3
Ago
2023

L’imprenditorialità negata: nebbie e inganni dell’ideologia. Parte 4

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Carlo De Filippis.

Cambiamenti nei rapporti economico-sociali e nella sfera ideologico-valoriale

Il quadro di riferimento delle datate riflessioni sull’azione del governo Prodi riportate in precedenza si è notevolmente modificato negli ultimi quindici anni perché sono avvenuti cambiamenti rilevanti, per lo più attuati con la partecipazione attiva della sinistra di governo. Ne ricordo sommariamente alcuni: riforma del sistema pensionistico e ridimensionamento del Welfare State,  finanziarizzazione forzosa e accelerata della società, sovvertimento nel ranking sociale di ruoli e funzioni chiave, predominio del paradigma contabile in politica e ideologia, utilizzo della pandemia Covid 19 come pretesto per riaffermare autoritariamente anteriori pregiudizi e stereotipi sociali, oltretutto già respinti dagli elettori.

In particolare, la finanziarizzazione pervasiva e forzosa dei rapporti economico-sociali attraverso l’imposizione per via legislativa dell’intermediazione bancaria (ad esempio, pagamento delle pensioni esclusivamente mediante accredito su conto corrente, limitazioni drastiche all’uso del denaro contante accompagnate da insistente azione propagandistica volta alla demonizzazione di tale uso e alla promozione di quello oneroso dei mezzi di pagamento elettronici) e provvedimenti legislativi regolarmente a favore del sistema finanziario (elevati livelli di deducibilità fiscale delle sofferenze bancarie, cartolarizzazione dei crediti -reali o presunti- a condizioni fiscali vantaggiose, bonus di vario genere -nel settore dell’edilizia e non solo- volti prima di tutto a dirottare in modo surrettizio ingenti risorse finanziarie pubbliche dall’economia reale al sistema finanziario medesimo, ecc.) ha comportato, in misura molto elevata in confronto ad altri Paesi ad economia di mercato, la subordinazione dei processi di produzione della ricchezza sociale (industria, agricoltura, artigianato, servizi, ecc.) al circuito della generazione del denaro mediante denaro (intermediazione finanziaria, gestione del credito bancario, monitoraggio del merito creditizio, riscossione, ecc.).


In Italia, dal governo del professor Mario Monti (2011-2013) in poi, la crisi finanziaria globale del 2007 è stata gestita rafforzando i soggetti che l’avevano generata. Risultante dell’applicazione su vasta scala, e spesso per via dirigistica, di criteri e prassi del cosiddetto finanzcapitalismo è la trasformazione di innumerevoli fenomeni sociali, finanche banali manifestazioni della vita quotidiana, in business finanziario: l’accesso controllato e monetizzato ai centri storici, l’utilizzo dell’automobile e le contravvenzioni al codice della strada, la riqualificazione energetica di un immobile, un insoluto bancario, la bolletta energetica familiare, qualsivoglia debito -effettivo o inventato- può essere convertito in attivo finanziario, vale a dire in prodotto commerciabile nel sovrastante sistema finanziario globale.


Il sopradescritto spostamento del baricentro del potere economico ha comportato una contestuale modificazione dello status (immagine e posizionamento) delle figure sociali chiave, a discapito di quelle tipiche del capitalismo classico (imprenditori operanti nell’economia reale, operai, contadini, artigiani, ecc.) e a beneficio di quelle tipiche del capitalismo monetario (operatori finanziari, banchieri, progettisti e venditori di prodotti finanziari, manager delle centrali rischi e della riscossione, ecc.).


Fattore ideologico – valoriale di unificazione e orientamento dei cambiamenti è stato il paradigma contabile, vale a dire l’assunto indimostrato (ma funzionale a politiche comunitarie di austerità ispirate o gradite dal sistema finanziario) che la rappresentazione contabile sia il criterio principale di determinazione del valore di variabili o attività (sanità, formazione, assistenza sociale, difesa, accoglienza, asset aziendali, ecc.) e che la ricerca della quadratura dei conti mediante la riduzione di costi e spese sia non una normale, per quanto strategicamente accessoria, incombenza gestionale ma, convertita in sorta di acribia ragionieristica, un primario punto d’attenzione e impegno di governanti e manager, a tal punto da giustificarne l’ingresso nella Costituzione, a correzione dell’indirizzo originario di padri e madri costituenti che invece vollero una legge fondamentale svincolata dall’economia.


Infine, la pandemia Covid-19 è stata gestita come occasione di ristrutturazione dei rapporti sociali sulla base di preesistenti pregiudizi negativi nei confronti dell’individualismo economico, cioè introducendo vincoli e discriminazioni a detrimento del lavoro autonomo: fissazione di criteri artatamente farraginosi e penalizzanti nella determinazione degli indennizzi (illogicamente e lottomaticamente commisurati al reddito dichiarato negli anni precedenti e non al danno effettivo subito); impossibilità di usufruire -in caso di contagio- di trattamenti di integrazione economica assimilabili a quelli dei lavoratori dipendenti; messa in opera dell’obbrobrio giuridico dell’autocertificazione obbligatoria (penalmente rilevante) dei movimenti fisici durante i lockdown (misura afflittiva principalmente per i lavoratori non dipendenti); provvedimenti legislativi in materia economica apparentemente volti a favorire l’accesso delle piccole attività produttive al credito ma in realtà utili soprattutto alle banche per modificare il proprio portafoglio clienti a discapito proprio delle attività produttive veramente in crisi e a vantaggio delle aziende profittevoli che, pur non avendone bisogno, hanno potuto acquisire (spesso dietro pressione delle banche medesime) ulteriori finanziamenti a condizioni altamente favorevoli grazie alla garanzia dello Stato; surreale pretesa (ad opera dell’Agenzia Entrate, nell’estate 2022) di pagamento immediato e in unica soluzione di imposte e contributi non versati nel periodo dell’emergenza sanitaria, in conseguenza di interruzione forzata delle attività. Giuseppe Conte, Roberto Gualtieri e Roberto Speranza hanno pretestuosamente utilizzato la pandemia per promuovere disuguaglianze e asimmetrie, nella prospettiva di annientamento o drastico ridimensionamento del lavoro autonomo implicita nel famigerato decreto Visco – Bersani del 2006. Il governo di Mario Draghi (2021-2022) non ha corretto quest’impostazione.

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