ll buco nell’acqua / Speciale weekend 2
Per lo “Speciale weekend”, proponiamo oggi l’ultimo libro di uno dei maggiori esperti italiani del settore idrico.
Un gioco di parole il titolo: in “Privati dell’acqua? Tra bene comune e mercato”, l’autore – Antonio Massarutto – illustra con estrema lucidità, in modo semplice e accessibile anche ai non addetti ai lavori, quali sono i problemi e le esigenze di un settore che ha bisogno di innovazione e cambiamento. Non è un libro sulla legge Ronchi, ma un testo capace di fornire ai lettori gli strumenti per comprendere e valutare autonomamente la questione: pensare che i privati siano il male del settore, aumenta il rischio che a essere privati dell’acqua saranno soprattutto le generazioni future. La visione è quella di un economista, dichiaratamente non neo-liberale, che riesce ad affrontare la questione idrica senza “dichiarare guerre sante contro nemici sbagliati”, evitando sia di sostenere sia di condannare i “talebani del mercato” o i “mujaheddin del bene comune”, ricordando che non esistono solo i diritti sull’acqua ma anche i doveri, cercando di confrontarsi in modo realistico con le esperienze internazionali e i dati empirici (“se è vero che la mano invisibile del mercato funziona poco e male in questo settore, e sarebbe dunque insano abbandonarvisi, anche il mito del dittatore benevolente su cui si fonda la presunzione di superiorità della mano pubblica è altrettanto fallace”).
Il libro inizia con una proposta di pace tra destra e sinistra, tra i sostenitori del mercato a ogni costo e coloro che considerano l’ingresso dei privati nel settore equivalente alla vendita della propria mamma: “non c’è nessuna guerra (..), ci sono problemi da affrontare e risolvere, possibilmente con realismo”, considerando il privato come un aiuto a fare meglio, senza escludere tutto ciò che è pubblico. Si tratta, di fatto, di decidere solo la forma che dovrà assumere l’idraulico della nostra città. Le alternative sono almeno tre: la gestione delegata, la regolazione discrezionale e la gestione diretta – ciascuna con i relativi vantaggi e svantaggi. Nella realtà, non esiste solo il pubblico o solo il privato, ma spesso si trovano a coesistere. Allo stesso modo, esistono diversi modi per pagare l’idraulico: il bilancio pubblico, una tassa ad hoc, o ancora la tariffa, con diverse conseguenze in termini redistributivi e di efficienza complessiva. Anche l’esperienza empirica internazionale mostra che esistono diverse forme ed esperienze gestionali (tra cui Francia, Inghilterra, Germania, USA): ciò che emerge è che non conta tanto la forma proprietaria o quella di affidamento, quanto piuttosto un contesto regolativo efficiente.
L’autore, quindi, smonta anche quelli che sono i timori e le leggende più diffuse: non esiste alcuna correlazione tra privatizzazione e peggioramento della qualità del servizio, né tra la prima e l’aumento delle tariffe. Non è l’incremento dei profitti a far aumentare i prezzi, ma il venir meno dell’apporto della finanza pubblica. I costi che prima erano della fiscalità generale, ora sono a carico dell’utente. È fuorviante guardare solo all’incremento quantitativo delle tariffe: piuttosto, bisogna analizzarle guardando ai criteri dell’accessibilità al prezzo e della capacità di coprire i costi e finanziare gli investimenti. Questi ultimi in Italia sono molto alti e, con molta probabilità, ampliamente sottostimati: è inevitabile, quindi, che l’eventuale aumento dei prezzi saranno imputabili non tanto al profitto (che non è un demonio, ma “la remunerazione dello sforzo imprenditoriale diretto a migliorare il servizio e a ridurne il costo per il cittadino”), ma alla necessità di sostenere le spese necessarie.
Dopo aver fornito gli strumenti per capire quali sono i problemi che affliggono il nostro sistema idrico e per spiegare la situazione esistente, l’autore propone alcune riflessioni interessanti sul ruolo delle Ato (Ambiti Territoriali Ottimali), sul livello delle tariffe, sui vantaggi della quotazione in borsa delle aziende, sui rapporti tra modelli gestionali ed efficienza, sui piani d’ambito e sui contratti di servizio, sui vantaggi e i limiti delle gare, su una regolazione indipendente. L’obiettivo è trovare il modo per risolvere i maggiori problemi del settore idrico italiano – un quadro normativo incerto, l’imprevedibilità dei rischi economici, l’incapacità di garantire che gli impegni finanziari saranno onorati, un contesto regolatorio debole – che lo rendono poco appetibile agli occhi degli investitori internazionali istituzionali.
Sebbene l’attuale sistema abbia certamente delle imperfezioni, per rimediare non è necessario riformare radicalmente il settore con leggi retroattive. Piuttosto, è opportuno intervenire con innovazioni nell’apparato regolatorio e negli strumenti finanziari. Infatti l’evidenza empirica dimostra che l’intervento privato non è certo una panacea contro tutti i mali, ma può portare a dei miglioramenti se accompagnato da una regolazione efficace. Inoltre, dove si parla di privatizzazione, anche le aziende pubbliche sono indotte a migliorare le loro performance. Quindi i modelli (e le “filosofie alternative”) devono essere tutti più o meno ammessi (anche la gestione diretta, magari incoraggiandola ad andare sul mercato), ma è importante garantire regole e istituzioni che “permettano di responsabilizzare in pieno i soggetti che fanno le scelte”. Senza dimenticare che, se il livello di soddisfazione dei cittadini si riduce sempre di più (il cosiddetto “circolo vizioso dell’insoddisfazione”, legato non tanto al livello del servizio, quanto alla qualità percepita), bisogna favorire processi partecipati e virtuosi, che permettano ai cittadini di interloquire con i gestori, di essere coinvolti e ascoltati, in modo da poter rimuovere (o almeno alleviare) le loro inquietudini.
sarà un bel libro…ma
Allora perchè Parigi e Berlino dopo anni di acqua privato si sono affrettati a tornare alla gestione pubblica. Questi sono i fatti.
Per una volta prendiamo esempio da chi ci è già passato.
E poi siamo alle solite, in un mondo perfetto, in uno Stato che funziona, con autorità di controllo e garanti che funzionano veramente, forse ci si potrebbe anche pensare, dico solo pensare.
Ma non è così, finiremmo in mano, anzi già lo siamo alle lobby che vorrebbero accaparrarsi l’acqua per trarne un profitto crescente.
E il profitto crescente, anno dopo anno, porta allo sfruttamento dei lavoratori, alla riduzione della qualità delle merci, all’utilizzo di risorse via via più scadenti.
Ne parlo per esperienza, vedendo dall’interno come funziona un’azienda ai piani alti. Non importa come ma in nome del profitto sempre crescente è consentito tutto, ma dico tutto. Figuratevi cosa succederebbe con l’acqua.
Economics …. ma non solo quelli!!!
Chi si ricorda del rapporto qualità – prezzo?? Dando per scontato che privatizzare dia sempre un maggior beneficio economico, il che, se guardiamo il passato italiano, lascia forti dubbi.
Un esempio?? La refezione scolastica ormai privatizzato come “servizio” in molte città italiane. Ti rimando ad un post sul mio blog:
http://mrgnaws.blogspot.com/2011/05/refezione-scolastica.html
Marco: c’è una cosa che sinceramente non capisco nella posizione dei referendari. Cioè: se non vi fidate dello Stato controllore, com’è possibile che abbiate una fiducia così totale e sconfinata nello Stato erogatore? Prevengo subito una sua obiezione: io non mi fido né dell’uno né dell’altro, ma credo che il primo sia relativamente più affidabile perché (a) si legge su un disallineamento di interessi tra controllore e controllato (mentre, se coincidono, gli interessi si confondono) e (b) dal punto di vista della società civile, è più “facile” individuare anomalie nella gestione privatistica (cioè extraprofitti) che in quella pubblica (cioè sprechi).
@marco: i ragionamenti vanno sempre calati nella realta’ altrimenti si tratta di sterile ideologia. Per mettere a posto la rete servono almeo 100 miliardi di euro ? La domanda e’: dove andremo a prenderli ? Col Patto di Stabilita’ quei soldi possono essere trovati solo sottraendoli ad altri capitoli di spesa… scuola, sanita’, previdenza…..c’e’ solo l’imbarazzo della scelta. Guarda come sono ridotti gli acquedotti pugliesi, oltre il 50% di acqua persa, una rete fatiscente, non ci sono i soldi per andare oltre la manutenzione ordinaria, mentre il l’unica cosa che aumenta e’ il costo degli amministratori e del personale. Se a Parigi e Berlino hanno delle reti in ordine, magari ristrutturate proprio sotto la gestione privata, possono permettersi qualsiasi scelta. Noi stiamo ancora andando a schiena dei soldini spesi dai nostri trisnonni.