dubbio che la Depenalizzazione del Falso in Bilancio (fatta dal Tuo Silviuccio) ha aituato sia i nostri Tanzi che le Banche Straniere..
non c’è dubbio che le imprese sotto-patrimonializzate italiane pagano e pagheranno prezzi sempre più alti alla globalizzazione…
non c’è dubbio che almeno una delle 2 Banche di Sistema, coi bilanci rattoppati, prima o poi verranno acquisite pure loro..
non c’è dubbio che gli Allevatori Italiani (sia quelli onesti, sia quelli disonesti protetti dalla Lega Nord che ci fa pagare le Loro multe) subiranno un abbassamento del prezzo di acquisto del loro latte..
non c’è dubbio che gli Agricoltori Francesi, quelli che ricevono più di tutti gli aiuti agricoli della Ue, ne avranno un vantaggio…
non c’è dubbio che perderemo un’altra Sede Direzionale ed in Italia rimarranno gli Operai, qualche Impiegato… ed il mercato finale..
non c’è dubbio che tutte queste cose tra loro contrastanti sono purtroppo tutte contemporaneamente vere.. anche se poi ognuno schierato da una parte ne vedrà solo alcune e negherà le altre..
PS: Descartes… disse… Cogito Ergo Sum.. tutto il resto è Dubbio 🙂
Io credo che bisogna far chiarezza una volta per tutte: o si punta davvero ad una economia di libero mercato, dove la concorrenza regni sovrana e lo Stato si occupi di regolarne le dinamiche a tutto vantaggio dei cittadini-consumatori, oppure si accetta una buona volta che la politica possa intervenire, anche indirettamente, su alcune operazioni di mercato che riguardano imprese di importanza strategica nazionale. Non capisco perchè, ad esempioil governo avrebbe dovuto prendersi carico del contratto Fiat e non di Parmalat, o al contario, lasciare al mercato ogni prerogativa. Però, in questo caso, bisognerebbe eliminare del tutto la presenza pubblica nell’economia nazionale… e mi chiedo allora a cosa serva più un Ministero dell’Economia! E ancora, se nell’operazione di capitale intervengono due delle principali banche italiane, che sappiamo possedere partecipazioni in gran parte delle aziende strategiche nazionali, non stiamo forse spostando il problema dallo Stato ai “poteri forti”? E in questa ipotesi, cosa conviene di più al sistema paese? Chi difende meglio gli interessi nazionali?
Saluti
articolo su PANORAMA “L’ AFFAREregina” ultimo uscito N’ 18 / 28 APRILE 2011 pag 87 “SE LE VITTIME DIVENTANO SCUDI UMANI foto roma andrea -PARMALAT/CIRIO / ARGENTINA ecc” di Maurizio Tortorella — MOVIMENTO GIUSTIZIA facebook // CONTROLETRUFFE facebook
SI SU UN ITALIA FALLLLLITA E MORRRRRRTA , SI SU UN GOVERNO MORRRRRTO E SEPOLLLLLLTO , NO SU UN PAESE SERIO E VIVO // comitati Parmalat // MOVIMENTO GIUSTIZIA facebook / CONTROLETRUFFE facebook / 347 3076527 andrea cogo
Ho gia’ detto tutto fin dall’inizio, lasciando da parte le trame bancarie che sostanzialmente mi nauseano piu’ che entusiasmarmi, dal momento che si traducono normalmente e banalmente in extra costi per i loro clienti (ripianare i bilanci all’estero e’ meno banale per un banchiere). Apprezzo il passaggio sui possibili effetti positivi di consolidamento nel mondo della produzione del latte ed agricolo in genere, di cui sempre assai poco si parla in Italia e che avevo appunto accennato in quell’intervento.
Speriamo che lentamente si possa uscire dal limbo.