L’ontologia di Uber di fronte alla Corte UE
Da quando i suoi servizi sono apparsi nelle strade di mezza Europa, Uber è diventata l’azienda simbolo di una delle maggiori battaglie culturali – ancor prima che commerciali – del nostro tempo: quella tra i sostenitori dell’innovazione, in grado di polverizzare rendite di posizione e normative d’altri tempi sfruttando la digital disruption, e chi invece difende le tutele e le garanzie che lo Stato ha assegnato a specifiche categorie, come quella dei tassisti, contro “l’invasore”.
Nel caso di specie, le diatribe – finite spesso in tribunale, come in Italia nel caso di UberPop – riguardano un tema tanto banale quanto delicato: la definizione legale di Uber. Codici e codicilli parlano, in modo perfino sin troppo esaustivo, di compagnie di trasporti da una parte, e di piattaforme digitali dall’altra. Ma nulla dicono di chi, come Uber, non offre direttamente alcun servizio, bensì mette in contatto persone che lo offrono e persone che lo cercano.
Il problema non riguarda solo Uber. Negli ultimi mesi è stata la volta di Airbnb, che diverse amministrazioni pubbliche – in Italia e in Europa – hanno costretto a rispettare le norme che regolano le strutture alberghiere. Con risultati, talvolta, a dir poco grotteschi. Ed è un problema che si porrà sempre e sempre di più, se la politica continuerà a cercare di inseguire l’economia digitale incasellandola nelle proprie categorie abituali, e non viceversa.
Tra i tanti casi emersi in questi anni vi è quello di un sindacato di tassisti di Barcellona, che nel 2014 fece causa a Uber per concorrenza sleale. Di appello in appello, la problematica è arrivata di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che a fine novembre ha aperto la discussione della causa.
La sentenza, che avrebbe effetto retroattivo su tutti i casi nell’UE, è attesa per la primavera e potrebbe, in ogni caso, essere di portata storica per il futuro della sharing economy nel vecchio continente. Se la Corte stabilirà che è una società di trasporti, Uber dovrà accordarsi con ciascun Paese nell’UE sulle norme da rispettare nei singoli Stati, adeguandosi alle norme sindacali e di sicurezza previste per i tassisti. Se al contrario Uber verrà giudicata come una semplice piattaforma digitale, i servizi di Uber potranno essere reintrodotti in tutta l’UE, anche retroattivamente (e anche per quanto riguarda UberPop nel nostro Paese).
Ciò detto, non è scontato che la sentenza della Corte sia così netta nei suoi effetti. Il giudice di Lussemburgo potrebbe infatti anche optare per una soluzione ‘mista’, che certamente rispecchierebbe meglio la reale configurazione di fatto di Uber, senza costringerla in categorie che non le appartengono, ma che d’altronde potrebbe gettare in una ancor più fitta confusione regolatoria il settore, spostando il problema dai tribunali ai parlamenti dei diversi Stati dell’UE.
Twitter: @glmannheimer