Lo schiaffo di Bruxelles meritato dal governo
Ieri è arrivata la pagella europea sulle leggi di bilancio per il 2014 dei paesi membri. E’ la prima volta che il giudizio avviene prima che vengano adottate dai Parlamenti, almeno nel più dei membri e comunque in Italia. Ed è una decisione assunta di comune accordo, proprio per rendere più stringente il controllo sulla convergenza delle politiche di spesa e fiscali. Per l’Italia, appena uscita pochi mesi fa dalla procedura d’infrazione per eccesso di deficit pubblico, e guidata da un governo nato in aprile per navigare sul mare della politica italiana che tempestoso era e tempestoso resta, era un esame da non sbagliare. Per definizione. Invece non è andata così. E se la politica italiana crede di limitarsi a far spallucce, concentrata com’è sulla conta interna al Pdl e sullo scontro congressuale nel Pd, oppure se pensa di limitarsi a una nuova polemica sull’Europa che pensa solo al rigore, sbaglia. Rischia di farsi ancora più male.
Dividiamo i due aspetti, quello nazionale e quello europeo. Sono naturalmente collegati. Perché con le carte pienamente in regola si conta di più al tavolo comunitario. Ma distinguiamoli pure.
Dal punto di vista interno, il no di Bruxelles al margine aggiuntivo di investimenti pubblici – sia pur di pochi miliardi – sbandierato per mesi come conquista acquisita dal governo Letta alla fine della procedura d’infrazione, è un incidente serio. Ancor più serio perché Letta e Saccomanni sono appassionati conoscitori e attori in prima persona degli interna corporis europei. La messa in mora della manovra finanziaria da parte di Bruxelles è motivata per gli insufficienti passi avanti nel contenimento del debito pubblico, che salirà al 134% del Pil, e per non aver dato retta alla raccomandazione dello scorso maggio di tassare meno persone e imprese e più le cose. Oggettivamente, il governo ha prestato il fianco a queste osservazioni. Ed è questa, per molti versi, la cosa incredibile.
Non è un mistero per nessuno che il rischio del deficit sopra il 3%, in ballo per 2013 e 2014, sia dipesa dalla guerra sull’IMU. Niente da dire sul fatto che il governo abbia deciso, per necessità più che per convinzione, di farla propria seppure obtorto collo. Ma la decisione di non indicare mai con chiarezza le coperture necessarie, tanto che ancora in Parlamento sulla tassazione immobiliare è rodeo puro, quella decisione è stata sbagliata.
Il governo ha risposto ieri che il giudizio di Bruxelles non tiene conto del fatto che le coperture, per centrare l’obiettivo di deficit al 2,5% per il 2014, nella legge di stabilità ci sono. Ma noi come osservatori abbiamo il dovere di dire che il contrasto parlamentare è tale che nessuno, oggi, è in grado ancora di dire a quanto davvero saliranno gli anticipi d’imposta per imprese e banche, né quanto saliranno le accise e su che cosa, e nemmeno come e se si eviterà il taglio automatico di 3 miliardi di detrazioni Irpef al 19%, attualmente previsto per il 2014 se non vi saranno tagli alla spesa. Ieri Letta e Saccomanni hanno parlato della spending review affidata a Cottarelli. Ma egli ha appena iniziato a lavorare. E Bruxelles ne sa quanto noi, di quel che davvero saranno i tagli di spesa nel 2014 proposti da Cottarelli. Cioè nulla.
Quanto al debito pubblico in aumento, certamente è colpa della recessione, che in Italia perdura. Ma proprio per questo il governo doveva da mesi pensare a un piano serio di dismissioni pubbliche. Sino a questo momento è stata decisa una modesta partita di giro immobiliare tra Tesoro e Cdp. Mentre Europa e mondo hanno visto il governo, attraverso le Poste, rientrare in Alitalia. Altro che privatizzazioni. Parole su cessioni di quote Eni e altro, ma solo parole.
Agli elementi fattuali, e allo scorno per vedersi arrivare il ceffone proprio dall’Europa quando si è europeisti al punto da non aver voluto dire una parola sulla procedura d’infrazione alla Germania per il suo eccesso di surplus, si aggiungono le conseguenze nella maggioranza. Non crediamo che Letta possa evitare di pensare che Berlusconi non aveva bisogno di questo assist, proprio il giorno in cui mette nel mirino come sleali coloro che nel suo partito distinguono la decadenza del leader dal Senato dal sostegno al governo. Invece, è successo anche questo.
C’è infine il versante europeo. Le osservazioni critiche non sono riservate solo all’Italia, ma tra i maggiori Paesi alla Spagna, alla Francia e alla stessa Germania. Resta il fatto che coloro che hanno beneficato di uno slittamento dal rientro previsto sotto il 3% di deficit, come appunto Spagna e Francia, continuano a cavarsela meglio di noi, che siamo rientrati sotto il limite grazie alla brutale spremuta fiscale che i governi ci hanno riservato. Mentre istituzioni come la Camera continuano ad avere a libro paga anche consulenti artistici. E mentre pensionati attuali e pensionandi futuri, di fronte al buco plurimiliardario dell’Inps per via dell’Inpdap del settore pubblico, si sentono rispondere dal Tesoro che è un banale problema tecnico, un singolare modo per rassicurare milioni di italiani.
Al tavolo per ridiscuterli e cambiarli, questi balzani criteri europei del 3% di deficit, l’Italia nel suo semestre di presidenza europea a giugno prossimo avrebbe dovuto e potuto arrivarci con altra forza e credibilità. Non mancano solo le privatizzazioni, se lo stesso governo ha riconosciuto che l’intervento sul cuneo fiscale era così limitato che tanto valeva destinarlo alla lotta alla povertà. In ogni caso, replicare con stizza o indifferenza è altrettanto sbagliato che piangere sul latte versato. Letta e Saccomanni devono tirare fuori più energia e rischiare il proprio nome su misure energiche, invece di delegare alla giostra parlamentare per il solo fine di durare. Il Capo dello Stato non ha mai detto né pensato, che il governo delle cosiddette larghe intese doveva nascere per tirare a campare. Più volte, nelle ultime settimane, il Quirinale ha usato la striglia, dicendo che bisognava cambiare passo, stringere i tempi, avanzare proposte precise. Ora, è il momento. Altrimenti, se saranno ancor più forti i populismi, questa volta il governo dovrà prendersela anche con se stesso.
Non credo sia come scrivete voi l’aver ridotto le tasse sugli immobili invece che sul lavoro il problema. Il fatto è che la legge di stabilità doveva contenere tagli di spesa corrente ben più corposi di quelli decisi. Non si possono fare i conti con il pallottoliere quando la spesa deve passare da 800 a 600 miliardi anno.
Il fatto è che la legge di stabilità doveva contenere tagli di spesa corrente ben più corposi di quelli decisi. Non si possono fare i conti con il pallottoliere quando la spesa deve passare da 800 a 600 miliardi anno.
Non sono d’accordo con lei per quanto l’INPDAP, questa è un’altra tegola che sta arrivando.
E’ uscito sul sole24ore un interessante articolo di Giuliano Cazzola che spiega la genesi del cosidetto buco dell’INPS .
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-11-15/cazzola-il-buco-inpdap-che-ora-pesa-conti-inps—–fatto-2007-tenere-saldi-finanza-pubblica–133002.shtml?uuid=ABMuMPd
Da quello che scrive Cazzola è che chi in quel momento era al governo (Prodi) decise di truccare i conti per posticipare in momento della resa dei conti.
Ora ci troviamo nella situazione per la quale questo trucco contabile deve essere messo a carico di qualcuno: o della platea dei contributori INPS/INPDAP o dovrà essere evidenziata nel debito pubblico con il rischio di far saltare del tutto il rientro nel 3% del disavanzo dell’anno prossimo. Che ne siano a conoscenza anche quei cattivoni della Commissione Europea?
La nomenclatura continua a chiamare populismo la democrazia diretta,sottolineandone con ardore i nefasti effetti.Che barba visti i brillanti risultati ottenuti finora da chi populista non è.Le dismissioni e le privatizzazioni sono ricette vecchie che da noi hanno dimostrato di non funzionare.Come l’euro.Facciamole solo se reversibili,altrimenti l’unico effetto sarà la perdita di patrimonio.Invece di vendere il Colosseo,ad esempio,affittiamolo.Mi permetto qualche proposta populista.Un ente amministrativo territoriale basta e avanza.Manteniamo i comuni ed aboliamo il resto.Verifichiamo la corrispondenza degli importi delle pensioni in essere con i contributi versati e sulla base dei nuovi sistemi contributivi.La parte eccedente va messa in qualche modo a disposizione per il riequilibrio dei conti e per la giustizia generazionale.Si consideri l’odiata abolizione dei contanti.Proposta populista per ottenere una tassazione flat al 20%,per abolire l’odiosa persecuzione fiscale degli onesti,per il ripristino del segreto bancario,per abolire i costi di riscossione e controllo.Naturalmente prima di procedere con iniziative populiste occorre il consenso populista ,dopo averlo reso sovrano.Tutti i provvedimenti che riguardano interessi vitali dei cittadini vengano sottoposti a referendum confermativo senza quorum,per evitare che poteri non populisti e non eletti possano cancellarli.Se i cittadini decidono di abolire le tasse va fatto così anche se la Bibbia laica dice che non si può.Populisticamente e democraticamente.
caro OG mi scuso ma non so come comunicare con lei direttamente. vale la pena ancora di tesserarsi a Fermare il Declino ? grazie
Ilario Dellanoce