Liquidità e (deficit di) credito alle PMI
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Davide Grignani.
Trattasi del “Tema” del momento, tutti ne parlano, politici, governatori, economisti, giornalisti, rappresentanti ed enti di Stato e della società civile: perché in un mondo con liquidità abbondante e tassi nominali e reali molto bassi non arriva credito adeguato al “Mittelstand” europeo, in primis a quello italiano?
E’ la domanda che ci accompagna da anni in una crisi tra le più lunghe e profonde per le imprese italiane, ma è in realtà uno dei “leit motiv “ di sempre dell’economia italiana per le piccole e medie imprese (i dati ci dicono peraltro che il credito alle imprese è cresciuto fino alla fine del 2011). Nel 2003 organizzai all’Università Cattaneo di Castellanza un seminario per l’imprenditoria delle provincie lombarde per sensibilizzarla sulle importanti implicazioni per il credito alle PMI dovute all’introduzione delle regole di Basilea II: la mailing – supportata dalle associazioni di categoria – contattava migliaia di imprese, il parterre era molto competente e prestigioso ma vennero meno di una ventina di imprenditori.
Ancora oggi ritengo che il solo aggiustamento dell’offerta di credito attraverso processi di innovazione finanziaria fisiologica non possa di per sè – al di là dell’indubbia utilità di una funzione di offerta di credito più diversificata – rappresentare la soluzione principale del serissimo problema di sopravvivenza dell’imprenditoria italiana.
Provo a spiegarmi attraverso l’analisi sintetica di quattro nodi strutturali delle PMI italiane suggerendo altrettante linee di soluzioni possibili:
1. La produttività italiana. A fronte di un PIL che si è ridotto progressivamente (nel 2012 inferiore del 7 % a quello del 2007, anno di inizio della crisi globale) il settore pubblico italiano – al lordo ed al netto della voce di spesa per il pagamento degli interessi sul debito – ha continuato a crescere in termini di peso relativo (circa 3 punti di PIL negli ultimi 10anni) collocandosi ad oltre il 51 % del PIL stesso. La produttività del “sistema Italia” continua a mostrare una dinamica negativa perché ingloba sia la pessima (e spesso non misurabile) produttività del settore pubblico allargato, sia un costo del lavoro lordo per unità prodotta (Clup) che a sua volta ingloba al suo interno un fattore fiscale (il notorio“cuneo”) che ha continuato a crescere per il continuo aggravarsi della pressione fiscale: in sintesi, un “double whammy” diabolico. Ciò che resta del settore privato (trascurando qui le problematiche del mercato del lavoro) non può e non riesce a “compensare” questi due fattori negativi, nonostante i moltissimi casi “privati” in cui la produttività italiana risulta superiore a quella della migliore concorrenza globale. In queste condizioni le PMI non ce la possono fare.
Soluzione: meno Stato, meno tasse. Potrà suonare come uno slogan ritrito ma se non si passa da qui non si passa proprio. La crisi è opportunità di cambiamento e crescita: va colta confrontandosi con la globalità dell’economia e delle componenti della produttività dei nostri concorrenti vicini e lontani. I “cunei” fiscali imposti dal settore pubblico – in modo diretto ed indiretto – vanno ridotti con coraggio e determinazione programmatica. Vanno annunciati obiettivi precisi, credibili, misurabili ritornando così a fare “politica economica” non attraverso sprechi e spese correnti irreversibilmente crescenti ma attraverso una strategia di annunci ed interventi mirati e ben coordinati, che impattino radicalmente la PA , la sua efficienza, la sua efficacia.
2. La “credit worthiness” delle PMI italiane. Un fatto irreversibilie: BASILEA 2, 2.5, ora 3 hanno segnato la fine della relazione storica tra direttore della banca territoriale e piccolo/medio imprenditore italiano. Ciò ha di fatto interrotto la possibilità di “incrociare” la dimensione privata, fiscale e societaria dell’imprenditoria italiana che rendeva “bancabili” milioni di PMI. Oggi le stesse imprese – alla luce dei nuovi “rating” previsti dalle regole internazionali di gestione dei rischi di credito – chiedono una messe di nuovi finanziamenti che andrebbero in parte significativa a creare ulteriori “sofferenze” mettendo poi a rischio la stabilità del sistema bancario nazionale ed innescando gli effetti di “coupling” sistemici che conosciamo bene ed abbiamo purtroppo sperimentato solo pochi mesi fa.
A tal proposito sarebbe molto interessante disporre di un’analisi della distribuzione dei rating di credito del sistema Italia (su base anonima, data la sensitività) della “non bancabilità” di una parte significativa delle società private e pubbliche del Paese: servirebbe molto a rendersi conto di ciò che stiamo affermando.
Soluzione: non combattere solo Basilea e l’Europa, ma rivolgersi anche agli imprenditori sani (e per fortuna ce ne sono milioni nel nostro Paese, tuttora seconda piattaforma industriale d’Europa dopo la sola Germania) chiedendo loro di investire nuovo capitale di rischio a patto che il sistema pubblico italiano ritorni incentivante per loro e le loro imprese. Un recente studio di Value Partners – nota società di consulenza strategica – mostra che, qualora fosse realizzato un “patto” di collaborazione tra banche ed imprenditori in condizioni di sistema burocratico/fiscale/amministrativo migliorate, a fronte di un 4% di iniezione di nuovo capitale di rischio nel capitale societario italiano non quotato, si genererebbero miglioramenti importanti nei “rating” delle società affidate dalle banche grazie alla migliore composizione tra capitale azionario e di debito. Tali miglioramenti permetterebbero l’iniezione fino a 100 miliardi di euro di nuovo credito bancario. Oggi non manca la capacità di credito potenziale, mancano buoni “Business Plan” ed imprenditori che credono negli stessi, disposti a rischiare ancora. Lo sanno bene gli operatori istituzionali professionali di Private Equity operativi in Italia, che da decenni passano al pettine l’intero territorio nazionale alla ricerca di iniziative imprenditoriali meritevoli di supporto di capitale di rischio.
3. Innovazione finanziaria, “Shadow Banking” e politica monetaria. Dei Mini Bond di cui oggi tanto si parla, eventualmente impacchettati, cartolarizzati e rivenduti sul mercato ad investitori istituzionali professionali, sento trattare pressoché giornalmente. Negli ultimi mesi ho avuto numerosi incontri con colleghi e controparti pronti ad investire in Italia tempo, denaro e competenze significativi allo scopo di innescare un fenomeno di “disintermediazione” bancaria positiva per l’economia reale. Gli istituti di credito nazionali soggiacciono ad una tale tempesta regolamentare (“rating” impersonali di credito; “pesature” inefficienti di Risk Weighted Assets; nuovi coefficienti obbligatori di liquidità; non deducibilità delle Deferred Tax Assets solo per citare alcuni di questi problemi) che li forza a un continuo “de-leverage” strutturale. Dopo lo tsunami Lehman, l’intero scorso anno è stato consacrato all’analisi e al dibattito tra BCE, banche centrali e regolatori sovranazionali e nazionali proprio alla comprensione, misurazione e regolamentazione dello “Shadow Banking”, il sistema dei finanziamenti “ombra” cioè non regolati efficientemente ed efficacemente. La sostanza è sempre la stessa: il meccanismo di impulsi monetari impressi in vari modi alla quantità e al costo del denaro esprime la sua massima efficacia ed efficienza quando: A) si estende ad operatori, veicoli e prodotti finanziari meno regolamentati degli istituti di credito ordinari; B) incontra la domanda positiva di finanziamenti perché gli imprenditori chiedono effettivamente maggior credito. Sorgono però subito problemi collaterali da gestire: 1) la politica monetaria perde efficacia ed efficienza, e per “rimediare” alle derive dello Shadow Banking, ex-post, spende poi risorse enormi dei contribuenti; 2) gli imprenditori che chiedono maggior credito sono sia quelli meritevoli ma spesso anche quelli non meritevoli di ottenere da questi nuovi canali di finanziamento “parallelo” ulteriore leva finanziaria e, “last but not least”, lo “Shadow Banking” spesso non ha in dotazione quelle competenze, regole, etica e disciplina per evitare di finanziare i “non-finanziabili”.. e così la storia si ripete e le bolle ritornano..
Soluzione: non sono un fautore di un sistema totalmente banco-centrico quale quello italiano, ma la rimodulazione dei pesi della intermediazione finanziaria va gestita ex-ante da autorità che, all’estero molto più che in Italia, hanno dimostrato la loro incapacità nel fare buona prevenzione. Gli investitori professionali che si stanno affacciando al nuovo mercato dei Mini Bond emettibili da parte delle PMI italiane sono pressoché tutti internazionali: fondi di capitale specializzati, affiancati da fondi di debito mezzanino, banche d’investimento in grado di strutturare e piazzare debito direttamente e/o attraverso tecniche di cartolarizzazione e “servicer” capaci di gestire i processi di analisi del credito ed incasso dei prestiti bancari sottostanti ai titoli cartolarizzati: tutti operatori e processi ben noti agli addetti ai lavori che – se ben monitorati e inquadrati in un contesto regolamentare semplice e chiaro – possono senz’altro portare alcuni benefici immediati (senza peraltro modificare significativamente il quadro descritto). Se la comunicazione e la trasparenza preventive saranno correttamente impostate, questi fenomeni di innovazione finanziaria aumenteranno l’efficacia della politica monetaria (difficilmente l’efficienza) e potranno restare nell’ambito dell’innovazione “fisiologica” sana del sistema e non dell’innovazione “elusiva” di natura tossica di cui abbiamo e stiamo soffrendo ancora le conseguenze negative.
4. La funzione di investimento, il “q” di Tobin e gli “animal spirits” imprenditoriali. Quanto sopra non basterà però a modificare il fattore fondamentale dello stato attuale: le aspettative degli imprenditori italiani. Occorre tornare a studiare Tobin che – oltre ad essere stato strumentalizzato per introdurre la nuova gabella denominata appunto “Tobin Tax” (James Tobin la la tassa sulle transazioni finanziarie, minima e necessariamente globale, l’aveva concepita in realtà solo per riequilibrare le differenze di velocità di trasferimento dei fattori della produzione in un contesto di tassi di cambio regolamentati) – ci ha lasciato in eredità anche i suoi studi sugli impatti di trasmissione monetaria sulla funzione di investimento in presenza di innovazione finanziaria. In tale contesto teorico, il noto rapporto “q” di Tobin e di semplicità disarmante: ha al numeratore l’efficienza marginale del capitale e al denominatore il costo marginale del capitale stesso ed il rapporto, durante il ciclo economico, ruota intorno al valore della parità. Oggi in Italia un buon imprenditore, “bancabile” o finanziabile che si voglia definire, potrebbe trovare attraverso i citati nuovi strumenti, operatori e processi di finanziamento alternativi una nuova via di accesso competitivo al credito ad un costo marginale interessante: il denominatore del “q” potrebbe beneficiarne. Ma al numeratore – in presenza di questo contesto macro economico, fiscale, politico – continuerà a non vedere le condizioni minime per un’efficienza marginale del capitale (né suo né di terzi) positiva..morale: il “q” di Tobin oggi in Italia resta inchiodato e severamente inferiore ad uno: la funzione di investimento non funziona…si vedano le statistiche Banca d’Italia (gli investimenti fissi lordi sono stati del – 8.7% nel 2012, previsti del -5.0 % nel 2013, con una flessione complessiva dal 2008 pari a circa il 20 %), Ocse e IMF in proposito.
Soluzione: il “q” di Tobin va riportato sopra l’unita’: occorre re-innescare un contesto di aspettative positive per i piccoli-medi imprenditori italiani. Rapidi incentivi fiscali agli investimenti in tecnologia e al lavoro innovativo; riduzione progressiva ma tangibile del “cuneo” fiscale; idem per l’iniqua e insensata IRAP; una rifondazione paritetica e semplificante del rapporto fisco-contribuente/cittadino; il rapido azzeramento dei processi e livelli burocratici intermedi della PA; la certezza dei tempi e dei processi della giustizia civile ed amministrativa; una tassazione competitiva (rispetto alle alternative offerte da altre giurisdizioni) del risparmio personale netto, dopo aver assolto pienamente alla tassazione societaria. Queste sono le condizioni necessarie e sufficienti per far ritornare la “voglia” del rischio, di tornare ad investire sul futuro dell’Italia e cessare di essere pieni di paura per il futuro nostro e di chi ci segue.
L’analisi effettuata in questo articolo è veramente lucida ed obiettiva: peccato davvero non diffonderla con ogni mezzo! Per mio conto lo farò perchè sono un’Imprenditore Innovatore – Italia degli Innovatori – che continua ogni giorno a rischiare i suoi capitali personali perchè crede nella sua azienda e come i suoi 239 colleghi dell’Italia degni Innovatori sta progressivamente morendo. Ma la pelle è dura e lotteremo fino alla fine.
Complimenti davvero pe l’articolo
Ringrazio lei è Chicago Blog per la possibilità di diffondere queste riflessioni su un tema che ritengo sia alla radice della possibilità di riscatto della nostra imprenditoria: in Italia abbiamo via via perso la consapevolezza e la ragionevolezza circa le ragioni per cui un individuo decide di essere “industrioso” e di intraprendere rischiando in proprio. Occorre dare risposte “schumpeteriane” ai nostri imprenditori (spero secondo le linee indicate nell’articolo) se si vuole difendere un patrimonio nazionale unico ed essenziale ricreando le motivazioni forti per ritornare a rischiare il proprio talento, merito e capitale qui, nel nostro paese.
Aggiungerei però:
1) il vizio di voler controllare l’ azienda con una lira di capitale proprio e 1.000 di soldi delle banche, che va dal cumenda con la fabrichéta fino alla Barilla: vi sembra ammissibile che (dati televisivi, ma mi sembrano credibili) chi produce pasta per 6.000.000.000 di porzioni all’ anno non sia quotato ?
2) la chiusura più completa a qualunque innovazione: nel mio piccolo ho sempre tentato (sono stato assicuratore) di far chiudere i fondi tfr e farli sostituire con polizze tfr, premendo sul miglioramento dei rapporti patrimoniali: risposte alle mie azioni ? 20 in meno dei presenti al seminario descritto nell’ articolo (non trattative, proprio risposte, magari negative, ai miei contatti).
3) Nel momento in cui c’ è crisi, in cui grazie ad Internet si può fare ottimo banking on line, le banche aprono tonnellate di nuove agenzie; in poco più di un anno la sola Barclays ha aperto a Roma almeno 35 nuove agenzie. E’ ovvio che l’ incremento dei costi di struttura rarefà le risorse da prestare, ne alza il costo, e screma verso l’ alto i requisiti di finanziabilità.
Ovvero: i regolatori replicano i difetti tipici degli italiani; fanno più danno perchè legiferano, ma sempre italiani sono.
banche nn riapriranno cordoni credito.. anche se hanno avuto 250/300 mld da Bce con cui hanno finanziato stato (e quindi indirettamente dipendenti pubblici/pensionati/fornitori dello stato/fornitori dei fornitori dello stato/fornitori dei dipendenti e pensionati/ecc.) lucrando spread 3%.. e secondariamente hanno riacquistato proprie obbligazioni ad alto costo (vendute negli anni passati al retail) xrchè è più conveniente finanziarsi all’ 1% in Bce..
fra un pò di mesi Bce pomperà ulteriore liquidità.. e forse porrà a zero tasso dei depositi che banche commerciali riversano presso di lei.. la liquidità in eccesso nn vogliono prestarla ad imprese/famiglie che poi nn sarebbero in grado di restituirla (a meno che nn 6 uno del giro Ligresti & C. a cui la Basilea 123456 fa un baffo)..
per sboccar liquidità alle PMI dei Piigs dovranno fare un’altra forzatura ancor + strong..
Bce e Banca d’Italia dovranno Assorbire 100 miliardi di crediti inesigibili più o meno nascosti nei bilanci delle banche.. od attraverso una Bad Bank in chiaro..
oppure Cartolarizzando i crediti inesigibili x poi darli come collaterale a BankItalia che fa finta di creder che siano buoni e che a sua volta li dà alla Bce in cambio di liquidità..
brutto dirlo: o Monetizziamo di brutto anche noi Piigs (come Usa/Gb/Jpy) oppure saltiamo in aria ed andiamo tutti quanti a coltivar l’orto come i nostri nonni..
la Tobin è un “prezzo politico” x finta contro speculatori x dar contentino alla gente che paga i veri sacrifici (tra cui la Tobin stessa ma nn se ne accorgono).. è un pò come l’Imu che è un “prezzo politico” pagato a Silvio anche se sarebbe stato meglio (se proprio vogliam fare altro dbito pubblico) ridurre cuneo lavoro e sterilizzare iva..
Complimenti per l’analisi. Per quando riguarda i pochi partecipanti al seminario… è una costante.! i piccoli imprenditori non si rendono conto di come viene valutata la loro azienda e di come viene vista dall’esterno. E’ triste da dire ma purtroppo (a mio avviso), manca una cultura imprenditoriale e la relazione banca-impresa è da rivedere. Un ruolo potrebbero averlo le associazioni di categoria, ma sono troppo impegnate a fornire servizi (paghe, contabilità, ecc.) e poco impegnate a formare gli imprenditori. Da una parte le associazioni necessitano di competenze per formare a gestire, monitorare e definire strategie, e dall’altra parte gli imprenditori necessitano di competenze per gestire, monitorare e definire strategie aziendali. Sono finiti in un loop, e non sarà semplice uscirne.
Caro Grignani e altri , mi pare che Lei sia un banchiere o forse no di sicuro Lei e’ uno che non ha mai messo la mano nel SUO portafoglio e spostato i suoi ( non dell’azienda)soldi su un business in Italia. Lei chiede agli impreditori ,in un momento in cui si parla ogni giorno di patrimoniale di spostare dei soldi che probabilmente sono al sicuro per rischiarli nel business e per migliorare il rating delle proprie aziende. Sa cosa fanno gli imprenditori con esperienza in questo periodo in Italia? spostano i soldi dai propri business a posti sicuri alla faccia del rating e fanno benissimo . Le banche finch’e’ potranno comprare le proprie obbligazioni o titoli di stato al 5 plus % perche’ dovrebbero perdere tempo con dei business che non avranno mai le risorse per ripagare i debiti con le tassazioni e le problematiche Italiane? Forse perche’ hanno il senso dell’etica? ma raccontate queste balle nei salotti Milanesi dopo le cene caricate sulle Amex dell’azienda. Io non sono nessuno, ma nella mia vita ho sempre rischiato il mio capitale e quello dei miei soci e raccolto rischi e benefici .Sapete cosa penso prima di aprire il portafoglio ? Primo non voglio finire in galera lavorando ,secondo non voglio perdere il capitale investito ( cosa quasi sicura in Italia) terzo il ritorno sul capitale di rischio.Quelli che vi dicono che lo fanno per il bene della comunita’ sono dei falsi ipocriti . Chi vi chiede di versare capitale fresco oggi in Italia punta a prendervelo per sempre. Provate ad andare in banca e proporre di allinearsi a Basilea e aumentate il capitale sociale di un milione. La banca assorbira’ il versamanto riducendovi il fido e il direttore andra’ in chiesa ad accendere un cero pensando almeno questi li ho recuperati….
Bella analisi. C’è poi però il quotidiano e l’impatto delle scelte gestionali delle banche. Parlo di quelle banche che mentre negano 5000€ di finanziamento all’artigiano che ha mercato e vuole investire, mollano 2 miliardi a Zalevski per continuare a fare l’acrobata della finanza o centinaia di milioni Tronchetti per divorziare dagli ex soci con cui non va più d’accordo.
A me è sempre stato insegnato che quando le risorse scarseggiano bisogna concentrarle su ciò che porta valore aggiunto. Non mi pare che il sistema bancario italiano stia nel suo globale applicando questa logica.
Concordo con l’analisi: infatti oggi le banche sono principalmente concentrate nella gestione degli impieghi e recupero crediti …. e poi con i rating dei clienti vogliamo parlare di assorbimento di capitale?
E allora le soluzioni prospettate andrebbero perseguite con vigore. Meno stato nell’economia per liberare risorse; strumenti idonei a rafforzare il capitale di rischio delle aziende (si libera liquidità e migliorano i rating);
Sostenere le banche per migliorare la qualità degli impieghi e il capitale disponibile al’investimento.
Personalmente credo che politiche monetarie o fondi statali per la spesa pubblica siano del tutto inefficaci.