24
Mag
2017

Libri e cinema: i numeri non tornano e il modello industriale resta antico

Libri e cinema, due settori fondamentali dell’industria culturale italiana. Anche se in realtà hanno un valore molto contenuto sul totale delle attività che vi si comprende. Per capirci, il mercato italiano del libro 2016 resta poco sotto 1,3 miliardi di euro, mentre il totale degli incassi cinematografici 2016 si è fermato a 661 milioni, rispetto ai 47,9 miliardi stimati da Ernst&Young per il complesso dell’industria culturale e creativa italiana (tv, audiovisivo, eventi, pubblicità, musica, teatro, produttori di contenuti, videogiochi, piattaforme digitali e via continuando). Libri e cinema, due settori spesso affetti da una tendenza pericolosa perché fuorviante: il trionfalismo narcisistico. Che comporta un grande rischio. Quello di appagare i suoi protagonisti, ma di far perdere di vista la realtà. Strappiamo allora il velo, guardiamo le cifre vere.

Per il mercato del libro, siamo reduci da mesi di lotta mediatica combattuta senza esclusione di colpi tra il nuovo Salone del Libro di Milano-Rho, e quello tradizionale di Torino che ha appena chiuso i battenti. E’ stata una lotta tra case editrici, grandi contro piccole, mass market contro élite. A giudicare dalla copertura mediatica, toni ed epos da I sette contro Tebe di Eschilo. Torino ha appena trionfato sull’esordio di Milano, con oltre 160mila visitatori. Tonnellate di dichiarazioni di autori e capi di ogni casa editrice, il ministro Franceschini mobilitato nel tentativo, fallito, di una tregua tra i contendenti. Una cinquantina di milioni di euro d’indotto, è la stima degli organizzatori torinesi. Mah.

E allora uno va a vedere le cifre di vendita, immaginando profluvi di copie. Ma scopre che il libro più venduto ha totalizzato 700 copie, 258 il secondo, 200 il terzo, 150 il quarto. Con tutto il rispetto, provocatoriamente vien da chiedersi se simili pingui fatturati valessero il prezzo dello stand.  E i numeri della stessa Associazione Italiana Editori del resto parlano chiaro: anche nel 2016 i lettori sono scesi, da 24 milioni del 2015 a 23,3. Gli unici a registrare un aumento sono gli over 60enni che segnano +9% sul 2010, mentre la quota tra i 25 e i 44 anni è disastrosamente calata del 25,4%. Cresce gradualmente la lettura tramite dispositivi digitali, ma non certo tanto da sanare la perdita sulle copie cartacee.

Eppure gli editori continuano a sfornare sempre nuovi titoli in stampa, la bellezza di 66.505 a cui si sono aggiunti l’anno scorso 74.020 titoli in formato e book.

Nel 1980 i titoli stampati erano 18mila. Ha senso un aumento tanto vertiginosi a fronte di un mercato in contrazione? Economicamente, no di certo. Eppure gli editori persistono. E a 3mila copie vendute si rischia di entrare nelle classifiche. Forse bisognerebbe favorire la virata verso la lettura su device digitali, e i canali di distribuzione tramite piattaforma. Invece anni fa si è limitato al 15% lo sconto sul prezzo di copertina proprio per evitare una migrazione troppo forte sull’on line, e sono pendenti progetti di legge per abbassare ulteriormente il tetto allo sconto al 5%. A parole, per difendere i piccoli librai indipendenti. Nella sostanza, nel tentativo di fermare col dirigismo sui prezzi una trasformazione epocale del prodotto editoriale e dei canali distribuitivi. Ma un mondo che vede Amazon come il nemico è condannato a perdere ancora più lettori.

E il cinema? Con il ministro Franceschini, la dotazione annuale del fondo pubblico di sostegno alla cinematografia italiana è salita a 400 milioni. Prima di lui, taglio dopo taglio una simile cifra aveva finito per rappresentare l’intero sostegno pubblico a teatri e fondazioni liriche oltre al cinema. L’Italia finalmente come la Francia, è stato il coro, a difesa dell’eccezionalità del cinema tricolore, che tanto ha contribuito all’immagine dell’Italia nel mondo. E sempre più attraverso il credito d’imposta, e meno con le discutibili valutazioni discrezionali delle commissioni ministeriali.

Eppure, guardiamo i dati. Che cosa ci dicono?   Prendiamo quelli dell’ultimo fine settimana. Non era mai successo quest’anno che un film arrivasse primo come incasso nel week end fermandosi a 542 mila euro (si tratta di Alien Covenant). Nessun titolo sopra i 1500 euro per copia, solo 6 superano la soglia dei mille euro. Rispetto allo stesso week end del 2016, il calo è di un più che significativo -35,7%. Gli incassi delle sale a maggio sinora sono a 22,4 milioni, erano 30,3 milioni negli stessi giorni del 2016.  Di che cosa altro c’è bisogno, per parlare di un trend sconfortante? La pellicola Fortunata di Castellitto è uscita sabato scorso, e nel fine settimana è risultata quarta a 1123 euro di media a copia, per poi salire nei giorni successivi. Ma il precedente film di Castellitto, Nessuno si salva da solo, aveva esordito nel primo fine settimana con 1,3 milioni.  Dato che quel titolo incasso alla fine 3,4 milioni, non è scontato che Fortunata arrivi a due milioni complessivi. Se scendiamo ai titoli con minor incasso, attenti ai segnali sui “film di qualità”. Sicilian Ghost Story, pellicola italiana passata a Cannes, incassa nel fine settimana solo 41.087 euro, con una media di 721 euro a copia.

Eppure anche nel settore cinematografico la tendenza dell’offerta è quella a non commisurarsi alla domanda. I titoli usciti nel 2016 sono aumentati considerevolmente: 554 rispetto a 480 dell’anno precedente; con produzioni italiane dirette o in coproduzione salite da 189 a 208. La quota dei film italiani e coprodotti sul totale delle presenze nelle sale è salita, dal 21% del 2015 al 28% del 2016. Ma che senso ha parlare di quote percentuali in crescita, se il totale reale poi di presenze e incassi registra i cali da brivido che abbiamo ricordato prima? E se l’unica modalità per arginare il calo è il biglietto nelle sale a 2 euro i secondo mercoledì del mese?

Ecco cosa dicono i numeri. L’industria culturale italiana è un patrimonio. Ma mettiamoci in testa una cosa. O editori e produttori commisurano la propria offerta alla nuova domanda che emerge dal mercato. non solo di prodotti quanto di canali distributivi, oppure è una battaglia di retroguardia che si risolve in un falò di risorse e in un enorme spreco di talenti. Non abbiamo bisogno di polemiche contro Amazon e Netflix, ma di prodotti italiani su quelle piattaforme, e di piattaforme italiane ed europee che accettino la sfida di quelle americane e transnazionali.

 

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