20
Nov
2014

Lo sciopero dei polli di Renzi: Landini vince, confederali al traino

Lo sciopero ha fatto girare la testa ai sindacati confederali. La Cgil aveva deciso da sola lo sciopero generale per il 5 dicembre, un venerdì attaccato al ponte dell’Immacolata: non pensando all’ovvio scherno che ne sarebbe derivato, sommando tutti coloro che ne avrebbero approfittato per un ponte lungo. Ma ecco che a questo punto arriva la Uil del neosegretario Carmelo Barbagallo, e anche lei decide a congresso per lo sciopero generale. Ma non il 5 bensì il 12, così cade la critica di voler fare “i pontieri”. Senonché la Cisl della neosegretaria Annamaria Furlan sciopera anch’essa: ma non lo sciopero generale Cgil con Uil al traino, bensì generale sì ma nel solo settore pubblico, il primo dicembre. E se Cgil e Uil vogliono accodarsi nello sciopero Cisl bene, ma la Cisl allo sciopero Cgil-Uil non s’accoda.

Sembra un litigio manzoniano tra i polli di Renzo, che adattato a oggi diventa tra polli di Renzi. La libertà sindacale è sacra, ma le confederazioni accettino una critica fuori dai denti. Dopo il nulla di fatto della Camusso a piazza San Giovanni che aiutò Renzi invece di danneggiarlo, tutto l’ambaradan partito da due settimane sullo sciopero generale, da soli o in compagnia e a chi sarà più tosto a seconda di con chi sfila, vienedalla spinta esercitata da un sindacato che non è né la Cgil né la Uil né la Cisl, bensì la FIOM che in teoria nella Cgil è minoranza assoluta. E dal suo leader, l’unico che rimbalza di schermo in schermo televisivo e fa testo quando parla: non a nome dei suoi iscritti ormai – il più delle volte in minoranza nelle fabbriche – bensì dell’intero fronte di “chi non ci sta”: Maurizio Landini. Lo scontro con la polizia a piazza Indipendenza a Roma, alla testa degli operari dell’AST Terni, ha completamente modificato il quadro degli atteggiamenti sindacali. Da quel giorno Landini guida, e la Cgil e gli altri inseguono. La FIOM avrà perso il congresso Cgil, ma nei fatti sta imponendo a tutti lo scontro muro contro muro. Legittimo, per carità: basta che i riformisti della Uil e della Cisl se ne rendano conto, ora che le due nuove segreterie hanno il problema di mostrare al più presto agli iscritti quanto sono “toste”, rispetto ai vecchi leader usciti di scena.

“Gli scioperi hanno regolarmente prodotto l’invenzione e l’applicazione di nuove macchine”. Sapete chi l’ha scritto? No, né Milton Friedman né la baronessa Thatcher. L’ha scritto uno che agli scioperi era simpatetico: Karl Marx, in La miseria della filosofia. E se era vero ai tempi suoi, quelli della prima rivoluzione industriale, figuriamoci quanto siano opportuni e azzeccati gli scioperi generali nell’Italia di adesso, piegata in due da una recessione durissima e pluriennale. Un’Italia che ha bisogno di trovare ponti comuni tra dipendenti e autonomi, vecchi e nuovi lavori, pubblico e privato, partite IVA e contratti a tempo senza tutele.

Si è appena chiusa a Roma una vicenda che dovrebbe far riflettere il sindacato ”antagonista”: quella del Teatro dell’Opera. Aver detto no alla proposta di risanamento aziendale a luglio pur votata a maggioranza dai dipendenti, aver continuato a difendere indennità e costi da paura e bassa produttività, ha portato il sovrintendente Fuortes a convincere cda e ministro Franceschini che non c’era via d’uscita, bisognava licenziare l’orchestra. Solo a trauma avvenuto, i sindacati che prima dicevano no hanno dovuto ripiegare le bandiere, e hanno firmato tagli di costi per 4 milioni e l’innalzamento delle recite. E i licenziamenti sono rientrati. Pensate a che cosa sarebbe avvenuto, visto che da mesi spacchiamo il capello in quattro per i licenziamenti individuali nel privato da normare nel Jobs Act, se fosse stata un’azienda privata e non un teatro pubblico, a ricorrere a un licenziamento collettivo usato in realtà solo come arma per risedersi al tavolo contrattuale, e strappare un accordo necessario alla sopravvivenza. Sarebbero insorti tutti gridando contro l’avido padrone. Invece per una volta il segnale è venuto dal fronte pubblico, ma il risultato è comunque una piena sconfitta di un modello sindacale sbagliato perché ideologico, fondato solo sul “no perché no”.

Ora non sta a noi dire che ai sindacati deve piacere quel che propone e fa il governo Renzi. Ci mancherebbe altro. Ma credere di tornare tutti all’autunno caldo del 1969 e agli anni Settanta può essere un mito per chi nella FIOM e tra i COBAS è da sempre rimasto convinto e nostalgico di quel modello. Se lo ridiventa anche per chi per anni e anni ha detto di aver tratto il giusto bilancio di quell’esperienza, allora è un altro paio di maniche. Non farà affatto tornare indietro le lancette della storia: perché non è finito solo l’autunno caldo ma è finita la concertazione, e chiunque governerà dopo Renzi così resterà, perché la politica si è ripresa dopo decenni la sua autonomia. E tuttavia aprirà una fase nuova: quella dei resti di un sindacato riformista che torna al traino della difesa pervicace di una visione antagonista.

Sta a Cgil, Cisl e Uil rifletterci sopra. Scelgano quel che credono, ma poi non ne rimpiangano le conseguenze: perché Landini e la FIOM in questa impostazione saranno sempre davanti a loro, e loro al seguito. La storia del sindacato antagonista, per definizione, è fatta è più di sconfitte che di vittorie: è la sconfitta a dimostrare di essere irriducibilmente “altri e diversi” rispetto alla produzione e al mercato, agli imprenditori e all’innovazione organizzativa e tecnologica di cui si alimenta la maggior produttività. Il sindacato riformista da quelle sconfitte ricercate ha imparato nel Novecento in tutto l’Occidente che bisogna guardarsi, perché il lavoro e la sua dignità si estendono con buoni e pazienti accordi, non con cortei e scontri di piazza.

Fatevi dunque se volete i vostri scioperi: liberi di credere di farlo per abbattere Renzi, in realtà state abbattendo un pezzo di strada che faticosamente aveva percorso chi vi ha preceduto. Perché si impara più dalle sconfitte, che da ideologiche vittorie impossibili.

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4 Responses

  1. adriano

    Ricordo un tempo in cui se il capo del governo apriva bocca dalla cina veniva indetto uno sciopero.Oggi se ne parla da mesi e chissà se ci sarà.Si sta discutendo di dettagli fra sodali che fingono di litigare ma in realtà convergono perchè mangiano allo stesso ristorante.Lo sciopero non lo dovrebbe fare il pubblico impiego o la grande industria garantita o quello che ne rimane.Lo sciopero,inteso come protesta per correggere quello che non va,dovrebbero farlo i giovani disoccupati o quelli che hanno il lavoro a rate.Peccato che siano rappresentati da nessuno e quello che fanno o non fanno interessi a nessuno.Così si continua nella commedia facendo finta di credere che la cosidetta riforma del lavoro potrà crearne o facendo finta di opporsi ad essa per motivi opposti.Tutte battaglie di retroguardia di chi problemi non ne ha.Intanto chi è senza reddito o ne ha uno da fame continua così e comincia a chiedersi che paese sia quello in cui si preferisce parlare di niente consolandosi pensando sia meglio di niente.

  2. MG

    La attuale lotta sindacale è nello steso piano della politica, è finta lotta politica per alzare gli indici di ascolto..quindi con la lotta sindacale,che io traduco in “fare buoni contratti per categorie di lavoratori o azienda per azienda”, poco c’entra. Certo è piu facile “buttarla in politica” come si usa dire dalle mie parti..e non quando si vuole fare apprezzamenti professionali..anzi tutt’altro. La mia esperienza è solo fatta di sindacalisti piu preoccupati di far carriera politica che di strappare migliori condizioni lavorative e contrattuali per i propri iscritti…E molti di loro non avrebbero potutto fare altrimenti per clamorose deficienze di capacità negoziali…degli inetti insomma buttati allo sbaraglio, senza esperianza e senza un vissuto aziendale e di relazioni industriali. Comunque finche lor signori continueranno a non affrontare i nodi da sciogliere, ridurre la presenza dello stato nell’economia di questo paese di almeno il 50%, anche i sindacalisti, con i loro debiti, la loro struttura del tutto obsoleta e sovradimensionata, i loro operatori ancora piu precari dei precari che vorrebbero rappresentare, sono sullo stesso carro parcheggiato su un binario morto.

  3. Giuseppe

    Ma degli scioperi nel Pubblico Impiego, qualunque settore, senza eccezioni, alla fine chi se ne accorge? Non si perde Pil (neanche se so fermano i treni) Anzi, si risparmia. Ignorarli un po forse non sarebbe una cattiva idea.

  4. Giorgio Luzi

    Sicuramente la cosa di cui non abbiamo bisogno ora è una stagione di lotte sindacali, ma in questo caso – e mai mi sarei sognato di trovarmi a scrivere quanto segue – non è certo per volontà del sindacato. C’era veramente bisogno di aprire il conflitto con dichiarazioni che – non si può far finta di non saperlo – avrebbero creato una pofonda frattura? C’era una così grande necessità di mettere mano al famigerato art. 18? Concordo con il fatto che lo statuto dei lavoratori è antiquato e soprattutto non più in linea con le esigenze attuali, ma passare attraverso un confronto no? In fondo l’abilità di un grande politico non è forse quella di portare gli altri verso le proprie posizioni? Magari cedendo qualcosa, magari non andando a toccare quello che neppure il centro-destra aveva osato fare. Forse sarebbe stato meglio portare a casa il risultato evitando una prova di forza che, chiunque dovesse vincere, vedrà un solo sconfitto: il Paese.
    Non credo che una riforma della normativa del lavoro sarebbe uscita stravolta se si fosse concesso qualcosa all’avversario. Si sarebbe vinto, certo non stravinto, ma attenzione a non umiliare l’avversario perchè questi si trasforma immediatamente in nemico e a quel punto saltano gli schemi, non si rispettano più le “regole d’ingaggio”.
    Quanto poi al fatto che vadano tutti dietro alla FIOM non c’è nulla di strano: chi ha più carisma lo adoperi. E al momento non mi sembra proprio che nè la Camusso nè, tanto meno, i neo-arrivati Furlan e Barbagallo abbiano lo standing necessario per dar voce alla rabbia di migliaia di lavoratori e, soprattutto, disoccupati e disoccupandi (mi sia concesso l’abuso di gerundio).
    La pace sociale va ricercata e non rivendicata.

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