Lo spin-off di Fiat – Parte prima
È arrivata la scissione Fiat: la parte auto e quella industriale sono dunque divise. La decisione presa il 16 settembre avrà un impatto rilevante sul settore auto italiano e quello mondiale in generale. È il primo passo anche verso un consolidamento della Chrysler in Fiat Auto, proprio nel momento in cui il Tesoro Americano ha annunciato la progressiva uscita dal settore automotive. La quota di Fiat nel colosso di Detroit crescerá lentamente dapprima dal 20 per cento di oggi al 25 per cento, poi al 35 per cento e successivamente, con l’uscita dei sindacati americani, fino al 51 per cento. Per raggiungere la maggioranza assoluta, la societá guidata da Sergio Marchionne dovrá investire una somma non irrilevante di liquiditá ed è anche per questa motivazione che il demerger è avventuto.
Rendere evidenti i punti di forza della parte auto e di quella industrial ai mercati è necessario per trovare nuove risorse. Per fare ciò non è escluso a priori che una parte dell’auto venga venduta ai concorrenti. In particolare vi sono rumors da diversi mesi sulla vendita di Alfa Romeo e Lancia a Volgswagen o altri gruppi europei.
Se questa voce fosse confermata sarebbe la prova dello spostamento globale degli interessi di Fiat Group.
Lo spin-off annunciato aveva le sue basi nel piano industriale presentato a fine aprile agli investitori, nel quale si presentava il futuro di Fiat da qui al 2014.
Il Piano Industriale molto ambizioso
Il primo traguardo riguarda il numero di veicoli da vendere da qui al 2014; si prevede un raddoppio dei veicoli da poco più di tre milioni annui del 2009 a circa sei milioni a fine del piano industriale.
La stima dello stesso amministratore delegato del gruppo è una caduta del 30 per cento del mercato italiano. Nel nostro Paese, Fiat Automobile ha venduto nel 2009 oltre 720 mila vetture, pari ad un terzo delle vendite mondiali del gruppo.
La quota di mercato della casa automobilistica torinese è scesa al 30,8 per cento nei primi otto mesi del 2010, quasi tre punti percentuali in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Se anche la market share dovesse mantenersi stabile, cosa non facile in questo momento di aggressività e di crescita dei gruppi stranieri, il gruppo italiano potrebbe “perdere” circa 120 mila veicoli nella sola Italia, arrivando ad un totale di circa 600 mila unità nel 2010, a causa del calo strutturale della domanda dovuto alla fine degli incentivi. Nei primi otto mesi dell’anno in corso ha giá perso 50 mila veicoli rispetto allo stesso periodo del 2009. Questo dato sconta tuttavia di un primo trimestre positivo nel quale il gruppo torinese era arrivato a “guadagnare” fino a 25 mila vetture in piú rispetto all’anno precedente. Il dato del mese di luglio è preoccupante perché in un solo mese Fiat ha perso 25 mila immatricolazioni rispetto al 2009.
La tabella mostra le vendite del gruppo Fiat in Italia e in Europa nei primi mesi del 2010 e la fotografia del mese di agosto 2010.
Fiat – Vendite in Italia ed in Europa | ||||
Dati: numero di veicoli nuovi registrati | ||||
Agosto 2010 | Gennaio-Agosto 2010 | |||
Italia | Europa | Italia | Europa | |
Gruppo Fiat | 21101 | 45720 | 426691 | 723356 |
Fiat | 15873 | 36096 | 327279 | 580809 |
Lancia | 3109 | 3744 | 63800 | 72326 |
Alfa Romeo | 2083 | 5628 | 34662 | 65894 |
Altre | 36 | 252 | 950 | 4327 |
Fonte: Elaborazione IBL da dati ACEA e UNRAE |
I dati mettono in mostra la principale debolezza di Fiat, che il piano industriale di Marchionne vuole appunto eliminare. La casa torinese è troppo dipendente dalle vendite in Europa ed in particolare in Italia.
Il seguente grafico permette di apprezzare meglio questo punto di debolezza.
Lancia è il marchio che maggiormente soffre di questo posizionamento, dato che quasi non riesce a vendere oltre i confini. Fiat e Alfa Romeo sono in una posizione similare, con piú delle metá delle vendite europee nel Belpaese.
Fiat prevede una contrazione globale delle vendite di oltre 200 mila veicoli nel 2010 e il raggiungimento dell’obiettivo di circa 3,2 milioni di veicoli per il 2014 per la sola casa automobilistica italiana potrà essere centrato con una crescita annuale di circa il 14 per cento.
Se dal lato delle vendite il Piano Industriale è estremamente ambizioso, lo stesso si può dire dal lato produttivo. Mentre l’azienda ha confermato alcuni mesi fa di chiudere l’impianto di Termini Imerese, considerato poco efficiente, ha deciso di aumentare la propria produzione in Italia di quasi il 50 per cento, fino ad arrivare a 900 mila veicoli prodotti. Questa cifra è lontana dai valori raggiunti nel 2000, quando sfiorava 1,4 milioni di autoveicoli.
Lo scontro su Pomigliano d’Arco con la Fiom parte proprio dal piano industriale, nel quale si decise di portare la produzione della nuova Panda dalla Polonia alla Campania.
Gli impianti italiani soffrono di una cronica mancanza di competitività, dato che nel nostro Paese Fiat produce con cinque impianti circa lo stesso numero di veicoli l’anno che in Brasile, dove è presente un solo stabilimento. Per questo motivo Fiat chiese ai sindacati maggiore flessibilità contrattuale, come negli Stati Uniti d’America.
Sergio Marchionne evidenzia spesso la differenza tra cooperazione che esiste con il sindacato americano e la conflittualità con quello italiano.
Nel 2009 la casa automobilistica di Detroit, dopo essere salvata dal Governo Americano, ha venduto poco meno di 1,4 milioni di veicoli. I 2,8 milioni di veicoli previsto per il 2014 sono insomma molto lontani.
Il Piano invece non prevede un sbarco in forze nel mercato asiatico, che è il più promettente. La Cina è diventata il primo mercato mondiale per numero di autoveicoli nel 2009, superando la leadership statunitense.
Nella presentazione del Piano Industriale 2009-2014 è illustrata la divisione tra il ramo automobilistico e quello industriale. Nella prima, chiamata “pure Fiat” confluiranno Fiat Auto, Magneti Marelli e altre società, mentre nella parte “industrial” andranno principalmente Iveco e CNH.
amente ambizioso.
Il Piano industriale si scontra con una situazione molto delicata. I dati che arrivano dal mercato europeo, il piú importante per Fiat, mostrano una caduta importante del numero di veicoli venduti. Questa deriva dal fatto che nel 2009 e per una parte 2010, i maggiori Governi Europei hanno dopato le vendite con la conseguenza che una volta finiti gli aiuti, il mercato è crollato.
Un doping inutile e dannoso, come anche affermato da Sergio Marchionne a margine della conferenza stampa di ieri.
(continua domani)
Mi chiedo se Marchionne si renda ben conto di quello che comporta il suo piano.
Mi chiedo se non stia bluffando per impressionare le borsa e gli analisti, perchè a giudicare dai dati di vendita in profondo rosso e le quote di mercato in forte calo, ma sopratutto la quasi totalità della gamma di modelli da rinnovare tutto il suo ottimismo mi sembrano DEMENZIALI.
Dallo spin-off Fiat, in nome della vecchia norma per cui per valutare le decisioni del gruppo bisogna capire cosa ci guadagnano gli Agnelli, ricaverei quanto segue:
1. con la scissione, possono “comprare” Chrysler senza dover condividere il pacchetto prezioso delle controllate “industrials”, Case New Holland su tutte;
2. il piano industriale, tanto ambizioso quanto irrealizzabile (sconta scenari macroeconomici irrealistici, ed ipotizza un aumento di redditività/produttività che farebbe di Fiat il produttore più efficiente del mondo), serve a gonfiare il titolo in borsa
3. se gli investitori ci cascano, gli Agnelli avranno una quota in Chrysler abbondantemente sottopagata, “courtesy of the american taxpayers” e dell’ingenuità degli investitori.
Sarò malizioso, o magari pure in malafede, ma secondo me dalla scissione l’unica cosa che Fiat ottiene è l’esposizione al pubblico scrutinio della situazione della divisione auto: inefficienza produttiva, incapacità di generare cassa, perdita di quote di mercato.