L’Italia e il rischio post-greco
Sono d’accordo con Ugo Arrigo: il venticello che spira potentemente nel mix politico-mediatico sull’Italia “tedesca e virtuosa” si fonda su elementi largamente esagerati, manifestamente politici più che oggettivi. Contemporaneamente, mi sembra utile approfondire il vero stato dell’arte comparata tra paesi dell’euroarea. Con una convinzione. Se salta Grecia e poi Iberia, noi saremmo i prossimi per le ragioni che dice Arrigo. Per inciso, io penso che un default di chi ha fatto moral hazard inibisca più moral hazard futuro di quanto ne incoraggi invece ogni salvataggio, si parli di una banca o di uno Stato. Penso al contempo che ai tedeschi converrebbe, un euro ristretto all’area franco-renana-olandese più paesi a Est in cui Berlino ha delocalizzato. Eppure, penso che alla fine i tedeschi non perseguiranno tale obiettivo: ma il rischio che la situazione sfugga di mano, prima e dopo il 9 maggio quando si vota in Nord-Renania Westfalia, c’è eccome. E’ chiaro per altro che all’Italia l’euro conviene, anche se abbiamo completamente buttato nel water i 7 punti di Pil di minor spesa pubbluica per interessi che l’euro ha rappresentato per il nostro Paese: invece di meno tasse, i politici di ambo i colori hanno alzato la spesa correnteAnche ieri i mercati hanno continuato a scommettere contro la tenuta del duplice accordo intervenuto nell’ultimo mese tra l’Unione europea e il Fondo Monetario Internazionale a sostegno della Grecia. I cds, i credit-default swap che sono strumenti finanziari trattati fuori dai mercati regolamentati con i quali ci si assicura dal rischio insolvenza di emittenti di titoli di debito pubblico o privato, sui titoli pubblici greci in un solo colpo ieri sono saliti in poche ore di un altro 14%, toccando il massimo di 713 punti. Anche se tecnicamente è sbagliato metterla così, è come se per ogni euro di debito pubblico greco in scadenza il mercato consideri che le possibilità di default siano superiori al 70%. La graduatoria dei Paesi più esposti a contagio è presto fatta. I cds sul Portogallo sono saliti a 318 punti. Quelli sull’Irlanda a 200 punti. Quelli sulla Spagna a 184 punti. I cds sull’Italia hanno toccato un massimo di soli 139 punti. Se osserviamo i differenziali sui rendimenti dei titoli pubblici decennali, ecco la conferma. I titoli portoghesi ieri hanno visto un tasso superiore di 220 punti base rispetto a quelli tedeschi, quelli irlandesi di 184 punti. I tassi italiani sul Btp decennale ieri erano più alti dell’equivalente titolo germanico solo di 90 punti. Cerchiamo di capire da cosa dipende la tenuta italiana.
Primo: che cosa unisce i Paesi dell’euro“a rischio”? Il fatto di avere, grazie all’euro comune, una moneta sopravvalutata rispetto al loro doppio deficit, fiscale e di parte corrente della bilancia dei pagamenti. Grecia e Portogallo hanno bassi tassi di risparmio delle famiglie, e ciò li espone a maggior necessità di afflussi di capitale dall’estero. Spagna e Irlanda hanno propensioni al risparmio più elevate, ma entrambi sono troppo cresciuti a debito, da bolla immobiliare e finanziaria. Per Grecia e Portogallo dunque il problema è la bassa solvibilità. Per Spagna e Irlanda, di bassa liquidità. L’Italia ha tradizionalmente tra le più elevate propensioni al risparmio in area Ocse – le famiglie sono formiche e non cicale – ed è il secondo Paese manifatturiero ed esportatore in area Ue dopo la Germania. In più, abbiamo tenuto basso il deficit pubblico anche nella grande crisi, a livelli “tedeschi”. Avendo un tasso di crescita inferiore agli altri Paesi oggi nel ciclone, la politica italiana è stata costretta a un avanzo primario nei conti pubblici, per evitare che il costo del debito, intorno al 4% del Pil, sopravanzasse la crescita dell’1% medio della nostra economia, aggravando il debito. Chi cresceva del 7% l’anno come la Grecia poteva anche tenere un deficit primario di diversi punti di Pil, senza che per questo peggiorasse il debito pubblico, visto che il costo del debito era analogo a quello italiano. Purtroppo, negli ultimi anni la poliitica dell’avanzo primario italiano è stata prima erosa e poi abbandonata, per la crescita della spesa pubblica corrente puntualmente avvenuta sotto sinistra e destra, più volte documentata da Arrigo.
Secondo: la relazione tra crescita e costo del debito determina i diversi costi nazionali per l’aggiustamento. Gli effetti variano per la consistenza e caratteristiche delle diverse economie reali. Una manovra di aggiustamento chiesta alla Grecia pari al 9% del suo Pil – il deficit pubblico 2010 sarà altrimenti pari a quasi il 14% – può costare alla sua economia reale un effetto deflattivo-recessivo pari fino fino a un quinto del suo prodotto. Le manovre sin qui annunciate dal governo greco vedono una diminuzione della spesa in deficit di circa 4 punti di Pil, proprio per evitare che il Paese precipiti. L’effetto è pesante, perché la parte pubblica pesa molto sull’economia greca. I 7,5 punti di Pil di minore deficit che servirebbero all’Irlanda, potrebbero comportare una diminuzione del suo prodotto di quasi 9 punti. I 4 punti chiesti alla Spagna, potrebbero significare fino a un meno 8% di prodotto. Queste proiezioni dipendono da che moltiplicatore usate per la spesa pubblica sulle diverse composizioni di output nazionale, ne trovate un esempio nel recente paper di Cinzia Alcidi e Daniel Gros. Per questo le opinioni pubbliche greche e iberiche protestano, contro la Germania rigorista.
Infine non conta solo il debito pubblico, ma il totale del debito al netto contratto da pubblico e privato sull’estero. E su questo l’Italia sta effettivamente, al di là della propaganda politica, molto meglio. Se si ricalcola su questa base il debito estero sommando i capitali in entrata e uscita dell’ultimo decenni, la Grecia ha un debito estero netto pari al 104% del suo Pil, il Portogallo al 122%, la Spagna scende al 65%. L’Italia lo ha vede del tutto trascurabile, solo l’8% del Pil. Il debito netto estero equivale a più di 5 volte l’intero export nazionale annuale di Atene, quello portoghese a più di 4 volte, quello spagnolo a due volte e mezza. Nel caso italiano, l’export italiano anche nel terribile 2009 supera del 54% il totale del debito netto estero del nostro Paese. Su questa base siamo creditori netti, non debitori.
Ecco perché stiamo meglio degli altri. Anche se è inutile illudersi. Se dall’euro saltassero Grecia prima e Paesi iberici poi, le cose cambierebbero drasticfamente e subito anche per noi.
sembra che già oggi le cose siano iniziate a cambiare. L’asta bot ne è un sintomo.
ha ben ragione marco per i Bot , anche se domani è un altro giorno , e magari qualcosa si recupererà. Di fatto però, stiamo facendo discussioni animate in equilibrio sulla famosa corda tesa fra due lontane estremità. Quello che mi fa specie, è la mancanza di una precisa condotta anti debito . E sì che hanno i numeri , in parlamento, per fare cose serie . E invece … grazie e buonasera
ahia
A proposito di crisi greca e tutto il resto, oggi Krugman se la prende con le agenzie di rating e del loro arcinoto conflitto d’interessi. un emittente paga una o più delle tre sorelle per farsi valutare un titolo di debito. ora si stanno alambiccando tutti per destrutturare tale sistema. ma non sarebbe più semplice se a pagare fossero solo i potenziali creditori, cioè i possibili acquirenti? non hai rating, se non ci sono clienti disponibili e interessati. hai rating se c’è domanda di rating, e questa dovrebbe naturalmente venire dai prestatori, non dai prenditori di fondi. il meccanismo attuale si presta in maniera pazzesca ad un processo di selezione avversa. meno valgono i tuoi debiti, più sei disposto a pagare per farteli ben valutare.
Fratellino scusa ma…
Io non ho ancora capito:
Chi decide se la grecia esce dall’euro? Un direttivo europeo che non
riesce neanche a decidere gli aiuti?
e se la decisione qualcuno la prende, tecnicamente come si fa?
Camilla
Certo Walter,
ti do ragione…
Ma se tu fossi un detentore di titoli greci, saresti così ben disposto a declassare il tuo creditore, che così facendo non sarà più in grado di pagarti?
A mio avviso, almeno per ciò che riguarda i rischi paese, dovrebbe occuparsene un soggetto di assoluta indipendenza, un organismo internazionale che potrebbe anche essere pagato dai governi nazionali (a quel punto gli interessi dei singoli a barare sarebbero troppo annacquati per prevalere…)
Stefano
ma può un salvataggio essere credibile se fatto anche dall’italia (terzo debito al mondo)? ci vogliono risorse vere e non soldi a debito altrimenti è il gioco delle tre carte…
si chiama unione monetaria e tale resta, nessuna unità di intenti o di strategie politiche comuni. é necessario che questi signori che si decidano a guardare avanti almeno con la diligenza del buon padre di famiglia: l’impressione è che si continui solo a mettere pezze o a rincorrere emergenze: gli stati hanno salvato le banche, ora bisogna salvare gli stati e purtroppo gli stati che intervengono utilizzano anche loro la leva del debito. Si rischia di sprecare risorse per nulla
Un piano di salvataggio serio DEVE coinvolgere il FMI, il sistema finanziario è globalizzato e la cassaforte del mondo deve intervenire.
Così la speculazone non avrà nuove facili mire, se invece intervengono stati finanziariamnte deboli come il nostro (ma nessuno può chaimarsi veramnete fuori…vedi USA) si rischia solo di vedere i rating e CDS che peggiorano dando il fianco alle speculazioni sul rischio di credito.
Il problema è legato alla leva del debito dei sitemi economici maturi, sembra una partita di giro fra nobili decaduti…ormai la ricchezza del mondo è creata e gestita dai PVS.
I dati del WEO del IMF fanno paura: la “crescita” è loro e le “riserve” anche e il mercato dei cambi è l’emblema del nuovo scacchiere mondiale. una volta si faceva tutto a tavolino al G7, adesso il G7 sembra composto dagli aristocratici francesi nel 1789..
Vero alessandro.
E mi domando…la cina, che ha riserve valutarie di dimensioni spropositate e deve la propria attuale ricchezza in gran parte al resto del mondo che ha comprato i suoi prodotti, quando deciderà di assumere un ruolo anche in queste vicende?
@petunia
A quel che ho letto su La Stampa i trattati europei non contemplano che un Paese possa essere “espulso” dalla zona Euro, ma sia la stampa che La Stampa non sono il massimo della competenza e dell’obbiettività, anzi spesso e volentieri ci scrivono sopra caproni raccomandati (La Stampa fece un titolo sulla morte di Wojtyła un giorno prima ch’egli morisse davvero)