6
Giu
2016

L’Italia è una Repubblica fondata (sulle tasse) sul lavoro.

Ho sempre pensato che il primo fosse uno degli articoli della Costituzione più intrisi di ideologia. Ma a pensarci meglio credo sia vero il contrario, perché ora lo leggo come un’asserzione che corrisponde esattamente alla realtà dei fatti. Su cosa se non sulle risorse sottratte ai contribuenti, ossia i frutti del lavoro di ognuno di noi, si reggono i costi di una repubblica?

A livello puramente linguistico la denotazione del solenne articolo è quindi facilmente rintracciabile nel mondo reale, qui ed ora, e può esserci utile per riflettere sul rapporto Stato-cittadino, in particolare sull’asimmetria a scapito del secondo che è aumentata nel tempo senza che nessun articolo della Costituzione sia riuscito ad evitarlo, nemmeno l’articolo 81.

Recentemente si sono verificati due fatti apparentemente non correlati tra loro ma che rivelano questa tendenza.

Il primo, passato inosservato, è stato l’ aumento del cuneo fiscale: il rapporto dell’OCSE Taxing wages 2016 (ottimisticamente sottotitolato “Better policies for better lives”) ha rilevato che in Italia le tasse sul lavoro sono aumentate ancora rendendola la terza Repubblica in Europa che più tassa il lavoro dei propri cittadini per finanziarsi.

Il rapporto ci dice che dal 2005 al 2015 c’è stato un incremento ininterrotto del cuneo fiscale dal 45,9 al 49% con un aumento di oltre 0,4 punti percentuali fra il 2014 e il 2015 (5 in classifica se il calcolo viene effettuato considerando un lavoratore single sul quale però l’aumento dal 2014 al 2015 è stato superiore – rispetto al lavoratore considerato in un nucleo familiare – di 0,9 punti percentuali) .

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Ma come è possibile che il cuneo fiscale sia aumentato se il governo Renzi ha introdotto il tanto discusso bonus?

Perché mentre se ne discuteva è sfuggito che la stessa Legge di Stabilità 2015 che riconosceva il bonus, in forma di credito di imposta, pari al 10% dell’IRAP, faceva decorrere con effetto retroattivo il taglio delle aliquote che era stato introdotto dal Decreto Legge n. 66/2014 facendole tornare dal 3,5% al 3,9%.

È quindi ipotizzabile che le due misure si siano in qualche modo equilibrate riducendo l’effetto atteso di riduzione del costo del lavoro e giustificando l’affermazione dell’OCSE per cui il cuneo fiscale è persino cresciuto.

Il secondo fatto riguarda proprio l’articolo 81 della Costituzione che il Parlamento aveva modificato nella direzione di un maggior rigore di bilancio e che il Presidente del Consiglio a distanza di soli pochi mesi ha definito “anacronistico” . Così, il pareggio di bilancio, che già era stato astutamente ridimensionato a “equilibrio di bilancio”, è stato prima rinviato dal 2015 al 2016, poi dal 2016 al 2017, poi ancora al 2018, ed infine ha subito un nuovo slittamento al 2019.

Chi paga il costo di questo rinvio? Gli attuali e futuri lavoratori: chi produce, ossia chi crea ricchezza che possa essere prelevata e destinata alla casse dello Stato per finire in quella spesa corrente che non smette di aumentare generando nuovo debito pubblico. La zavorra del debito graverà sempre più inevitabilmente sui contribuenti ed anche proprio sotto forma di cuneo fiscale, uno dei principali freni della crescita economica che il governo dice di voler perseguire proprio grazie alla maggiore “flessibilità” (ossia più deficit, più debito, più tasse, decrescita infelice).

La nostra è insomma la Costituzione più bella del mondo quando fa comodo, mentre viene “sospesa” quando è altrettanto utile per preservare lo status quo di uno Stato che non ne vuole sapere di mettersi a dieta perché non sa fare a meno ed anzi vuole sempre più delle risorse che produciamo con il nostro impegno quotidiano.

Abbiamo festeggiato la Repubblica, ma fino a fine giugno ritorniamo alla nostra schiavitù di 173 giorni, quelli che mediamente impiega un lavoratore per pagare lo Stato prima di iniziare a guadagnare per sé o per la propria famiglia.

Ecco quel giorno, il “tax freedom day” sarà sì di festa per i lavoratori: una conquista per le generazioni più giovani sarà riuscire ad anticiparlo ogni anno di qualche giorno per contrastare una Repubblica che a colpi di zero virgola diventa fiscalmente sempre più totalitaria.

@giacreali

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4 Responses

  1. Giovanni Bravin

    Renzi si è fatto spigare da Netaniahu la curva di Laufer.
    Netaniahu, disegnò il sunto, su un foglietto, che Renzi si mise in tasca, ma finora non lo ha mai applicato.
    In pratica si possono aumentare le tasse fino ad un certo limite, poi i consumi diminuiscono e le entrate da tasse, calano perché non ci sono soldi da spendere.
    Ma Renzi e Padoan non lo hanno capito!

  2. FR Roberto

    Sottolineerei anche il fatto che di fronte a tale pressione fiscale non si ottengono servizi pubblici adeguati. Della serie “cornuti e mazziati”.

  3. ernesto manna

    Ricordo che Einaudi, rispondendo alla domanda “qual è la tassazione più giusta?” rispose: quella che porta più entrate nelle casse dello Stato intendendo che tasse più alte fanno incassare dimeno

  4. Gianfranco

    “La nostra è insomma la Costituzione più bella del mondo quando fa comodo, mentre viene “sospesa” quando è altrettanto utile per preservare lo status quo di uno Stato che non ne vuole sapere di mettersi a dieta perché non sa fare a meno ed anzi vuole sempre più delle risorse che produciamo con il nostro impegno quotidiano.”

    Sì… però… smettiamola di parlare dello stato come se fosse un alieno atterrato un bel giorno sul pianeta terra, nei dintorni della capitale, ed abbia cominciato a fagocitare danaro per il puro gusto di farlo.
    Perchè si ricordi che quello stato l’abbiamo voluto noi, così. E lo sappiamo benissimo: da una parte i comunisti, che volevano lo stato sovietico, e dall’altra i liberali de’ noantri, che dovevano avere accesso alla politica, per non parlare dei democristiani.

    Se lo stato dovesse decidere di tagliare, e tagliare seriamente ed eticamente, ci sarebbe una rivoluzione popolare per ripristinarlo il giorno dopo.
    Lo sa lei, lo so io, lo sanno tutti.
    Il motivo è di una banalità sconcertante: tutti facciamo parte di un “pochi”.
    Quindi lo stato, nominalmente, istruisce gratuitamente i pochi con i figli, salva i pochi correntisti delle banche fallite, cura i pochi malati, eroga licenze per i pochi notai e tassisti, elargisce pensioni ai pochi pensionati e ai pochi invalidi, finanzia il divertimento ai pochi giovani e regala 80 euro ai pochi poveri.
    Tutti noi ricadiamo in un “pochi” e finchè non sarà capito – scomodamente – che in realtà siamo un “tanti” invaselinati, vie d’uscite non ce ne saranno.

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