L’importanza della prescrizione
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Antonio Tamburrano.
La querelle “prescrizione” è tornata nuovamente ad occupare le pagine di quotidiani e riviste di settore: con la vicenda Taricco la questione si riteneva definitivamente chiusa, ma il motivo scatenante di questo attuale “ritorno in auge” sono le affermazioni del ministro Bonafede sulla riforma della prescrizione nei processi penali. Al tavolo dello “spazzacorrotti”, quale efficiente strumento di contrasto al fenomeno corruttivo, nei progetti dell’attuale legislatore vi è l’intenzione di intervenire sull’istituto giuridico della prescrizione nei processi penali con la convinzione che una sua riforma “radicale” possa definitivamente eradicare l’impunità di specifiche condotte (il riferimento costante è, infatti, ai crimini dei “colletti bianchi”) nel sistema-giustizia italiano.
Si tratta, chiaramente, di uno specchio per le allodole, l’ennesimo slogan propagandistico “acchiappavoti” che in sostanza nulla muta, anzi, addirittura, acuisce le falle del sistema penale italiano. Secondo una tradizione risalente al diritto romano, la figura della prescrizione del reato si traduce nella rinuncia dello Stato a far valere la propria pretesa punitiva, in considerazione del tempo trascorso dalla commissione di un crimine senza giungere ad alcun accertamento di responsabilità, con conseguente attenuarsi dell’interesse punitivo statuale in virtù dell’affievolito ricordo sociale di quanto perpetrato. Dunque, la prescrizione si pone come fondamentale strumento, di matrice liberale, a garanzia dell’individuo contro lo strapotere statuale: indebolire questo strumento, o addirittura eliminarlo completamente, vorrebbe dire sottoporrebbe il singolo individuo, il comune privato cittadino, ad un supplizio ingiustificato, tornando indietro, in termini di sviluppi di civiltà giuridica, al processo inquisitorio, o con più inventiva, crearne uno nuovo, il processo “persecutorio”.
La prescrizione nasce proprio per evitare di finire in balìa dello Stato e dei suoi capricci e a presidio del bene più importante dell’individuo: la sua libertà personale; si pone, dunque, come precipuo cardine di garanzia dell’imputato nel processo penale e, senza ombra di dubbio, non si può pensare di farne a meno subito dopo la pronuncia della sentenza di primo grado.
Con la sentenza Taricco-bis la Corte costituzionale aveva finalmente chiuso il cerchio intorno all’annosa questione sull’istituto giuridico della prescrizione. Infatti, con la sentenza n. 115 del 10 aprile 2018 la Consulta ha dato nuovo vigore ad uno dei principali fondamenti dell’ordinamento costituzionale interno, cioè il principio di legalità in materia penale e ha, così, risolto una dei nodi più contorti dell’accademia penalistica italiana, cioè la natura della prescrizione. Il casus iuris nasce da una pronuncia della Grande Sezione della Corte di Giustizia, sollecitata dal GUP presso il Tribunale di Cuneo, con la quale la Corte ha affermato l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la disciplina interna in materia di atti interruttivi della prescrizione, emergente dagli artt. 160 e 161 c.p., allorquando ritenga che essa, fissando un limite massimo al corso della prescrizione, impedisca allo Stato italiano di adempiere agli obblighi di effettiva tutela degli interessi finanziari dell’Unione, imposti dall’art. 325 del TFUE, nei casi di frodi tributarie di rilevante entità, altrimenti non punite in un numero considerevole di casi.
Due le ravvisate ipotesi di incompatibilità degli artt. 160 e 161 c.p. con il diritto comunitario: la prima, con riferimento all’art. 325, par. 1 TFUE, quando il giudice nazionale ritenga che dall’applicazione delle norme in materia di prescrizione derivi, in un numero considerevole di casi, l’impunità penale a fronte di fatti costitutivi di una frode grave in materia di IVA o di interessi finanziari dell’Unione europea, di talché la normativa interna impedisca l’inflizione di sanzioni effettive e dissuasive per tali condotte; la seconda, con riguardo all’art. 325, par. 2 TFUE, nel caso in cui il giudice interno verifichi che la disciplina nazionale contempli per i casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari interni termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode lesivi di interessi finanziari dell’UE.
A fronte di ciò, la Corte d’Appello di Milano ha sollevato la questione di legittimità costituzionale di tale articolo del trattato europeo, rimettendo, quindi, gli atti, ed anche la patata bollente, alla Corte costituzionale.
In estrema sintesi, il percorso argomentativo seguito dalla Corte costituzionale si fonda su taluni punti fermi. In particolare:
- è riaffermato il “primato del diritto dell’Unione” quale dato acquisito nella giurisprudenza costituzionale, ai sensi dell’art. 11 Cost., condizionato all’osservanza dei “principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona”;
- è ribadito come la legalità in materia penale, di cui all’art. 25, co. 2 Cost., rappresenti un “principio supremo dell’ordinamento”, posto a presidio “dei diritti inviolabili dell’individuo, per la parte in cui esige che le norme penali siano determinate e non abbiano in nessun caso portata retroattiva”, ma anche quale suggello del principio-cardine della riserva di legge e della separazione dei poteri, “di cui l’art. 25 co. 2 Cost. declina una versione particolarmente rigida nella materia penale”, in stretto collegamento con i limiti dei poteri del giudice, “al quale non possono spettare scelte basate su discrezionali valutazioni di politica criminale”;
- è consacrata la natura sostanziale della prescrizione, pienamente assoggettata pertanto al principio di legalità, non solo con riferimento al divieto di retroattività ma anche alla sufficiente determinatezza della norma relativa al regime di punibilità, dovendo pertanto essere analiticamente descritta, al pari del reato e della pena, da una norma vigente al tempo di commissione del fatto.
Ed è proprio in questo ultimo punto che si manifesta l’importanza della pronuncia costituzionale, in quanto si sottolinea la valenza costitutiva del principio di legalità nella prescrizione; la rilevanza del principio di legalità, nei suoi requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività della legge penale applicabile “appartiene alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri quale corollario del principio di certezza del diritto” al fine di “consentire alle persone di comprendere quali possono essere le conseguenze della propria condotta sul piano penale”, circoscrivendo il potere discrezionale del giudice.
In conclusione, la prescrizione, quale elemento di natura sostanziale, costituisce uno dei tasselli fondamentali del principio di legalità, quale garanzia a presidio dell’individuo, e, pertanto, insuscettibile di qualsiasi modifica che si ponga contra reum, come, appunto, si colloca la probabile riforma della prescrizione del governo gialloverde.