L’occasione mancata nelle nomine—di Gianfilippo Cuneo
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Gianfilippo Cuneo.
La prima dichiarazione di Moretti come Amministratore Delegato di Finmeccanica è stata quella che ci sono dirigenti che guadagnano troppo. “Da che pulpito!” verrebbe da dire. Finmeccanica è un’azienda quotata, ed al mercato non interessa se qualche manager guadagna tanto o poco ma piuttosto se contribuisce ad aumentare il valore delle azioni o no; forse sarebbe stato meglio un silenzio fino a quando il nuovo amministratore delegato non sarà in grado di indicare delle credibili linee di sviluppo e far dimenticare come la sua nomina sia stata salutata con un tonfo del titolo.
Il fatto che un amministratore delegato di un’azienda pubblica si preoccupi soprattutto di quello che vuole il partito suo referente politico è un vecchio baco delle partecipazioni statali italiane; purtroppo oggi è ancora più nocivo di ieri per i problemi di credibilità che ha il paese. Ora che le nomine delle principali aziende pubbliche sono state fatte con i vecchi metodi (per altro in qualche caso nominando manager competenti), sembra più che mai opportuno modificare il processo per evitare ulteriori danni futuri.
Il mercato finanziario ha capito che non ci si può fidare della politica; si possono sfruttare delle anomalie di prezzo per comprare azioni di aziende pubbliche, ma si tratterà sempre di un investimento speculativo e non di un impegno di lungo periodo. Meglio sarebbe stato far scegliere agli investitori privati, e non ai politici, il capo azienda ritenuto più capace di creare valore per tutti gli azionisti.
Nelle aziende private serie la scelta del capo azienda non è un’imposizione arrogante dell’azionista di maggioranza ma un processo condiviso; se un azionista di minoranza suggerisce un ottimo candidato il vantaggio è di tutti e l’altro socio non perde prestigio.
Le aziende pubbliche italiane hanno un enorme gap di credibilità nel mercato finanziario internazionale perché hanno come azionista lo stato o gli enti pubblici territoriali, che impongono il perseguimento di obiettivi non economici e talvolta la nomina di manager inadeguati; per esempio, l’ENI non può alienare o chiudere la chimica e la raffinazione, che perdono centinaia di miliardi, come invece farebbe qualunque azienda interessata unicamente alla creazione di valore. Di conseguenza la valorizzazione borsistica delle aziende pubbliche è inferiore a quella di aziende comparabili ma con azionisti privati, il che comporta molte conseguenze negative.
Oggi più che mai è indispensabile attirare investimenti in Italia e valorizzare le aziende pubbliche; la programmata quotazione di Poste e di altre aziende pubbliche sarà invece “a sconto” proprio perché gli investitori non avranno fiducia che l’azionista di maggioranza rispetterà i loro legittimi interessi. Quanto potrebbero valere ENI, ENEL, FINMECCANICA e le municipalizzate quotate se la politica non avesse il potere assoluto nella scelta degli amministratori e se non ci fossero vincoli a scissioni, vendite o fusioni? Non è azzardato ipotizzare almeno un 20% di aumento della loro capitalizzazione, liberando quindi un valore di quasi € 30 miliardi, di cui il settore pubblico beneficerebbe per il “suo” 30-40% (l’equivalente di una manovra finanziaria).
Cosa si sarebbe dovuto fare per le nomine? Invece di trattare segretamente all’interno dei partiti di governo, si sarebbero dovuti consultare i principali investitori istituzionali delle aziende pubbliche, che sono fondi pensione e hedge funds; scegliere amministratori delegati suggeriti da loro (che sono “soci” e non un “parco buoi”) non sarebbe stato un segno di debolezza, ma di rispetto per le attese di chi ha comprato le azioni nella prospettiva di una gestione improntata alla creazione di valore. Tali investitori sono molto più capaci dei nostri politici a valutare i top manager per quello che hanno fatto e che possono fare in un certo contesto; la scelta sarebbe stata salutata dalla borsa con un rialzo dei titoli e non con il prevedibile tonfo. È davvero una bella soddisfazione quella di poter dire “io sono il padrone e scelgo chi voglio” e veder bruciare miliardi di capitalizzazione borsistica!
In un paese in cui è possibile che un partito qualunquista e pauperista conquisti il governo è anche necessario mettere oggi in sicurezza il processo di nomina degli amministratori delle aziende pubbliche quotate; la via maestra sarebbe che stato ed enti territoriali uscissero dall’azionariato, ma sarebbe un buon passo in avanti anche solo mettere negli statuti il voto di lista paritetico fra azionisti pubblici e privati, demandare al Consiglio di Amministrazione la scelta dell’amministratore delegato, e far scadere 1/3 del Consiglio ogni anno.
Gianfilippo Cuneo è Presidente di Synergo SGR
Sì, certo, é vero… d’altronde Moretti ha fiancheggiato la TAV italiana inutile, che si è fatta solo per fare un piacere ai costruttori. D’altronde, l’altra faccia della medaglia è che quanto propone Cuneo è del tutto utopistico, allo stato dell’arte. Perché il problema è del tutto a monte, consistendo nel fatto che in democrazia rappresentativa, in assenza di sussidiarietà, il dominio delle oligarchie parassitarie è un fatto strutturale:
http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2013/12/08/costi-del-non-fare-in-italia-900-miliardi-per-i-bocconiani-ma-il-problema-vero-sono-i-costi-del-fare-male/
Caro Cuneo, non si preoccupi del fatto che il M5S conquisti il governo. I partiti pauperistici sono ben altri come il PD e lo stesso PDL che quanto ad impoverirci ci sono riusciti benissimo proprio per pagare lo stipendio di Moretti.
Forse il M5S ci arricchirà se mantiene quel che promette cioè di tagliare quallche gola giusta e far sputare il soldi che si sono magnati i papponi a forza di calci nello stomaco.