L’Europa e la tartaruga
I ministri europei dell’Ambiente si sono divisi, durante il meeting di lunedì, sull’opportunità di alzare unilateralmente, dal 20 al 30 per cento, il target di riduzione delle emissioni entro il 2020. Il pacchetto “energia e clima” che affonda le radici nel blitz di Angela Merkel alla riunione del Consiglio europeo della primavera 2007, infatti, consente di inasprire l’obiettivo. Le successive negoziazioni – grazie anche all’apporto cruciale dell’Italia – hanno condizionato tale passo al raggiungimento di un’intesa globale che, a Copenhagen, non c’è stata; e che, con ogni probabilità, non ci sarà quest’anno a Cancun. Allora si sono innescate tutte le forze centrifughe che covavano sotto la cappa politicamente corretta imposta da Bruxelles.
Si sono mossi, pesantemente, i Verdi: una lobby che nella capitale belga è assai più influente di quanto non lasci intendere il suo peso elettorale. Secondo uno studio diffuso ieri, il target del 20 per cento non è sufficiente a garantire il “doppio dividendo” alla politica ambientale, ossia non è sufficiente ad allineare gli obiettivi di crescita economica e soprattutto di creazione di posti di lavoro a quelli di riduzione delle emissioni. E’ una tesi piuttosto bizzarra ma, nelle prossime settimane, avremo modo di tornarci. Di certo è una tesi originale, visto che, fino a poco tempo fa, si diceva che col 20 per cento avremmo raggiunto mari e monti: viene il sospetto che sia un modo per mettere le mani avanti. Contemporaneamente, stanno scendendo in campo con tutto il loro peso politico nazioni che credono di potersi avvantaggiare dalle politiche kyotiste – come il Regno Unito (che aspira a capitalizzare sulle transazioni finanziarie dell’Emissions Trading Scheme), la Danimarca (grande produttore di impianti rinnovabili), la Svezia e i Paesi Bassi.
Dall’altro lato, però, si sta facendo più vocale l’opposizione dei paesi dell’Est – che, avendo prospettive di medio termine di tornare a una vigorosa crescita economica, sarebbero penalizzati da un ulteriore giro di vite ambientale – ma anche l’Italia e – nuovo iscritto al club – la Finlandia. In questo contesto, si è notato il silenzio di Francia e Germania, tradizionalmente schierate sul fronte degli “ambiziosi”. Forse, Parigi e Berlino hanno capito che con la retorica verde non si esce dalla crisi; e, anzi, contrariamente a quanto dicono i Verdi, con la retorica verde la crisi si aggrava, perché per quanto un paese riesca a posizionarsi industrialmente sulle energie verdi, c’è un limite alla loro capacità di penetrazione. Limite fisico e tecnologico, naturalmente, ma soprattutto limite economico, perché man mano che la diffusione delle fonti “pulite” aumenta, crescono i costi dell’energia, e dunque lo stimolo all’industria verde è controbilanciato da uno svantaggio competitivo per tutti gli altri, e in particolare per le industrie energivore (che in Germania non sono di secondaria importanza).
E’ probabile, dunque, che l’Europa dovrà accontentarsi del 20 per cento – che è e resta un target troppo ambizioso, ma senza dubbio è meno peggio del 30 per cento. La sensazione è che anche i più entusiasti, comunque, abbiano avviato un serio ripensamento, perché si sono trovati come la tartaruga di Bruno Lauzi:
Lo “studio diffuso ieri” e’ meraviglioso. Dice: capaci tutti di ridurre le emissioni del 20% dopo una recessione industriale. Facciamo vedere che non solo la recessione, ma anche noi siamo capaci di fare (“politicamente”?) qualcosa; e dunque alziamo l’asticella al 30. Basta subire recessioni; la prossima la decidiamo prima, anzi adesso.
Poi c’e’ l’argomento che cosi’ si fanno piu’ posti di lavoro “verdi”. Pero’ anche meno posti di lavoro “neri”. Se cambio un operaio di centrale con tre costruttori di pannelli ho giusto aumentato l’occupazione, o ho anche prodotto energia piu’ cara? Vedi alla voce recedere.
A
analisi corretta . le politiche ‘verdi’ (che poi in realta piu’ che di verdi bisognerebbe parlare di realismo ) porterebbero sicuramente a un costo dell’ energia piu’ alto dell’attuale . cio’ vale se si considerano i danni ambientali come ‘sopportabili ‘ . se invece i danni ambientali sono rilevanti anche economicamente , il discorso cambia . personalmente ritengo che rigettando l’economia verde la gente abbia scelto di morire felice (si va avanti in allegria come sempre finche i danni ambientali non diventano mostruosi e sfasciano l’economia , che so , fino al picco del petrolio o alle prime migrazioni di massa innescate dai mutamenti climatici ) anziche che vivere scontenta (si fa una fatica dell’accidente per mantenere i danni ambientali a limiti accettabili )
.ma si sa , io non ho la palla di cristallo …
Tanto affanno a ridurre le emissioni, ma non mi sembra che i conduttori del vapore optino per le videoconferenze invece di prendere aerei di stato. Sono abbastanza stanco di vedermi imporre balzelli e grida. Scrive uno che fin da bambino si lava con acqua fredda la mattina, e che non vede l’ora d’andare in pensione per buttare la macchina. Mi facciano piuttosto il doppio binario sulla roma-pescara! Qualcuno ha fatto il calcolo di quanto costa in energia la produzione di un’auto? Gli ecoincentivi sono stati davvero un vantaggio “eco”?
Vedevo le bellissime case unifamiliari girevoli su un perno a seconda della rotazione solare, impestate di vetri a 360° in modo da poter assorbire il calore prodotte da architetti, probabilmente di fama mondiale.
E facevo due conti.
Non basta una vita per avere abitazioni del genere nei momenti prosperi dell’economia, figurarsi quando si è in recessione economica.
Speriamo solo che l’energia pulita non sia come quella che si pretende di estrarre dalle biomasse.